COMPLOTTI, COSPIRAZIONI, CONGIURE NEL LUGLIO 1847 A ROMA

Quando ho acquistato il libro “La congiura immaginata. Opinione pubblica e accuse di complotto nella Roma dell’Ottocento”, (Carocci editore, 2019), sono stato colpito dal tema affrontato di Ignazio Veca. Il libro si occupa della gigantesca cospirazione contro il papa Pio IX che aveva iniziato una politica di riforme e il popolo romano. Il tema mi incuriosisce abbastanza a tal punto che ho letto il libro in poco tempo.

Siamo nell’estate 1847, 15 luglio, nelle strade di Roma papalina, sono comparsi dei manifesti manoscritti. Si tratta di una lista di proscrizione, un elenco di nomi, di personaggi più o meno illustri, considerati “infami” dai rivoluzionari, perché stavano lavorando contro il Papa Pio IX, che da poco eletto era diventato il paladino della politica riformatrice auspicata dai rivoluzionari romani. Da questi “manifesti scritti a mano si propagherà in tutta Europa la credenza nell’esistenza di una vasta cospirazione, preparata all’ombra da forze contrarie al progresso”. Nel testo troviamo uno di questi manifesti appartenenti alla Collezione Spada dell’Archivio Apostolico Vaticano.

La capitale e gli Stati della Chiesa erano in fibrillazione perchè il nuovo Papa Giovanni Maria Mastai Ferretti, aveva inaugurato il suo regno con una amnistia e soprattutto aveva promesso una serie di riforme politiche, pertanto i romani erano interessati a queste liste di proscrizione, a queste persone che cercavano di frenare o di sabotare le riforme del papa. Ai nomi si aggiungevano quelli dei “padri Gesuiti”, del re di Napoli, di Maria Luisa di Parma e del duca di Modena. Subito dopo cominciò la caccia dei sospetti, bastava qualche comportamento sospetto di un individuo, perché il partito “liberale” organizzasse vere e proprie spedizioni per assicuralo alla giustizia. Il testo fa qualche esempio di personaggi sospettati che venivano accompagnati in carcere dietro pressione della folla, che imprecava, gridava e fischiava, urlava: “a morte”. Alcuni dei malcapitati vennero salvati dal linciaggio della folla inferocita.

Veca nel presentare questo tipo di Avvisi o informazione, cerca di descriverli e di spiegare la loro funzione che non era solo quello di informare ma anche formare un’opinione e possibilmente manipolarla.

L’affissione degli avvisi secondo Veca era anche il frutto di “una deliberata campagna di pressione concepita da alcuni ambienti non soddisfatti del corso politico delle ultime settimane, e disposti a fare dell’accusa di complotto una carta pesante da giocare nel dibattito pubblico e con le istituzioni ecclesiastiche e patrizie”. Molti di questi romani che avevano affisso gli Avvisi, appartenevano al sottobosco, “semi-alfabetizzato, che gravitava intorno ai circoli e ai caffè della capitale e costituiva il nerbo più attivo della mobilitazione in favore delle riforme sotto il nuovo papa”. Tra questi popolani, c’era il capopopolo Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, che avrà un ruolo costante in questa storia.

Veca prima di passare agli avvenimento del 1847, accenna alla storia dei complotti, che da sempre ha incuriosito gli storici. Ci sono i complotti veri e quelli falsi. Distinguere non è facile. “La vicenda che qui si racconta – scrive Veca nella premessa – non mira quindi soltanto a illuminare un episodio del Risorgimento italiano, per quanto di una certa rilevanza per la storia politica e sociale della Roma e dell’Europa dell’Ottocento. Quello che qui interessa dell’uso pubblico e politico della segretezza e dell’occulto […]”. Si tratta di capire come una congiura possa essere immaginata, proprio in quell’estate del 1847 a Roma. Sostanzialmente si tratta di una gigantesca montatura, portata avanti da un movimento politico (quello progressista), opera di minoranze attive, mentre le masse non sono altro che strumenti passivi della lotta per il potere. La denuncia nei confronti dei presunti colpevoli di complottare contro Pio IX, andava avanti, perchè l’intento era proprio quello di screditare i cosiddetti reazionari, “invisi al pubblico”. Ma chi ci credeva alla congiura vera o falsa? Che secondo Veca potrebbe rappresentare una Fake news del XIX secolo. E pertanto il racconto si potrebbe chiudere qui.

Ma ormai la macchina sociale della paura, del panico, era stata messa in moto e l’autorità pontificia aveva difficoltà  frenare la piazza. Il capo della polizia cercava di rassicurare il popolo, “i cittadini erano invitati a collaborare con la forza pubblica, segnalando coi mezzi consentiti gli individui sospetti”. Mentre, “il governo era pronto ad accogliere i reclami della popolazione, dimostrando di essere determinato a scoprire la verità”.

Intanto si costruiva l’evento. Si fa circolare un foglio: “Protesta del popolo”, dove si invitava a schiacciare il nemico che stava dietro la congiura: era l’Austria e il Gesuitismo, il partito degli oppressori, dei desposti, e lo straniero. Perfino il Times di Londra riporta la notizia della congiura, una delle più atroci della storia moderna. Inoltre la presenza di una guarnigione austriaca a Ferrara, dava il pretesto che esisteva un appoggio militare ai congiurati di Roma contro Pio IX.

A questo punto Veca descrive, la presunta congiura orchestrata del gesuitismo, riportando una litografia dove si possono scorgere alcuni congiurati compreso un gesuita. Nel capitolo “L’ombra dei reverendi padri”, l’autore del libro descrive il “Risorgimento antigesuita”, partendo dall’immaginario complotto, dove il la figura del gesuita come cospiratore è al centro del racconto del 17 luglio. Sostanzialmente si occupa della campagna denigratoria orchestrata dal fronte progressista. Alla fine i Gesuiti furono “cacciati dal tempio”, dalle loro sedi, attraverso polemiche, più o meno architettate. Gesuiti che hanno dovuto affrontare non solo violenze psicologiche ma anche fisiche da parte di facinorosi sfaccendati, che avevano trovato in quei giorni facile occupazione. “Da Torino a Roma, la fenomenologia delle espulsioni vedeva sempre l’intervento di folle mobilitate per richiedere con forza la partenza dei reverendi padri, costringendo le autorità ad accettare di fatto la volontà espressa dalla piazza nell’impossibilità di garantire l’ordine pubblico”. Veca si sofferma su questo aspetto pubblicando un’altra litografia dal titolo “Agonia dei Gesuiti”. Peraltro quello dei gesuiti era un luogo comune della storia del complotto permanente, orchestrato dai gesuiti. Era una tradizione plurisecolare, quello di denunciare i gesuiti come complottisti.

Il 3° capitolo del libro (Nell’occhio dell’opinione pubblica) affronta il tema del giornalismo e della professione del giornalista. Il giornalismo come mezzo di pressione e di persuasione, tendente spesso alla propagazione di stereotipi. Il giornalista visto come un santo, la sua missione un apostolato religioso. La congiura romana del 1847 entrò nel circolo più ampio della comunicazione italiana ed europea per mezzo della stampa e dalle informazioni da essa veicolate. “Le dimensioni del fenomeno si ingigantirono proprio grazie al trattamento da parte dei mezzi di comunicazione dell’epoca”. Veca ci tiene a precisare che nessuna notizia, vera o finta, può aspirare a diventare un fenomeno sociale diffuso, se non viene inserita nei circuiti comunicativi efficaci.

Tuttavia il testo di Veca si conclude con il “rovescio della congiura”. Lo stesso Pio IX nell’allocuzione “Quibus quantisque” del 20 aprile 1849 aveva presentato l’esito della conquista di Roma da parte dei repubblicani (Mazzini, Garibaldi e compagni), come il risultato di una congiura nei suoi confronti descritta come “nerissima cospirazione, o meglio lunghe cospirazioni”. Negando la cospirazione del luglio 1847 : essa veniva giudicata un’invenzione dei nemici dell’ordine e del sovrano (coniurationis, ab ipsis apposite excogitatae), una “falsissima congiura” usata come pretesto per eccitare il popolo contro ‘specchiatissimi personaggi’.

Pertanto in pochi mesi dell’esilio del Papa a Gaeta, Pio IX rinnega i primi anni del riformismo politico del suo pontificato, fino a denunciare in prima persona le “macchinazioni” dei repubblicani che avevano preso il potere a Roma. Così Pio IX, disattiva il Gran Processo, che riguarda la cosiddetta congiura austro-gregoriano-gesuitica, ma ribalta l’atteggiamento ufficiale del sovrano pontefice nei confronti delle accuse di complotto. “Il papa faceva di più che sancire l’inesistenza di una congiura contro il sovrano e il popolo; ritorceva infatti l’accusa, facendo di un gruppo indeterminato di ostili cospiratori (inimici homines) – identificabile in parte con gli ingrati sudditi del papa – i veri organizzatori di una più vasta congiura

volta all’eversione dell’ordine costituito, i cui frutti erano maturati con l’assassinio di pellegrino Rossi nel novembre 1848 e la proclamazione del nuovo regime repubblicano”.

Questa volta si parla di una grande congiura, rovesciata, una rilettura secondo Veca destinata ad avere un discreto successo nel campo della reazione politica. Per Veca si procede alla costruzione di una controcongiura attuata dai mazziniani e dai rivoluzionari romani, autore principale il gesuita Antonio Bresciani con il suo romanzo, “L’Ebreo di Verona”, pubblicato in appendice alla Civiltà Cattolica, l’agguerrita rivista della Compagnia di Gesù. Inoltre nello stesso anno Alphonse Balleyder diede alle stampa una “Histoire de la Revolution de Rome”, dove tutti gli avvenimenti del triennio 1846-49 venivano reinterpretati alla luce dell’esito rivoluzionario post-quarantottesco e della nascita della Repubblica romana.

Praticamente si passa a un rovesciamento semantico della congiura: “da congiura dei ‘retrogradi’ contro il pontefice a congiura – sempre contro lo stesso sovrano – dei ‘demagoghi’ e dei ‘rivoluzionari’. Tuttavia per Veca, “invertendo l’ordine dei fattori, il prodotto però non cambiava”. In questo frangente ritornano le tesi complottiste del gesuita francese Augustin Barruel, con i suoi quattro volumi, “Memoires pour servir a’ l’histoire du jacobinisme” (1797-99). L’Abbè utilizzò il termine “cospirazione” “per indicare l’idea che la Rivoluzione fosse stata il risultato diretto di un vasto complotto contro Dio, il Re e la società. Tale piano sarebbe stato orchestrato dai philosophes, dalla massoneria e dagli Illuminati, una società segreta fondata in Baviera da Johann Adam Weishaupt”.

Successivamente le tesi di Barruel sono state riprese nel 1850 dal giornalista Louis Veuillot, scrivendo una serie di articoli su “L’Univers” era convinto che i philosophes si erano realmente associati, “con lo scopo di screditare, indebolire e infine distruggere il cattolicesimo”. Sostanzialmente si trattava di “proporre un’esplicita equiparazione tra il 1789 e 1848. I numerosi moti insurrezionali della Primavera dei popoli avevano di conseguenza gli stessi scopi della Rivoluzione francese […]”. Ogni rivoluzione era opera delle società segrete. Cambiavano i nomi, ma la sostanza era la stessa: Quello che si chiamava un tempo il Giacobinismo si chiama oggi il socialismo”.

In conclusione possiamo scrivere che,“tanto il variegato fronte che si impegnava per l’indipendenza e l’affermazione della nazione italiana quanto i difensori del vecchio regime e della Restaurazione operarono in un campo attraversato da continue accuse e controaccuse di complotto”. Infatti, chiarisce Veca, “la denuncia del Risorgimento come un’unica cospirazione permanente contro i troni e l’altare diverrà un Leitmotiv della propaganda e del pensiero controrivoluzionario e legittimista, […]”. Comunque accusare gli avversari era una pratica che usava anche lo stesso schieramento risorgimentale, “che ne farà ampio uso nei decenni che seguirono l’unificazione come strumento efficace di lotta politica[…]”.

Sostanzialmente la tesi di Veca é che le due congiure, sia quella dei cosiddetti reazionari austro-gesuiti, sia quella dei rivoluzionari repubblicani, sono entrambi eventi immaginari, costruiti ad arte da movimenti politici minoritari.

 

DOMENICO BONVEGNA

dbonvegna1@gmail.com