Digital hate e donne, la misoginia corre sul web. Qualcuno direbbe che corre soprattutto sul web, in quanto mezzo che ha ampliato le possibilità di espressione della già presente violenza contro le donne. È di qualche settimana fa la notizia riportata dalla Polizia di Stato in occasione della giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne: sono 104 le vittime di femminicidio nel 2022.
Se il femminicidio è l’espressione più estrema della violenza, sono tante le forme in cui essa si manifesta: reati spia come stalking, maltrattamenti, o annullamento dell’individuo come la costrizione al matrimonio, gli abusi fisici e psicologici. La corrente misogina che attraversa l’oceano della Rete è presente, e lungi dall’essere una manifestazione prettamente “virtuale”, assume le sembianze di un abuso in piena regola. Si parla in questo caso sia delle intimidazioni che, partendo dalla vita reale, usano i social media per compiersi (si pensi allo stalking o ai divieti di avvicinamento), che della misoginia ad uso e consumo di piattaforme social.
La violenza di genere online è un fenomeno che nel mondo riguarda 1 donna su 3
Una indagine condotta nel 2022 dal CCDH (Center of Countering Digital Hate) ha analizzato i profili di 5 donne presenti su Instagram, che raccolgono insieme quasi 5 milioni di follower (4,8 milioni). Lo scopo della ricerca era valutare se le regole di Instagram, che vietano espressamente messaggi di violenza, molestie, e minacce, fossero effettivamente ed efficacemente rispettate. Insomma ci si chiedeva se i proclami della piattaforma corrispondessero poi a una effettiva tutela delle persone, in particolare, in questo caso delle donne. Le donne messe sotto la lente dell’indagine appartengono ai più diversi ambiti, ma tutte rappresentano una certa idea di popolarità, successo, o potere: Amber Heard, attrice entrata al centro di polemiche durante il processo contro il suo ex marito, Johnny Depp, nonché ambasciatrice ONU per i diritti umani. E ancora: Racherl Riley, presentatrice televisiva e ambasciatrice del CCDH; Jamie Klingler, co-fondatrice di Reclaim These Streets; Bryony Gordon, pluripremiata giornalista e attivista per il diritto alla salute mentale; Sharan Dhaliwal, fondatrice della rivista di cultura Burnt Roti in Asia meridionale.
Instagram vieta apertamente messaggi di odio, misoginia, omofobia, razzismo, nudità o atti sessuali
Sappiamo che Instagram vieta apertamente messaggi di odio, misoginia, omofobia, razzismo, nudità o atti sessuali, violenza esplicita o minacce, e ogni tipo di incitamento a tali pratiche. Il problema dell’effettivo rispetto delle regole è presente soprattutto nei messaggi privati, ovvero nel Direct Messaging (DM), dove è sempre più complicato vigilare. Secondo l’analisi del CCDH, per molte donne Instagram non è un luogo sicuro: su 8.717 messaggi inviati in DM, 1 su 15 infrange le regole di Instagram su abusi e molestie. I ricercatori hanno inoltre registrato 125 esempi di abuso sessuale basato su immagini (IBSA), un atto recentemente annoverato come reato dal governo del Regno Unito. Di tutte le note vocali ricevute dalle donne che si sono prestate all’indagine, 1 su 7 era offensiva, mentre Instagram consente a degli estranei di effettuare chiamate vocali in DM a donne che non conoscono. Questa analisi si basa sui “download di dati” di Instagram inviati da Rachel Riley, Jamie Klingler e Sharan Dhaliwal. Amber Heard e Bryony Gordon non sono stati in grado di ottenere il download completo dei propri dati. Sempre secondo la suddetta indagine, Instagram non interviene su 9 messaggi offensivi su 10 ricevuti in DM, dimostrando che gli strumenti a protezione degli utenti utilizzati dalla piattaforma non sono efficaci. A questa raccolta di dati hanno potuto partecipare Amber Heard, Rachel Riley e Sharan Dhaliwal poiché non avevano rimosso i messaggi offensivi ricevuti né bloccato i loro mittenti, ovvero 253 account artefici degli abusi in DM.
Digital hate, su 8.717 messaggi inviati in DM, 1 su 15 infrange le regole di Instagram
Secondo i ricercatori del CCDH, la piattaforma in questione può agire su diversi fronti per far sì che internet sia un ambiente più sicuro e confortevole, soprattutto per le donne. I problemi tecnici da risolvere al momento sono numerosi: innanzitutto, non è possibile segnalare le note vocali, –offensive o che violino le regole di Instagram – ricevute in DM, come invece avviene per i commenti sotto ai post. È inoltre difficile scaricare prove di messaggi offensivi ricevuti in DM, come ad esempio i messaggi arrivati in “vanish mode” (contenuti temporanei che svaniscono con la chat), che l’utente non è in grado di riconoscere e segnalare. La segnalazione fatta alla piattaforma è al momento l’unico strumento in grado di mettere fine ad abusi e azioni non conformi alle regole di Instagam, e sembra non funzionare efficacemente per il DM. CCDH conclude l’indagine con alcune pratiche utili per la piattaforma:
- rendere più efficienti i sistemi di segnalazione degli abusi;
- vietare a profili sconosciuti di accedere alle modalità in cui si manifestano gli abusi (invio di foto o note vocali da parte di sconosciuti);
- alzare l’attenzione sulle segnalazioni, che al momento soddisfano solo condizioni di abuso diretto, mentre lasciano fuori tutti gli abusi che avvengono in DM.
Instagram non interviene su 9 messaggi offensivi su 10 ricevuti in DM
La normalizzazione della comunicazione via social ha forse fatto smarrire l’idea di sicurezza e di rispetto, soprattutto verso le donne che subiscono varie forme di molestia da parte di profili sconosciuti. Secondo un’indagine della United Nations Broadband Commission del 2015 dal titolo “Cyber violence against women and girls” (“Cyber violenza contro donne e ragazze”), la violenza di genere online è un fenomeno che nel mondo riguarda 1 donna su 3 e che in Europa ha colpito 9 milioni di donne e ragazze. La rapida diffusione degli smartphone ha fatto aumentare il numero delle persone coinvolte, con il rischio di diffondere e normalizzare un tipo di scambio abusivo, calpestando inoltre la privacy delle donne che subiscono l’abuso. Le piattaforme online come Instagram – ma i colossi del web chiamati in causa sono tanti – dovrebbero farsi carico di questa grande responsabilità ed investire risorse in sistemi di tutela efficaci e risolutivi contro il digital hate e a tutela delle donne.
Roberta Rega – www.leurispes.it