Dopo i mesi di lockdown forzato si prevedeva un autunno nero, di forti contestazioni. Vedrete si diceva in estate, quando apriranno le industrie e finirà la cassa integrazione, la gente esasperata scenderà in piazza. Per la verità di proteste ce ne sono state, tranne quelle di fine di ottobre e in particolare a Napoli, quasi sempre circoscritte alle varie categorie di esercizi commerciali (bar, ristoranti, tassisti) mai proteste di masse. Siamo arrivati a dicembre con l’ennesimo Dpcm di Conte, con le solite restrizioni e divieti, qualche polemica sui giornali, ma solo timide proteste, nulla di eclatante, almeno finora.
Tuttavia da queste restrizioni sembra che non c’è alcuna volontà di liberarci: a marzo ci dicevano arriverà la seconda ondata, ora ci stanno già parlando della terza e forse non finirà neanche col vaccino a sentire la virologa Ilaria Capua nel talk show di Floris.
Sostanzialmente «la palla viene spostata sempre un po’ più in là. Ci credevate quando vi chiedevano di stringere i denti e sopportare fino all’arrivo del salvifico vaccino? Ecco, continuate a stringere forte e a credere alle favole». (Davide Rossi, C’è la volontà politica di uscire dalla logica emergenziale?, 7.12.20, atlanticoquotidiano.it)
A questo punto, sembra che gli italiani si siano abituati alle misure liberticide, e il problema forse, non è più tanto Conte o Casalino, ma gli italiani.
«Il problema è: – scrive Rossi – se e quando la massa riuscirà a togliersi il Velo di Maya dagli occhi e la paura di dosso per arrivare a comprendere».
A Marzo scorso sempre sullo stesso quotidiano alcuni avvertivano del pericolo di assuefazione alle leggi liberticide attuate dal governo sinomadurista di Conte e Co. Allora questo pericolo è stato poco avvertito, del resto si stava affrontando una situazione inedita e spaventosa. «Ma adesso, dopo dieci mesi di stato di emergenza è giunto il momento di svegliarsi, alibi non ce ne sono più. Come è possibile non capire che il governo e l’intera classe politica non agiscono per il nostro bene? Come non accorgersi che la Storia non è così lineare, che non è sempre tutto così come ci viene raccontato? Troppo facile e stupido bollare come complottista o negazionista chi vuole analizzare, chi non si accontenta della propaganda ufficiale del Potere. Come se vivessimo in un mondo e in un’Italia dove ai cittadini è stata raccontata sempre la verità». In questo senso vanno le interrogazioni e richieste di chiarimento dell’onorevole Giorgia Meloni e tutto il centrodestra al governo. Tra le domande poste c’è quella fondamentale sul perchè non è stato attivato un piano pandemico (fermo al 2006) per fronteggiare il Covid, che certamente avrebbe evitato migliaia di morti.
Evito di ripetere qui le manchevolezze del governo giallorosso, che in sei mesi non stato capace di programmare nulla per prevenire la cosiddetta seconda ondata.
Occorre precisare che porre domande non è complottismo o negazionismo, il virus c’è, e si poteva affrontare sicuramente con più serenità, senza allarmismi e senza paure. Non si può pretendere che tutto ciò che ci viene propinato sia accettato senza fiatare. Pertanto siamo chiamati al ragionamento critico, a pensare con la propria testa, a non farsi dominare dalla fede cieca e dalla paura irrazionale.
Porre questioni, domande non vuol dire negare l’esistenza del virus. Solo uno sciocco o uno in malafede lo può pensare, vuol dire solo che siamo stanchi di farci prendere in giro, imprigionare, deprimere e impoverire da questi incompetenti.
Per esempio a poco a poco sta emergendo la verità sulla conta dei decessi, non ci crede più nessuno al metodo dell’Istituto Superiore di Sanità come vengono definiti i morti per Covid. Ieri sera a “Quarta Repubblica” da Nicola Porro, finalmente si è chiarito il rebus. L’argomento è molto delicato perché dietro i numeri dei deceduti ci sono persone reali che hanno sofferto, che hanno lasciato questo mondo, ci sono famiglie in lutto, ci sono altre persone contagiate e nella sofferenza. «A guardare le cifre sciorinate ogni giorno dall’Istituto Superiore di Sanità i conti non tornano, soprattutto il rapporto tra usciti dalle terapie intensive e morti. È chiaro che siamo di fronte a numeri gonfiati per creare uno stato di paura che permette un potere sempre più dispotico». (Riccardo Cascioli, Le cifre gonfiate dei deceduti per Covid e il Natale, 8.12.20, LaNuovaBQ.it)
Pertanto se questa è la situazione reale sarebbe buona cosa che gli italiani dimostrassero al governo di essere stanchi di questo loro dispotismo senza ragion d’essere. Purtroppo all’orizzonte non s’intravede nessuna reazione o rivolta significativa, tranne quella dei piccoli imprenditori, ristoratori e partite Iva. A questo punto forse ha ragione il professore Luca Ricolfi nel suo studio, “La Società signorile di massa”, (La Nave di Teseo editore, Milano 2019). Il professore torinese descrive tutte le dinamiche socioeconomiche del Paese Italia. Dalla sua analisi emerge che la maggioranza degli italiani sostanzialmente sta bene. La stragrande maggioranza possiede un’abitazione propria, possiede un reddito e molti usufruiscono di discrete pensioni. Anche se c’è una minoranza sotto la soglia di povertà. Tuttavia, l’italiano medio è portato, nonostante il benessere, al vittimismo, a lamentarsi che gli manca sempre qualcosa. Ricolfi a sostegno delle sue tesi riporta diversi dati socio-economici relativi ai notevoli miglioramenti delle famiglie italiane rispetto agli anni ’60.
I dati del professore si riferiscono a prima del Covid, però credo che ancora hanno una certa validità. Tra l’altro in una intervista Ricolfi, in mezzo alla pandemia, sembra aggiustare le tesi sostenute nel libro.
“La nostra società, – ha detto il professore – se non si cambia rotta, molto molto alla svelta (ma forse è già tardi), è destinata a trasformarsi in una ‘società parassita di massa’, che non è il contrario della società signorile di massa, ma ne è uno sviluppo possibile, una sorta di mutazione ‘involutoria’, come forse la chiamerebbe un matematico”. Ricolfi ha chiarito: «nella società signorile il parassitismo di chi non lavora convive con un notevole benessere, che accomuna la minoranza dei produttori e la maggioranza dei non produttori. Nella società parassita di massa la maggioranza dei non lavoratori diventa schiacciante, la produzione (e l’export) sono affidati a un manipolo di imprese sopravvissute al lockdown e alle follie di stato, e il benessere diffuso scompare di colpo, come inghiottito dalla recessione e dai debiti. I nuovi parassiti non vivranno in una condizione signorile, ma in una condizione di dipendenza dalla mano pubblica, con un tenore di vita modesto, e un’attitudine a pretendere tutto dalla mano pubblica, con conseguente dilatazione della “mente servile”, per riprendere l’efficace definizione di Kenneth Minogue».
Tuttavia per maggiori informazioni sullo studio dell’economista torinese rinvio al mio intervento pubblicato da questo giornale nel giugno scorso.
DOMENICO BONVEGNA
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