Ogni anno l’Organizzazione delle Nazioni Unite giustamente celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Perfetto, celebriamola pure, come si sta facendo. Facciamo memoria del male fatto contro le donne e attiviamoci con spirito consapevole. Puntiamo, insomma, alla condanna ferma di qualunque forma di violenza.
Ma nello stesso tempo però “facciamolo tutti smettendo di indossare la maschera ipocrita, consueta a un certo mondo, di chi si straccia le vesti con lo slogan «Non una di meno», che tinge le panchine di rosso, che espone tacchi a spillo sui davanzali, ma che poi non vuole affrontare il problema in tutta la sua globalità. Perché, per essere un grido di giustizia, «Non una di meno» deve essere piuttosto «Non una di meno sia dentro sia fuori il grembo materno». (Giusy D’Amico, Non una di meno dentro e fuori il grembo materno, 25.11.21, ifamnews.com). La presidente dell’associazione, “Non si tocca la famiglia”, ha ribadito che non si può più tacere, per esempio, “il più grande ed efferato femminicidio di massa che in Cina si è consumato per troppi, lunghi anni con la politica della soppressione del secondo figlio, che di preferenza ha sterminato anzitutto e soprattutto le femmine”. In pratica in Cina dopo aver inseguito la “«politica del figlio unico», ma solo maschio, perché, dopo le follie economico-politiche del maoismo, i cittadini cinesi risultavano essere troppi, ora si torna indietro senza che dei milioni fra bimbi morti o nemmeno concepiti, di preferenza le femmine, vi sia più traccia”. Insomma, secondo la D’Amico, andrebbe indetta la Giornata internazionale della memoria per le vittime innocenti del regime cinese, ree solo di essere state concepite femmine. Ma sui media non vi è una sola parola e per le strade non vi sono manifestazioni che gridino il dolore per questo olocausto femminile cinese. Che peraltro non è solo cinese. C’è anche in India, che non è un Paese per le donne, dove esiste il femminicidio fetale. La pratica dell’aborto selettivo è sempre più diffusa, ed ha determinato un preoccupante squilibrio tra i sessi. Pare che la soppressione preferenziale delle bambine non ancora nate sia più diffuso tra i ceti benestanti piuttosto che tra i poveri. Pertanto, il boom economico indiano è insomma andato di pari passo con l’oppressione della donna.
Secondo la rivista scientifica, The Lancet, la causa più credibile del fenomeno risiede nella sempre maggiore diffusione dello screening prenatale, cui segue, in molti casi, l’aborto, malgrado la selezione prenatale dei feti in base al sesso sia stata definita «dannosa» dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2019.
Tuttavia, “la piaga più crudele resta l’aborto selettivo in base al sesso: «una delle peggiori forme di violenza e di discriminazione contro le donne e le ragazze», afferma Anushree Bernard portavoce di ADF India per la campagna Vanishing Girls. «Il crescente squilibro del rapporto tra i sessi tra i bambini in India mostra che, come Paese, abbiamo fallito nella tutela delle donne». (Luca Marcolivio, Femminicidio fetale, il record indiano, 27.5.21, ifamnews.com).
E poi, perché non si parla della crudele pratica della violenza dell’«utero in affitto»?
Perché non si organizzano campagne di condanna e di divieto per tutti quei programmi, film, musical, serial, dove la donna è ancora esposta alle telecamere per essere considerata oggetto di consumo e di piacere fine a sé stesso? E che dire della pornografia. Nessuno collega la piaga del femminicidio alla pornografia dilagante. Si può fare qualcosa per quanto riguarda l’oltraggio al pudore, così come esistono leggi contro la pedopornografia, si possono emanare leggi anche per impedire la produzione di pornografia violenta, che degrada e abusa le donne. Lo scrivevo presentando il libro dello psicoterapeuta americano, Peter Kleponis, “Uscire dal tunnel”, (D’Ettoris editore, 2019).
“Il tema della violenza sulle donne deve avere il coraggio di guardare oltre la violenza domestica o casuale – scrive Giusy D’Amico – Dovrebbe saper guardare a tutti gli aspetti che, nella globalità delle sfaccettature con cui questo agghiacciante fenomeno si presenta, dovrebbero imporci di considerare l’abuso della dignità femminile nel suo complesso”.
E invece il politicamente corretto si volta altrove e cavalca solo gli aspetti della questione che trova utili e funzionali a un certo tipo di propaganda.
Questa non è giustizia. Chi sottoscrive, adesso, subito, la frase «Non una di meno dentro e fuori il grembo materno»? Si domanda la D’Amico. Solo così si può uscire dagli stereotipi che limitano la comprensione profonda di ciò che davvero è la violenza sulle donne.
DOMENICO BONVEGNA
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