di ANDREA FILLORAMO
La malattia è parte integrante della storia dell’umanità e denuncia la precarietà e la misteriosità della vita, l’ostacolo che l’uomo, fin dai suoi esordi ha dovuto affrontare per poter agire e contro il quale ha sempre lottato, ora affidandosi alle divinità, ora servendosi di mezzi naturali e infine confidando nella scienza che in una certa misura ed in modo progressivo gli ha dato la possibilità di approntare rimedi, mai però totalmente e definitivamente risolutivi di alcuni malanni che a volte lo conducono alla morte in ogni caso inevitabile,
Da quando, inoltre, l’essere umano ha iniziato a organizzarsi in società e a creare nuclei di persone che convivono insieme nello stesso spazio, alcune malattie sono state contagiose e hanno assunto, così, un ruolo particolare, divenendo, col passare del tempo anche pandemie, che hanno trasformato le società in cui sono comparse e che hanno cambiato o influenzato in modo decisivo il corso della storia, tenendo in scacco l’umanità, che tuttavia, superati quei momenti, è andata avanti fino ai nostri giorni.
Per secoli – anzi per millenni – l’uomo ha convissuto, non tanto con la paura o con il terrore di morire, essendo ben cosciente che la morte è il destino ultimo di ogni essere vivente, ma con il desiderio di rimandare la morte il più possibile, facendo teorizzare a due professori della McGill University di Montreal, che hanno fatto una ricerca scientifica, che il limite della vita non può superare i 115 anni.
Pare che l’uomo si sia convinto sempre di più che la pandemia è uno dei modi naturali attraverso il quale si realizza una certa selezione naturale, che si accompagna ad altri mezzi, chiamiamoli pure artificiali, di cui egli si è servito e si serve per venire incontro ai suoi bisogni egoistici.
Per tal motivo, per secoli, nelle chiese si è sentita la litania: “a peste, fame et bello, libera nos Domine”, cioè si pregava il Signore di tener lontane la peste, una terribile pandemia che colpiva periodicamente, la fame, che ancora oggi è presente in buona parte del mondo, la guerra che non è mancata mai e, quindi, in parole povere si chiedeva la liberazione dalla morte, esito fatale delle altre tre…
E allora? È passato moltissimo tempo dal periodo di Giustiniano, da quando, cioè la peste si diffuse ad una velocità vertiginosa, quando anche lo stesso Imperatore fu egli stesso vittima, ma riuscì a guarire; da quel tempo in cui alla fine dell’epidemia, la capitale imperiale aveva perso quasi il 40% della sua popolazione, e in tutto l’impero avevano perso la vita 4 milioni di persone.
È passato anche molto tempo dai tempi di Boccaccio, in cui egli ha descritto la peste che colpì Firenze (e l’Europa intera) nel 1348, concentrandosi sul degrado morale della società che l’epidemia ha portato con sé in città. Gli storici sanno che, proprio in quegli anni, questa epidemia, proveniente dall’Asia centrale imperversò in tutto il mondo e che essa raggiunse Messina e poi Marsiglia e Genova, mentre stava infuriando già nell’Isola di Cipro, ad Alessandria e al Cairo; un anno dopo, stava devastando le città interne del mondo mediterraneo e aveva già invaso i porti atlantici francesi, inglesi, danesi. Tutta l’Europa fu praticamente interessata al contagio.
Era questa la peste nera, la peggiore epidemia a metà del XIV secolo. Era conosciuta per i suoi precedenti, ma le sue cause e il suo trattamento erano completamente ignorati. Questo, assieme alla velocità di diffusione, l’hanno resa una delle più grandi pandemie della storia. Solo cinque secoli più tardi venne scoperta la sua origine animale, e il suo collegamento con i ratti, che durante il Medioevo convivevano nelle grandi città con le persone e si spostavano addirittura con gli stessi mezzi di trasporto, come le navi, per esempio, verso città lontane, portando il virus con sé.
I numeri che ha lasciato dietro di sé questa epidemia sono sconvolgenti. Secondo i dati in possesso degli storici, si stima che la penisola iberica perse circa il 60-65% della popolazione e la Toscana fra il 50 e il 60%. La popolazione europea passò da 80 a 30 milioni di persone.
Che dire poi del virus del vaiolo, una malattia grave ed estremamente contagiosa che decimò la popolazione mondiale dalla sua comparsa, arrivando ad avere tassi di mortalità fino al 30%? Fortunatamente, è una delle due uniche malattie che l’uomo è riuscito a debellare con la vaccinazione.
Aggiungiamo l’influenza spagnola: nel marzo 1918, durante gli ultimi mesi della Prima Guerra Mondiale, che si diffuse in tutto il mondo contemporaneamente agli spostamenti delle truppe sui fronti europei. I sistemi sanitari rischiarono il collasso e le camere mortuarie funebri non riuscivano a stare al passo con le vittime. Si stima che il tasso di mortalità globale fu tra il 10 e il 20% degli infetti, e in tutto il mondo morirono fra le 20 e le 50 milioni di persone.
All’influenza spagnola aggiungiamo il virus influenzale A (H2N2) di origine aviaria è comparso nel 1957 e in meno di un anno si diffuse in tutto il mondo, registrando un milione di morti in tutto il pianeta.
Ancora l‘Influenza di Hong Kong, una variazione del virus influenzale A (H3N2) fu registrata in questa città nel 1968 e si diffuse in tutto il mondo con un milione di vittime.
Non dimentichiamo Il virus dell’Immunodeficienza umana (HIV), una delle più gravi e più recenti pandemie conosciute dalla società.
Certo che il quadro delineato è veramente terribile e dinnanzi all’avanzata, oggi, del Covid-19, se guardiamo al passato, ai morti, alle sofferenze prodotte dall’incapacità o dall’impossibilità dell’uomo di controllarne le nefaste conseguenze, dovremmo arrenderci a questo fiume in piena che ci toglie il respiro e non ci fa guardare al futuro con un certo ottimismo.
Questa forse è stata la politica di quanti, assumendosi una responsabilità non solo politica ma morale, hanno diffuso la paura, anzi il terrore, che ritengo sia una patologia molto più pericolosa dello stesso virus che viene alimentato dalle deficienze immunologiche che scaturiscono dalla stessa paura, assieme alle precauzioni che legittimamente hanno suggerito.
E allora? Dall’ influenza spagnola sono passati cento anni e molto si è saputo dei virus e di come ci possiamo difendere.
Dobbiamo avere il coraggio di spegnere i televisori quando essi divulgano notizie contradittorie, provenienti anche da pseudo- scienziati, in lotta fra di loro.
Ringraziamo gli scienziati, quelli veri, che ci hanno detto tutto ciò che si conosce di questo virus, della sua relativa pericolosità, che non coincide con la sua contagiosità, delle strategie da dovere utilizzare per difenderci.
Sta, quindi, in ciascuno di noi il dovere di porre degli argini alla sua diffusione; dobbiamo, quindi difendere la nostra salute e quella degli altri, senza farci prendere dal panico.
È assurdo affollare i pronto-soccorso, intasandoli, richiedere tamponi che, al massimo, ci fanno sapere se siamo o non siamo, in un determinato tempo molto limitato, positivi al virus oppure no: essere positivi e per lo più asintomatici, non significa – da quel che sappiamo, oltretutto – essere ammalati.
E se ciò dovesse accadere, non è detto che siamo destinati a finire in terapia intensiva o nell’ingiustificato numero dei morti, che giornalmente si traducono in necrologi, che atterriscono.
I Signori Politici sono obbligati a riorganizzare il sistema sanitario, per permetterci eventualmente di curarci in casa, adottando quei rimedi che sono stati utilizzati misteriosamente dall’ottantacinquenne Berlusconi, dall’anziano miliardario Briatore e dallo stesso Trump, affermando, non solo a parole, che la salute non è riservata ai ricchi!
Siamo ormai certi che la fine della pandemia dipende dall‘informazione, e dalla formazione dei suoi specialisti e dalle precauzioni che ci vengono suggerite e non dagli interessi della classe politica. Essa potrà avvenire quando la società svilupperà un’immunità collettiva anche se il virus mai scomparirà del tutto, come dopo l’influenza spagnola del 1920 quando tracce dello stesso virus sono state trovate per tanto tempo. Occorre, quindi, saper convivere, sdrammatizzando il virus.
Lo sappiamo: le persone sono talmente stanche e bisognose di riprendere la propria quotidianità e ciò arriverà se opportunamente aiutate a vivere, usando sì tutte le precauzioni possibili ma come se la pandemia fosse terminata anche se ciò porterà ad alcuni cambiamenti del nostro vivere quotidiano e sociale.
Lo storico Claret cita alcuni dei cambiamenti che l’influenza spagnola introdusse a livello di igiene personale e sociale, come una prima attenzione primaria, una certa preoccupazione per un urbanesimo più umano, che evitasse gli agglomerati e la volontà di realizzare opere igienico-sanitarie nelle grandi città. È questa una lezione per i nostri uomini politici di qualunque colore, che, se veramente vogliono difenderci da un virus che ci assale, devono riprogrammare la loro azione politica per restituirci il senso del vivere assieme in piena autonomia, senza la necessità di DPCM, che continuamente piovono sulla nostra testa.