Gentile signor Pres. Conte,
mentre La ringrazio per la Sua umanità e le parole non retoriche, che pronuncia parlando alla gente, desidero farle qualche minima segnalazione. A mio modesto parere lo scontro con il Covid-19 non può essere paragonato realmente ad una guerra, infatti la guerra la fanno gli uomini con stupidità, avidità e cattiveria. Gli effetti sì, saranno simili se non peggiori a quelli di una guerra mondiale come la recessione globale che porterà a sofferenza, povertà, mancanza di lavoro.
Mi rendo conto che la priorità è la salute dei cittadini, ma, anche se è difficile, è necessario tornare ad una parvenza di normalità quanto prima. Cioè prima che le piccole aziende ed i negozi a gestione familiare non possano più riaprire. So che significa perseguire due obiettivi contrastanti quanto imprescindibili in contemporanea. La follia strisciante di alcuni pervade il nostro tempo ad esempio minacciare ed assalire i soccorritori, di ritorno dalle zone rosse, invece di accoglierli come trionfatori.
Oppure andare in giro a vanvera, tanto per farlo, in barba ad ogni regola di buon senso. Ciò detto aggiungo un pensiero che mi sta molto a cuore. Attenzione a non logorare “sine die” i diritti inviolabili dell’uomo, sanciti dalla nostra Costituzione. Sa presidente che la vita stessa è pericolosa e che non si può esorcizzare la morte chiudendosi in casa per sempre. Ed inoltre non credo che gli anziani siano così fragili (tanto è vero che avete chiesto ai medici in pensione di lavorare in prima linea).
Credo invece che molti anziani siano amareggiati e messi ai margini come se il loro bagaglio di esperienza non potesse servire a niente e a nessuno. Mia madre, nata a settembre del 1915, ha vissuto la seconda guerra mondiale ed il fascismo, aveva un comando tedesco nella sua casa a Montemarciano (AN), poi ha vissuto gli anni di piombo e delle stragi e a 85 anni suonati – anche in pieno inverno – andava a fare lezione di catechismo a Torrita Tiberina, da sola in macchina, per 50 km e tornava nella notte, incurante delle preghiere di figli e nipoti alle quali rispondeva, brusca e ironica, “mi seppellirete quando sarò morta”.
Questo vale anche per me – solo che intendo essere cremata – che ho 73 anni compiuti e che se non sono infettiva non posso, non voglio e mi rifiuto di trascorrere le ore, i giorni o gli anni che mi restano, agli arresti domiciliari nella bambagia senza sapere se e quando potrò mai tornare a vivere le piccole cose della vita normale. Intendo dire che la morte deve trovarmi viva. Tanto più che per esempio in America, la media dei morti riguardava i cinquantenni. Comunque preferisco morire dispersa nel deserto dei Gobi che per un banale virus.
Ciò detto desidero ricordarLe che un uomo, i cui diritti inviolabili sono stati cestinati dal Parlamento e dallo Stato, che si chiamava Aldo Moro ed era mio padre, è – insieme al ministro Taviani – la persona che ha accettato di creare da prima in via sperimentale la Protezione Civile subissato dalle preghiere della sua figlia maggiore diciassettenne, di ritorno dal Vajont dov’era stata con un gruppo scout e che si era messa in testa che dovesse essere approntato un servizio per le grandi emergenze, nel quale i volontari civili affiancassero i Vigili del Fuoco della prima colonna mobile ed i militari nell’aiuto delle popolazioni colpite dalle calamità.
E così mi sono trovata a Firenze alluvionata per due mesi (e mi rifiuto di sentir parlare di angeli del fango), ed ho visto i Vigili del Fuoco lavorare fino a svenire e negli anni seguenti morire di tumore al fegato quasi tutti quelli che avevano fatto funzionare le idrovore. Sono stata capo campo di Santa Margherita Belice 1bis dal febbraio 1968 in avanti per il terremoto in Sicilia. Quindi breve nota a margine: “lei Presidente lo sa che la legge 206 del 2004 in favore delle vittime non vale, nel senso che non viene applicata, per quel Aldo Moro costituente, cattedratico a 24 anni, giurista, educatore?
Volevo solo ricordare che l’Italia deve ad Aldo Moro ed anche a me la nascita della Protezione Civile e già che ci siamo voglio ricordare il direttore generale del Ministero dell’Interno, prefetto Giuseppe Migliore, al quale era stata affidata la sperimentale e crescente Protezione Civile ed il professor Enrico Massocco, leggendario direttore del centro ginnico sportivo della scuola centrale antincendi dei Vigili del Fuoco Capannelle di Roma. Venivano fin dal Giappone a vedere i suoi programmi innovativi e di ginnastica professionale, nonché i suoi straordinari saggi. Come il prefetto Migliore e mio padre, si trattava di persone illuminate.
Sono rimasta nella Protezione Civile fino a quando non è stata promulgata la legge che la costituiva ufficialmente e per la quale in tanti ci eravamo battuti – parlo di scout figli di parlamentari – che avevano acconsentito a sperimentarla per conto dello Stato. La legge prevedeva che i volontari sarebbero stati pagati ed io me ne sono andata perché ero giovane ed idealista e per me i volontari lavorano gratuitamente, trovavo offensivo che così non fosse.
Ma come per telescuola, l’educazione civica e tanto altro, il grazie va ad Aldo Moro per aver permesso che esistesse la Protezione Civile Italiana. Non sarebbe ora che, a 42 anni dalla sua morte terrificante, l’Italia desse a mio padre gli stessi identici benefici previsti dalla legge e concessi ad ogni altra vittima del terrorismo escluso lui. Se non per la sua bontà, se non per averlo abbandonato a morire da solo, se non per diritto legittimo sancito dalla legge, se non per la tortura della sua agonia, almeno per la Protezione Civile, straordinario strumento di civiltà e solidarietà nel soccorso? Non sarebbe ora, questa ora, di restituirgli i diritti inviolabili che gli sono stati negati e seguitano ad essergli negati? E’ paradossale che tali diritti inviolabili ed irrinunciabili non valgano proprio per chi li ha scritti nella Costituzione formale.
Quando usciremo dall’emergenza fido di ricevere una risposta da lei, che è, a sua volta professore universitario, presidente del consiglio, uomo del sud e umano. Il 28 febbraio 1978, nel suo ultimo discorso ai gruppi parlamentari, Aldo Moro ha detto, tra l’altro: “se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.
Con questa visione nel cuore le auguro ogni bene.
Maria Fida Moro