di ANDREA FILLORAMO
Il tema delle lettere anonime o dei messaggi anonimi è certamente sempre molto attuale, soprattutto se lo si riporta all’odierna dimensione socio-culturale caratterizzata dai molti strumenti informatici a portata di tutti, che mai come oggi facilitano la comunicazione “anonima”.
Rendersi anonimi al destinatario del messaggio è oggi più semplice: chiunque può manipolare a proprio agio l’identità personale grazie ai diffusi processi di virtualizzazione dello scrivere, quando invece l’uso materico della scrittura a mano, che da qualcuno ancora però talvolta viene usato, risulta uno strumento destinato prima o poi a tradire il suo artefice per il modo in cui si estrinseca (che è anche ciò che rende possibile al grafologo la riconoscibilità della inequivocabile matrice espressiva dello scritto, nonostante il tentativo conscio di camuffarsi, rendendo il proprio nome ignoto e dunque possibilmente non identificabile).
Occorre, a mio parere, che, leggendo queste poche righe, che meriterebbero un approfondimento, si rifletta sul fatto che il fenomeno delle lettere o email anonime ha come artefici molti appartenenti a diverse categorie sociali, compresa anche quella dei preti, della quale particolarmente qui vogliamo interessarci, che, ovviamente in piccolissima parte, per motivi carrieristici, per invidia, gelosia o altro, abusa della cultura della segretezza propria della Chiesa Cattolica e si presta al gioco eticamente deprecabile, del buttare ombre, sospetti e fango sugli altri particolarmente sui colleghi o sul vescovo che “motu proprio” e con la massima discrezionalità, ha il compito di dare prebende, affidare incarichi, destinare a quella o all’altra parrocchia secondo i canoni del Diritto Canonico.
Tale fenomeno è avvenuto sempre nella storia e non desta, quindi, nessuna meraviglia; credo che non ci sia vescovo che, come ogni dirigente dello Stato o di chi svolge un compito importante che prevede l’affidamento di compiti a terzi, non abbia fra i suoi “riservata” lettere senza nome, che ogni tanto controlla o (e questa spesso è l’unica cosa da fare) distrugge o cancella.
La causa del fenomeno dell’anonimato fra i preti risiede, a parere dello scrivente, nel fatto che quella del clero è una casta chiusa, fortemente gerarchizzata e statica, rigidamente definita, che non assume forme di mobilità, per le quali l’individuo, grazie alla sua capacità e alla sua energia, possa innalzarsi a gradini più alti della gerarchia e, quindi, le chiacchiere, i sospetti, le invidie, le gelosie, a dispetto del merito difficilmente individuabile ristagnano all’interno. Tutto, poi, in questa casta avviene nel segreto delle curie o degli episcopi, senza trasparenza e partecipazione.
Di lettere anonime da parte dei preti, per esempio, ne sa qualcosa un arcivescovo emerito, che, stando alle sue dichiarazioni fatte nella conferenza stampa avvenuta dopo le sue dimissioni dall’arcidiocesi, immediatamente stoppata dal Vicario generale, riceveva nell’ultimo tratto del suo episcopato in quella che era stata la sua arcidiocesi, lettere anonime da parte dei suoi preti. Non si sa quali fossero i contenuti di tali lettere, che erano scritte nel mentre, però si diffondeva a macchia d’olio, all’interno del presbiterio e non solo, la notizia di una ricca eredità che egli aveva avuto, e di un biglietto compromettente che circolava tranquillamente nella città. Purtroppo egli non ha ascoltato la sollecitazione di chi, con diversi articoli lo l’invitava a farsi scudo, non con le lettere anonime, delle accuse fatte. Ciò lo costringeva al silenzio assoluto fino a quando la marea l’ha travolto.
Non è facile o piacevole tornare ancora su questa bruttissima pagina della storia diocesana, anche se usata a mo’ di esempio, se non si sapesse che le lettere anonime continuano ad esserci ancora, in quella città e altrove anche se le strategie utilizzate appaiono o sono diverse; seguono, cioè, magari strade indirette e scorciatoie, seguendo le quali, il mittente occulto si ritiene più sicuro di raggiungere il target previsto.
Si tratta di missive inviate anche a chi scrive, che mai, anche se a distanza di qualche migliaio di chilometri, mai è venuto meno all’impegno della trasparenza e ha sempre risposto con articoli, nelle pagine di questo giornale, nel quale scrive seguendo la vita della diocesi, ai quesiti postigli dai lettori anche se anonimi.
Essi contengono accuse generiche, non significative, addirittura banali, al suo vescovo ma anche insinuazioni pesanti nei confronti di un suo confratello, tese al raggiungimento di un fine, che difficilmente è comprensibile, che fa pensare ad una faida fra preti che sicuramente non c’è.
Da quanto mi risulta, il vescovo in questione, così come fa Papa Francesco, mette al centro del suo impegno pastorale l’uomo, non quello astratto ma quello reale, in carne e ossa, l’uomo cioè in situazione. Non presta, quindi, attenzione a tali lettere appunto perché anonime ma non trascura – ne sono certo – il prete che le ha scritte. Ciò però può avvenire se egli si rivolge a lui, senza ricorrere alle lettere anonime dirette o indirette, senza cioè la maschera pirandelliana del romanzo “Uno, nessuno e centomila”, dove Pirandello, attraverso, appunto alla metafora della maschera, spiega come l’uomo si nasconda dietro un velo di Maya che non consente di conoscere la propria personalità. La maschera non è altro che una mistificazione, simbolo alienante, indice della spersonalizzazione e della frantumazione dell’io in identità molteplici, e una forma di adattamento in relazione al contesto e alla situazione sociale in cui si produce un determinato evento, che il prete, in ogni caso non dovrebbe mai indossare, per l’impegno che ha assunto di somigliare a Cristo.