Qualcuno mi ha fatto notare che nell’articolo, pubblicato su IMGpress il 2 agosto u.s, pensando alle sue eventuali e attese dimissioni, non abbia fatto, volutamente la sua apologia ed è proprio così. Mons. D’Arrigo probabilmente merita ampi spazi nei media e sono certo che altri, più bravi di me, gli daranno, ma ho voluto soltanto mettere in luce la personalità che. per ciascuno di noi, nel bene e nel male determina l’agire.
ANDREA FILLORAMO
Non ho particolari doti profetiche, né serve un indovino per capire che Mons. Vincenzo D’Arrigo, a quasi 89 anni, e dopo quattordici anni dalla data in cui dal Diritto Canonico, era stato invitato a dimettersi dalla parrocchia del Villaggio S.S, Annunziata. E così, superando ogni riserva, si sarebbe “fatto da parte” e avrebbe ceduto, quindi, il passo a un prete più giovane che l’arcivescovo è chiamato a scegliere.
Qualcuno mi ha fatto notare che nell’articolo, pubblicato su IMGpress il 2 agosto u.s, pensando alle sue eventuali e attese dimissioni, non abbia fatto, volutamente la sua apologia ed è proprio così. Mons. D’Arrigo probabilmente merita ampi spazi nei media e sono certo che altri, più bravi di me, gli daranno, ma ho voluto soltanto mettere in luce la personalità che. per ciascuno di noi, nel bene e nel male determina l’agire.
Nel mio articolo non c’era, quindi, nessun giudizio sull’esercizio del ministero, giudizio che egli conosce perfettamente ma che ovviamente non può condividere. C’era solo qualche opinione sulla sua persona accompagnata da un tacito parallelismo tipologico fra preti, che ad una lettura non veloce può anche sfuggire. Esprimere delle opinioni nel rispetto sempre degli altri, com’è mia abitudine, è un diritto e talvolta può anche essere un dovere diffonderle. Ezra Pound che è uno dei protagonisti del modernismo e della poesia di inizio XX secolo scriveva: “La libertà di parola senza la libertà di diffusione è solo un pesce dorato in una vaschetta sferica”.
E’ certo che con le dimissioni di un parroco che ha fatto la storia di una parrocchia e del territorio, finisce una realtà pastorale, che ha visto quel parroco orgogliosamente posto al centro di tutto e, quindi un uomo solo al comando che risolve tutti i problemi e, per questo. un uomo molto gradito ad alcuni politici che non gli hanno mai fatto mancare il sostegno, alla Curia e agli arcivescovi che si sono susseguiti nell’Arcidiocesi che l’hanno voluto premiare ora con la nomina a Cappellano di Sua Santità e ora a Canonico. Quest’ultima nomina è stata, decisa da Mons. Calogero La Piana con il quale egli era molto amico, ed è avvenuta immediatamente prima delle sue dimissioni di arcivescovo di Messina.
Facciamo alcune considerazioni che valgono non solo per la parrocchia che è stata di don Vincenzo D’Arrigo, ma per tutte le parrocchie. Nella solitudine dei nostri giorni che si prospetta come la più grave patologia sociale, si ha bisogno di appartenenza e di fraternità e la parrocchia, a mio parere, risponde appieno, in quanto comunità, a queste esigenze. Tuttavia il modello di parrocchia tradizionale oggi è in crisi.
La crisi di tale modello appare acuta e grave poiché sempre più essa ha finito per essere considerata o una istituzione puramente giuridica, amministrativa, burocratica; o una “stazione di servizio religioso”, della quale i fedeli si servono come avventori di passaggio, estranei e anonimi, soprattutto per ricevere i sacramenti; o un’ “agenzia di culto”, gestita dal parroco come esclusivo agente responsabile nei confronti dei fedeli, considerati solo come oggetto di cura pastorale e non soggetti attivi nell’azione pastorale.
Questa immagine come istituzione globale, cioè come ambiente che avvolge totalmente la vita di chi ne è partecipe non dovrebbe più esistere: la parrocchia come rifugio dalle aggressioni del mondo laicista, nel quale bisogna per forza vivere, ma cercando di fuggirne appena possibile per ritornare nel caldo “nido” parrocchiale; in essa ci si prendeva cura di tutte le esigenze del popolo dalla nascita alla tomba.
Dovrebbe scomparire anche l’immagine territoriale della parrocchia, pensata come un tutt’uno col suo territorio: essa è ormai più “uno” tra i molteplici soggetti di un territorio; più che un territorio, va forse pensata come “una rete di relazioni”.
La parrocchia è oggi in crisi, ma sembra che tutto resti saldamente come è. Spesso il cambiamento è l’auspicio di tante “chiacchiere pastorali”, ma né preti né laici né vescovi sembrano fare molto in direzione di un vero rinnovamento; anzi, molti tentativi vengono guardati con sospetto o come “strane originalità”, se non da reprimere almeno da compatire; e l’impegno laicale, la “corresponsabilità” laicale il più delle volte resta un pio desiderio.