Coro ligneo di Sant’Agostino, come un viaggio nella Pesaro antica degli Sforza

Quando amici o conoscenti si accingono a visitare Pesaro, la città in cui vivo, non è raro che mi chiedano quali siano le opere d’arte e gli edifici storici più importanti. Non è difficile elencare quelli più noti, dal Duomo a Palazzo Ducale, dai Musei Civici (con la Pala di Giovanni Bellini) a Rocca Costanza, da Villa Imperiale al Museo Diocesano, dalla Sinagoga italiana alla casa natale di Gioacchino Rossini. Vi è tuttavia una meraviglia che consiglio sempre di non trascurare, perché è uno degli esempi più notevoli di un’arte tutta italiana che, nel contempo, racchiude gran parte della memoria storica della città.

Si tratta del coro ligneo della chiesa di Sant’Agostino. La chiesa, risalente al XIII secolo, ha subito diverse trasformazioni architettoniche nel corso dei secoli. Inizialmente in stile romanico, è stata successivamente arricchita con elementi gotici grazie all’intervento della famiglia Malatesta. Oltre al campanile, si conserva di quel periodo lo stupendo portale gotico-veneziano della facciata in pietra d’Istria e marmo rosso di Verona. Il pregiato coro intarsiato di cui mi occupo in questo articolo è stato aggiunto nel XV secolo. Nel 1700 il tempio è stato ristrutturato in stile tardobarocco. L’interno, un tempo a tre navate, presenta ora un corpo centrale con arcate, ornamenti a stucco, altari in scagliola e dipinti di Palma il Giovane, Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, Simone Cantarini, Cesare Pronti, Giangiacomo Pandolfi. Vi è un Organo di Gaetano Callido risalente al XVIII secolo. Il convento annesso, demolito nel 1910, era caratterizzato da due chiostri colonnati.

Se vi è qualcuno, a Pesaro, che conosce in ogni particolare la chiesa di Sant’Agostino, è Giuseppe Frulli, esperto di storia e cultura pesarese nonché instancabile promotore culturale del tempio cristiano. Guidati da lui, alcuni miei amici e io siamo recentemente tornati a visitare il coro ligneo della chiesa, “un capolavoro notevole soprattutto per le sue tarsie lignee – ci ha detto Giuseppe – raffiguranti alcune immagini uniche della Pesaro sforzesca. La parte inferiore e le tarsie sono della fine del 1400, i postergali e la cornice superiore del XVI secolo”.

Non vi è storico dell’arte che si accinga a scrivere sul coro della Chiesa di Sant’Agostino senza prima aver consultato la nostra guida, ascoltato le sue analisi e considerazioni, visionato il materiale documentale e fotografico che possiede.

Esistono cori lignei meno antichi, del tardo Rinascimento e del Barocco, che destano ammirazione e commenti entusiastici e che tuttavia possiamo collocare più nell’ambito dell’alto artigianato che in quello della pura arte. Nelle Marche le tradizioni dell’ebanisteria e dell’intaglio sono antiche e consolidate e hanno prodotto, oltre alle tarsie e al mobilio dei cori, statue devozionali, soffitti, cornici e strumenti lignei come fusi e pipe. Tuttavia, è nella seconda metà del XV secolo che identifichiamo nelle tarsie e nelle sculture presenti nei cori vere e proprie opere d’arte, che rivaleggiano per modernità e pregio con la pittura dei maestri. Nel coro ligneo della chiesa pesarese si possono ammirare intarsi di notevole realismo, una vera e propria galleria che mostra alcuni fra i risultati più notevoli mai raggiunti dalla tarsia. Non sappiamo in quale abside fosse l’opera, in noce e altri legni, commissionata dagli Sforza, prima di essere installata presso la Chiesa di Sant’Agostino. Secondo la nostra guida, è possibile che si trovasse presso la sala Laurana del Palazzo Ducale. Mancano documenti che attestino l’artista che la concepì o la bottega in cui fu realizzata e da cui fu trasferita in parti divise, per essere successivamente montata nella sede prescelta. La struttura, situata dietro l’altare maggiore, è formata da due ordini di venti più trenta stalli lignei intervallati da tarsie negli specchi e nelle cornici. Gli specchi centrali, i più antichi, rappresentano ventitré scorci architettonici o vedute panoramiche di Pesaro nel XV secolo. Sono tarsie prospettiche di bellezza straordinaria, in cui riconosciamo ancora Palazzo Ducale, le rocche Costanza e di Gradara, Porta Fanestra, la Chiesa di San Giovanni Battista e forse la Chiesa di San Francesco, oggi Santuario della Madonna delle Grazie.

Trovarsi davanti al coro significa immergersi nelle profondità storiche e artistiche di Pesaro, che non sono conosciute da tutti; significa lasciarsi trasportare indietro nel tempo, alla scoperta di preziose immagini che raccontano secoli di storia e cultura. Si tratta di un’opera che incanta e affascina per la maestria di chi la realizzò e per la sua unicità testimoniale. È una creazione di autentica bellezza che riveste una duplice importanza: da un lato, come accennato sopra, rappresenta un affresco vivido della Pesaro quattrocentesca, catturando con dettagli realistici palazzi, chiese e panorami urbani ormai perduti nel tempo. Dall’altro, celebra eventi di notevole rilevanza storica, fra cui il matrimonio tra Costanzo Sforza e Camilla D’Aragona, simboleggiato da due piccole sculture in legno che ritraggono gli sposi sotto le sembianze di basilischi alati, che sono posti sui braccioli centrali del secondo ordine di scanni e riportano la simbologia sforzesca.

 

Ogni tarsia esprime una memoria dei luoghi e delle trasformazioni della città. Il coro fu donato agli Agostiniani nel XVI secolo e successivamente collocato lungo le navate della chiesa. La sua attuale posizione, risalente alla fine del XVIII secolo, si inserisce nella trasformazione della chiesa in stile tardobarocco e ha conferito al coro un’atmosfera ancora più solenne e imponente. Le tarsie dei seggi e dei braccioli sono vere e proprie testimonianze di fede e alleanza, con gli emblemi della casata degli Sforza scolpiti con cura e precisione: l’anello con diadema a cinque facce, le ali di pipistrello, i basilischi, le foglie di cardo gobbo. Questi dettagli non solo arricchiscono l’estetica del coro, ma rivelano anche i legami profondi tra l’Ordine mendicante degli Agostiniani e la casata degli Sforza, una connessione tangibile attraverso le due uniche tarsie figurate. In una di esse, San Nicola da Tolentino celebra l’Eucaristia, mentre nell’altra il priore del convento offre l’atto costitutivo dell’ordine a un vescovo, simboli evidenti di una relazione duratura e significativa.

Nel Cristianesimo, il coro ha un significato di prima importanza, essendo la parte della chiesa destinata ad alti dignitari ecclesiastici e alla Schola Cantorum. È incentrato sull’insieme degli stalli che costituiscono il mobilio più prezioso, abbellito e riempito di significati dalle tarsie. L’intarsio o tarsia lignea è un tipo di decorazione che si realizza accostando minute tessere di legni differenti per formare figure astratte o realistiche. Se conosciamo diversi esempi di intarsi marmorei già nel V secolo, l’intarsio del legno fece la prima comparsa in Italia nei monasteri benedettini nel corso del VI e del VII secolo, per poi diffondersi nel XIV secolo e in epoca rinascimentale, soprattutto fra il 1440 e il 1550.

Riguardo agli autori del coro, e in particolare delle tarsie, sicuramente vanno identificati con i fabbri lignarii di una bottega rinomata, specializzati nella raffigurazione di città non più ideali, ma reali. Artigiani di grande perizia nella tecnica della tarsia prospettica, capaci di trarre dal cartone di un artista gli effetti e gli artifici che potessero dare la massima dignità alla tecnica che il Vasari definì “musaico di legname”. Gli artisti che fornivano i cartoni lavoravano a stretto contatto con gli ebanisti, mettendo a frutto gli studi prospettici di Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Piero Della Francesca, Paolo Uccello. Il Vasari definì nelle Vite la tarsia come una tecnica inferiore alla pittura, poiché realizzata a imitazione di quella. Un giudizio che si può accettare per gli intarsi successivi al 1530/1540, mentre ai lavori dei maestri lignarii quattrocenteschi si deve riconoscere il merito di aver operato in base a nuovi canoni, creando un’iconografia completamente originale e anticipando i risultati delle altre arti plastiche del Rinascimento. L’intarsio è a tutti gli effetti un’arte nuova, totalmente italiana e capace di produrre risultati mai visti prima, tanto che qualcuno l’ha definita come “il cubismo del Rinascimento”. Le tarsie del XV secolo, inoltre, erano realizzate attraverso la composizione di legni naturali, senza le colorazioni artificiali di cui si avvarranno le botteghe cinquecentesche. L’epicentro principale si sviluppò a Firenze e Siena.

Fra i massimi esponenti del periodo devono essere ricordati il “Francione”, Giuliano e Benedetto da Maiano, Baccio Pontelli di Firenze, il senese Barili, Antonio Bencivenni, marchigiano di Mercatello sul Metauro, Arduino da Baiso di Ferrara, Pier Antonio degli Abbati di Modena. Una panoramica essenziale di opere degne di essere ammirate – vere e proprie meraviglie lignee – può prendere avvio dal Coro della basilica milanese di Sant’Ambrogio, commissionato nel 1469 ai maestri Lorenzo di Odriscio, Giacomo de’ Torri e Giacomo del Maino, andato pressoché distrutto sotto i bombardamenti dell’ultima guerra, ma visibile nei disegni e nelle foto che ne documentano la bellezza. Oppure da quello di San Francesco a Pavia, nel quale vengono illustrati paesaggi con piante e fiori. Fra gli altri cori di cui avere memoria, quello splendido della Certosa di Pavia (1487-1490), vero trionfo dell’intarsio. Quindi il coro del Duomo di Cremona (1482-1490) con vedute campestri, chiese, animali, castelli, palazzi, figure di santi. Fra le opere che mostrano vedute cittadine vanno citati lo splendido coro di Santa Maria delle Grazie (1470), a Firenze, e quello tardorinascimentale di Santa Maria della Scala (1560), ora in San Fedele, a Milano.

Queste opere sono uniche e rappresentano un’arte nuova, anche se i cori lignei avranno una diffusione straordinaria fra il Rinascimento e il Barocco, periodo descritto da Luca Beltrami come “il più fiorente dell’arte dell’intaglio”. Ed è vero che spesso, più che i capolavori quattrocenteschi, viene encomiata la qualità di cori successivi, come quello del Duomo di Milano, costruito negli anni dal 1567 al 1614, nel quale un gran numero di pannelli narrano la vita di Sant’Ambrogio e altrettanti ricordano i santi le cui reliquie sono venerate in città. Successivamente artifici come dorature o policromie daranno ulteriore imponenza ai cori lignei, allontanandosi dal poetico realismo e dalla sintesi delle origini.

Se Firenze e Siena erano le capitali della tarsia, anche nella zona appenninica delle Marche quest’arte, grazie anche alla presenza di maestranze toscane, si affermò diffusamente. Già nel XIV erano attivi nelle Marche intagliatori di grande inventiva e perizia, come Giovanni Di Matteo Colucci, autore del coro della Cattedrale di Ascoli, padre di Paolino Di Giovanni detto Paolino Da Ascoli, creatore di tarsie di notevole pregio. Stabilitosi a metà del XV secolo a San Ginesio, presso Macerata, Paolino era assai apprezzato per i suoi lavori, soprattutto cori lignei, da Tolentino a Perugia e Assisi. Anche Paolino lavorava a contatto con artisti toscani, come mastro Tommaso di Antonio Franchini da Firenze. La bottega di Paolino collaborava, inoltre, con quella di Domenico Indivini da Sanseverino, il più importante intagliatore marchigiano del XV secolo. Formidabile autore di cori, fra cui quelli del duomo di Sanseverino (1483), della cattedrale di Jesi (1485), del monastero di Santa Chiara a Camerino (1489), l’Indivini introdusse nelle macchine lignee la tarsia, evidenziando un’importante familiarità con i modelli toscani.

Le tarsie cittadine del coro pesarese presentano uno stile e un immaginario che richiamano alcune tarsie dell’Indivini, ma anche le vedute cittadine prospettiche del già citato Antonio Bencivenni. Sono elementi che inducono a pensare a una partecipazione di più artisti nella creazione del coro ligneo della chiesa di Sant’Agostino a Pesaro, collegando tecniche e scelte iconografiche a un più ampio contesto artistico dell’epoca. Gli elementi decorativi, come i basilischi, mostrano somiglianze stilistiche con i draghi e le chimere antropomorfi presenti nei braccioli dei cori di San Domenico a Perugia (1476) e di Santa Maria in Organo a Verona (1494-1498), attribuiti a Giovanni da Verona.

Ho citato alcuni artisti del legno attivi nelle Marche ai tempi del nostro coro e tuttavia non possiamo affermare con certezza chi abbia collaborato alla sua creazione, anche se, come scritto, si rilevano qua e là analogie con i lavori di alcuni dei più celebri maestri del tempo. Si è parlato anche dei maestri scultori e intagliatori Antonio e Andrea Barili, autori del coro della Chiesa di S. Maria Nuova di Fano ed è sicuramente opportuno citare le loro opere fra i riferimenti riguardanti il coro ligneo pesarese. Considerata l’importanza del committente, non si dovrebbero ignorare neanche artisti quali Benedetto Da Maiano, ma anche Francesco di Giorgio Martini, fra i possibili autori dei cartoni relativi alle tarsie prospettiche, data la loro splendida invenzione e notevole qualità.

Al termine della visita, abbiamo appreso delle attività svolte ogni anno da Giuseppe Frulli – esperto tanto competente quanto modesto – affinché il coro ligneo del Sant’Agostino sia tutelato e valorizzato come una delle meraviglie della città. I miei amici e io ci sentiamo molto prossimi alla sua instancabile attività di promozione culturale di un autentico capolavoro di ebanisteria e intarsio, realizzato nel periodo aureo di questa forma d’arte di cui il nostro Paese fu precursore e patria degli autori più innovativi e virtuosi.

 Roberto Malini

 

Nella foto di Fabio Patronelli, da sinistra, Roberto Malini e Giuseppe Frulli