di ANDREA FILLORAMO
Leggo, in un quotidiano, il caso di quel seminarista, del quale è stata rivelata soltanto l’età (avrebbe infatti 37 anni), che è stato espulso per “indegnità” o per fatti a lui imputabili, dal seminario di Messina, che ha denunciato presso il tribunale Civile la diocesi e quindi il suo titolare, l’arcivescovo Giovanni Accolla, per mancata vigilanza, al quale ha chiesto un risarcimento di danni, che si aggira, da quel che si legge in un giornale, a un milione e mezzo di euro…
L’arcivescovo al quale si era rivolto, non sarebbe intervenuto per la sua riammissione nel seminario, pur sapendo che l’espulsione operata ovviamente dai superiori, sarebbe dovuta ad accuse dallo stesso fatte di abusi sessuali subiti o ai quali avrebbe assistito oppure – non si sa – dei quali ha avuto conoscenza, che avrebbero come autori dei preti, forse interni oppure esterni al seminario.
Non posso esimermi di dare piena solidarietà all’arcivescovo, accusato di “responsabilità oggettiva” per fatti, che appaiono oscuri, ammantati d’incertezza, poco o per nulla convincenti, che sembrano costruiti ad arte per fini solo speculativi, fatti, quindi – è questo è lecito pensarlo – da un trentasettenne, che, espulso dal seminario, non avendo, come si usa dire “ né arte né parte”, non sa “a che santo votarsi” per “sbarcare il lunario” oppure, come si può anche pensare, per occultare i veri motivi per i quali è stata sancita la sua espulsione, che, per quell’ex seminarista, ovviamente potrebbero arrecare disprezzo o vergogna, nell’ambiente in cui egli vive.
Se fosse così, l’accusa fatta all’arcivescovo sarebbe un’azione che si ritorcerebbe contro chi l’ha compiuta e, quindi, uno strepitoso boomerang dal quale non può egli scampare.
Ciò che è accaduto mi dà, però, lo spunto per fare alcune brevi riflessioni, sui problemi che devono affrontare i formatori dei futuri preti nei seminari. Per far ciò, faccio innanzitutto riferimento al punto 10 dell’Introduzione delle Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari dell’ormai lontano 1993, che ancora però mantengono la loro attualità.
In esso leggo: “Con la dettagliata analisi delle condizioni spirituali del mondo e della Chiesa di oggi (……) viene confermata la complessità della situazione in cui si trovano i seminari. I loro compiti formativi sono diventati più difficili e con ciò stesso anche i criteri di scelta dei formatori risultano molto esigenti”.
Da allora, sono passati 28 anni, molte cose sono cambiate e le difficoltà si sono enormemente dilatate. Oggi, infatti, nell’era della secolarizzazione, nell’affermarsi delle nuove tecnologie, dei cellulari, dei tablet, dei social, di Internet, il cui utilizzo è molto diffuso anche nei seminari, con l’affermarsi della modernità, con la crisi globale, che ha investito anche la Chiesa e gli stessi preti sui quali si è abbattuto, oltretutto, lo scoglio della pedofilia, le problematiche della formazione nei seminari rilevate dalle Direttive, sono diventate, indubbiamente più numerose e più pesanti, di non facile o immediata soluzione.
Esse rendono, quindi, più complessi i compiti e le responsabilità “in educando” dei formatori e più difficile si fa la selezione degli stessi educatori che avviene all’interno di un presbiterio complessivamente talvolta impreparato a vivere questo momento difficile.
Ogni vescovo affronta queste difficoltà ben sapendo che il futuro della Chiesa sta tutto nell’elaborazione di un nuovo concetto di prete, nella capacità dei formatori di accompagnarli nel loro cammino nella formazione umana e sacerdotale dei suoi seminaristi, nella disponibilità ad assumersi anche la responsabilità oggettiva di quanto avviene nei seminari.
Sulla responsabilità oggettiva dei vescovi, però c’è molto da discutere.
Il vescovo non può essere inteso come, qualche magistrato ha già fatto o come ha inteso quell’ex seminarista, un datore di lavoro sui propri dipendenti, e, di conseguenza, non può diventare civilmente responsabile dei danni provocati a terzi da costoro. Tale assimilazione è da ritenere, a mio parere, assurda e molto lontana dalla funzione del vescovo.
Ben altre sono le responsabilità che egli si prende davanti alla sua coscienza e a Dio.
Il vescovo non è un funzionario di un apparato, un assegnatario di incarichi e incombenze…
Questo confligge con il suo dovere di essere vera guida fino in fondo dei propri preti.
Quale via seguirà il giudice civile di Messina? Non lo sappiamo.