Uno studio canadese pubblicato un mese fa su Ophthalmic Epidemiology (1), condotto su quasi due milioni di americani, dimostra che l’incremento delle temperature è associato a un rischio del 44% più alto di sviluppare gravi problemi alla vista. Sotto accusa lo stress ossidativo e l’attività specifica delle citochine, indotti dall’aumentata esposizione ai raggi UV (dai quali siamo meno protetti per via del buco nell’ozono), e dalle concentrazioni sempre più elevate di polveri sottoli in atmosfera.
Un mix di fattori di cui si iniziano a vedere i primi preoccupanti effetti a lungo termine sull’evoluzione di malattie come la degenerazione maculare senile che, se non curata, può portare a cecità irreversibile. A confermarlo anche una ricerca dell’University College of London in cui si evidenzia che l’inquinamento atmosferico fa salire dell’8% il rischio di maculopatie.
La questione sul tavolo della Cop 28 che si apre oggi a Dubai non è solo ambientale: la crisi climatica e l’inquinamento atmosferico ad essa legato rappresentano un’urgenza anche per la nostra salute, come di recente ha ribadito l’Oms, che considera lo smog tra i principali fattori che contribuiscono all’insorgenza delle malattie a livello globale.
L’impatto sulla salute degli occhi rappresenta una minaccia che va ben oltre quella finora considerata di congiuntiviti e occhio secco. Uno studio canadese, il più ampio mai realizzato, pubblicato il mese scorso su Ophthalmic Epidemiology e condotto su 1,7 milioni di americani over 65, ha evidenziato una correlazione significativa tra maggiore probabilità di gravi problemi alla vista e temperature più elevate. I dati raccolti tra il 2012 e il 2017 attraverso interviste telefoniche, postali e di persona, hanno dimostrato che la probabilità di sviluppare gravi problemi agli occhi è del 44% più alta per coloro che vivono in regioni nelle quali la temperatura media annua è superiore ai 15,5 °C rispetto a chi risiede in aree più fredde. È stato inoltre rilevato come quest’associazione risulti più marcata negli uomini e nei soggetti di età compresa tra i 75 e i 79 anni.
I risultati dello studio rappresentano un campanello d’allarme anche per noi che viviamo al di qua dell’oceano, stando alla conferma di una recente ricerca inglese e considerate le temperature eccezionalmente miti di quest’autunno e di tutto il 2023, ormai candidato a diventare l’anno più caldo mai registrato a livello globale.
SMOG E DEGENERAZIONE MACULARE SENILE – “Gli occhi sono tra gli organi più suscettibili di sviluppare malattie derivanti da fattori ambientali. Poiché si difendono dagli inquinanti atmosferici potenzialmente dannosi solo con un sottile film lacrimale precorneale, man mano che cambiano le condizioni ambientali cambia anche la prevalenza e la gravità delle malattie oculari”, dichiara Stanislao Rizzo, presidente Floretina ICOOR, direttore del dipartimento di oculistica del Policlinico A. Gemelli IRCCS e Ordinario di oculistica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. “Finora, come è noto, l’inquinamento atmosferico è stato considerato fattore di rischio per l’insorgenza di comuni disturbi come le congiuntivi e la sindrome dell’occhio secco. Recenti studi clinici, invece, stanno iniziando a evidenziare effetti negativi a lungo termine anche sull’insorgenza e l’evoluzione di condizioni oculari ben più serie come la degenerazione maculare, una grave malattia di cui soffre un milione di persone in Italia e che, se non curata, può portare alla cecità”.
A dimostrarlo è uno studio inglese, condotto dall’University College of London e pubblicato su British Journal of Ophthalmology, che ha analizzato attraverso imaging lo stato della retina di 52.000 individui tra i 40 e i 69 anni. I risultati hanno evidenziato che le persone maggiormente esposte a un graduale aumento di particolato fine (PM2.5) mostrano un assottigliamento retinico con un rischio più alto dell’8% di degenerazione maculare legata all’età.
“Le ragioni di questo legame molto preoccupante non sono ancora del tutto chiare e andranno indagate con ulteriori ricerche – sottolinea Francesco Faraldi, Direttore della divisione di Oculistica dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano – Umberto I di Torino -. Tuttavia, l’inquinamento sembrerebbe agire sull’apparato visivo in maniera indiretta, tramite lo stress ossidativo e l’attività specifica di citochine infiammatorie a cui la retina è suscettibile a causa del suo elevato consumo di ossigeno. Ciò è indotto dall’aumento delle concentrazioni delle polveri sottili e da una maggiore esposizione alle radiazioni ultraviolette provocata dal buco nell’ozono. Inoltre – prosegue l’esperto – il danno ossidativo aumenta con l’età, portando a disfunzione retinica e perdita di cellule. Di conseguenza, la retina che invecchia è particolarmente sensibile ai danni causati dall’inquinamento atmosferico”.
“Se il legame tra clima, inquinamento atmosferico e insorgenza di maculopatie e glaucoma venisse ulteriormente confermato da future ricerche, avremo individuato un fattore di rischio potenzialmente modificabile su cui intervenire per ridurre il peso economico e sanitario di queste patologie. Ciò – conclude Rizzo – rende ancora più urgenti e aggiunge peso alle risoluzioni che dovrebbero essere prese dalla Cop 28 per ridurre le emissioni di gas serra”.