Ci sono libri che fanno un gran bene leggerli, sicuramente uno è quello che ha scritto monsignor Peter Kodwo Appiah Turkson, cardinale del Ghana, attualmente nominato da Papa Francesco, prefetto del nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Il libro ha per titolo: «Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società», pubblicato l’anno scorso da Rizzoli. Un libro che fa bene anche alla salute spirituale e non si comprende perchè non abbia avuto successo come purtroppo capita per tanti libri, scritti da uomini di Chiesa, che magari non ripetono quello che vuole il mondo.
Il testo di monsignor Turkson è stato scritto insieme a Vttorio V. Alberti, direttore della rivista online, «Sintesi dialettica», è prefato dal Sommo Pontefice in persona, Papa Francesco, con tanto di stemma all’inizio. In questo libro, scrive Papa Francesco, «il cardinale Turkson esplora i diversi passaggi nei quali nasce e si insinua la corruzione, dalla spiritualità dell’uomo fino alle sue costruzioni sociali, culturali, politiche e anche criminali, ponendo insieme questi aspetti anche su quel che più interpella: l’identità e il cammino della Chiesa».
Il testo con domande e risposte, si compone di soli 5 capitoli, nel 1°, «Archimede e il cardinale», si propone di fare come Archimede per risolvere tutti i problemi complessi della società, in primis, la corruzione: «Dammi un punto fuori dal mondo e una leva e ti solleverò il mondo».
La Chiesa, essendo corpo mistico di Gesù, «è in possesso dei mezzi per realizzare cambiamenti nel mondo». Il mezzo fondamentale è quello di effettuare la conversione del cuore e della vita dell’essere umano. Del resto la Chiesa «è esperta di umanità, e la dottrina sociale illumina con la luce del Vangelo i nuovi problemi che emergono costantemente».
Peraltro recentemente i Vescovi italiani, allarmati dalla debolezza della presenza dei cattolici nella società attuale, hanno invitato i fedeli, i cattolici, a riscoprire i testi della Dottrina Sociale della Chiesa e soprattutto a studiarli.
Il cardinale Turkson, facendo riferimento ad una visita del beato Papa Paolo VI in Uganda nel 1969, disse che il ruolo della Chiesa nella società è indispensabile anche se è dato per scontato, negato o ostacolato. La Chiesa deve svolgere la sua missione in libertà, «essa non ha interessi temporali propri, non fa politica nel senso proprio di questa parola; dà a Cesare ciò che è di Cesare, e dà a Dio ciò che è di Dio[…] Non temete la Chiesa; essa vi onora, vi educa cittadini onesti e leali, non fomenta rivalità r divisioni, cerca di promuovere la sana libertà, la giustizia sociale, la pace;».
Pertanto anche se nella stessa Chiesa si riscontrano fenomeni di corruzione, bisogna affidarsi al suo perenne insegnamento tradizionale per vincere il fenomeno complesso della corruzione. Ma che cos’è la corruzione? «La corruzione è mondanità spirituale, ed è – come ha detto Papa Francesco – una “forma di bestemmia” e un “cammino di morte”. La corruzione è chiudersi, blindarsi in se stessi, negando a se stessi la possibilità di superarsi, di trascendere, di andare oltre, come quando si serrano le finestre della casa e non si arieggia mai. Piano piano l’aria all’interno si vizierà, si corromperà fino a diventare irrespirabile».
Occorre spiegare cosa significa «mondanità spirituale», per il cardinale è uno «svuotare la propria vita da ogni spiritualità, svuotare la fede rendendola una scatola vuota, piena sola di cose materiali e mondane, e del proprio io». Pertanto insiste Turkson, «la maggiore corruzione è la mondanità spirituale, che scarta ogni interiorità e quindi ogni ascesa […] la corruzione può dare soddisfazioni, addirittura gioia o euforia, ma in cambio di questa soffoca la possibilità di andare oltre se stessi, annulla ogni rinnovamento, ogni apertura perchè dà l’illusione, a volte, di bastare a se stessi tanto da sentirsi onnipotenti». Per certi versi il corrotto, è trincerato, chiuso nel suo stato mentale, se ne fa un’ideologia che lo soddisfa e si sente autosufficiente. Occorre invece mettersi sempre in discussione, superarsi, criticarsi, non bisogna sentirsi un assoluto.
Papa Francesco ha più volte usato una significativa espressione: «il corrotto è come chi ha l’alito cattivo. Chi lo ha non se ne rendo conto. Se ne accorgono gli altri…».
Nel 2° capitolo, dedicato alla «Persona», il cardinale affronta la questione della corruzione dal punto di vista antropologico. In questo capitolo il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, che è già stato presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, spiega bene che cosa c’è all’origine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Quali sono le ramificazioni dei significati di corruzione, e lo fa concentrandosi in particolare sull’origine interiore di questo stato che, appunto, germoglia nel cuore dell’uomo e pueò germogliare nel cuore di tutti gli uomini.
Siamo, infatti, tutti molto esposti alla tentazione della corruzione: anche quando pensiamo di averla sconfitta, essa si può ripresentare.
L’uomo va visto in ogni suo aspetto, non va scisso a seconda delle sue attività, e così la corruzione va letta — come si legge in questo libro — tutta insieme, per tutto l’uomo, sia nelle sue espressioni di reato sia in quelle politiche, economiche, culturali, spirituali. Cosa avviene se ci si arrocca in se stessi e se il pensiero e il cuore non esplorano un orizzonte più ampio? Ci si corrompe, e corrompendosi si assume l’atteggiamento trionfalista di chi si sente più bravo e più scaltro degli altri. La persona corrotta, però, non si rende conto che si sta costruendo, da se stessa, la propria catena.
Un peccatore può chiedere perdono, un corrotto dimentica di chiederlo. Perché? Perché non ha più necessità di andare oltre, di cercare piste al di là di se stesso: è stanco ma sazio, pieno di sé. La corruzione ha, infatti, all’origine una stanchezza della trascendenza, come l’indifferenza.
Serve una pedagogia contro la corruzione. Il Vangelo ci mette sempre in guardia dal non fare di noi stessi un assoluto. «Se io intendo me stesso come misura assoluta per giudicare il comportamento altrui, mi corrompo», mi metto nelle condizioni di quel trionfalismo, che è la condizione, come dice Papa Francesco, di far trionfare i modi corrotti. La misura devono essere i santi, dobbiamo guardare a loro, che si sono elevati. Il cardinale ghanese ci mette in guardia da una Chiesa clericale, quando annuncia il Vangelo senza praticarlo. Inoltre la Chiesa si corrompe se si comporta come una Ong, si corrompe quando cerca la salvezza nella politica o nell’interesse immediato.
Perchè la società si sviluppi integralmente e quindi combattere la corruzione, secondo il cardinale dobbiamo muoverci tutti: Chiesa, intellettuali, insegnanti, politici, professionisti, famiglie, associazioni, imprenditori, artisti.
La Chiesa annuncia, accompagna, si muove nella e per la società. Non teme di mettersi in gioco, in discussione. E peraltro non dimentica di denunciare «le quindici malattie della Curia», elencate nel 2014, dallo stesso Papa Francesco, in un discorso per gli auguri natalizi alla Curia. Monsignor Turkson a questo proposito, ricorda il forte discorso del cardinale Ratzinger sulla sporcizia nella Chiesa nel 2005, qualche giorno prima di diventare Papa. E qui il cardinale ribadisce quale dev’essere l’atteggiamento della Chiesa, come sostiene da sempre papa Francesco: «una Chiesa nata in uscita e deve restare in uscita perché Cristo l’ha voluta così. La Chiesa fuori da sé, verso le periferie sociali ed esistenziali […]».
Tuttavia, secondo il cardinale Turkson, «La Chiesa dice ciò che le spetta dire». La Chiesa deve ascoltare, elevarsi e chinarsi sui dolori e le speranze delle persone secondo misericordia, e deve farlo senza avere paura di purificare se stessa, ricercando assiduamente la strada per migliorarsi.
Il 4° capitolo si punta alla rappresentazione della «criminalità», in tutte le sue forme, anche se il cardinale africano non è un esperto. Qui Turkson ricorda il forte monito di San Giovanni Paolo II, nella Valle dei Templi ad Agrigento e soprattutto la recente scomunica dei criminali di papa Francesco durante la sua visita in Calabria a Sibari. Ma il Papa non si ferma solo alla scomunica, i mafiosi hanno bisogno di essere «accompagnati», per uscire dalla vita criminale. Il cardinale ricorda anche don Giuseppe Puglisi che pagò con la vita il suo impegno contro la criminalità. Sono questi i maestri di pace, civiltà, libertà, giustizia, coraggio, ai quali guardare. Occorre educare, formare in campo politico, economico, culturale, spirituale, professionale. «La corruzione è anche incompetenza, e scardina i legami sociali». Le norme sono importanti, ci possono essere buoni propositi, ma poi bisogna vedere sulle gambe di chi queste norme camminano.
«Se un insegnante proclama ai suoi studenti propositi eccelsi di educazione, ma poi non insegna, non segue le persone, non valorizza i meritevoli e dimentica i più svogliati, corromperà quegli studenti».
Pertanto la lotta alla corruzione non può limitarsi alle leggi, ma deve puntare allo sviluppo di una cultura che contenga in sé gli anticorpi contro una malattia alla quale siamo tutti esposti, soprattutto quando ci troviamo in condizioni di esercitare una qualsiasi forma di potere.
Il libro affronta i temi della giustizia, che non deve essere vendetta. Anche le condizioni delle carceri devono essere umane. Non possiamo accontentarci solo di castigare. Nel testo ci sono riferimenti al degrado urbano delle città, alla difesa della natura, che è una questione sociale. I traffici illeciti, il lavoro sottopagato, il lavoro minorile, l’abbandono delle persone scartate. L’inquinamento criminale dell’ambiente.
L’ultimo capitolo è dedicato alla «Bellezza», sembrerà strano, ma la bellezza può contrastare la corruzione. Il prelato fa riferimento allo straordinario capolavoro di Michelangelo, Il Giudizio universale. E soprattutto al bel discorso di papa Benedetto XVI agli artisti del 2009. «Il mondo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione», disse Benedetto XVI, e richiamandosi a Platone, disse: «la funzione essenziale della vera bellezza», può dare una scrollata, una scossa per far uscire l’uomo da sé.
«Questa bellezza non è un accessorio cosmetico, ma qualcosa che pone al centro la persona umana perché essa possa alzare la testa contro tutte le ingiustizie. Questa bellezza deve sposarsi con la giustizia. Così, dobbiamo parlare di corruzione, denunciarne i mali, capirla, mostrare la volontà di affermare la misericordia sulla grettezza, la curiosità e creatività sulla stanchezza rassegnata, la bellezza sul nulla».
Domenico Bonvegna