Diritto & rovescio: Occorre maggiore comprensione nei confronti del clero pedofilo?

INTERVISTA ad ANDREA FILLORAMO

Clamorosa sentenza dell’Alta corte australiana: il cardinale Geroge Pell, che stava scontando una condanna a 6 anni per pedofilia nel suo Paese, ha vinto il ricorso presso l’Alta Corte australiana che ha deciso il suo proscioglimento. Occorre, quindi, maggiore comprensione nei confronti del clero pedofilo?

Da quel che si sa, però, Lisa Flynn, avvocato del padre del ragazzo abusato deceduto che ha messo sotto accusa il Cardinale, ha reso noto il “disgusto” del suo cliente, che non crede più nella giustizia del suo Paese. Non sappiamo ancora come Il Papa, che ovviamente non dipende dall’Alta Corte, si comporterà. Chiariamo i termini: comprendere non significa giustificare la pedofilia dei preti e dei cardinali. Con la comprensione, infatti, esprimiamo la nostra capacità di capire, cioè di “afferrare” con la ragione. Giustificare significa, invece, riconoscere moralmente scusabile, quindi discolpare. Lungi da me qualunque atteggiamento che possa far pensare che i cardinali, i vescovi e i preti pedofili, non abbiano nessuna responsabilità morale e a volte anche penale, in quel che fanno.

Ma, al di là di quanto leggiamo nella Rete che spesso si pone solo il fine scandalistico, a tuo parere qual è la causa prima della pedofilia e di tutti i “peccati sessuali” del clero cattolico? 

Il discorso è molto lungo, però mi impegno a sintetizzarlo. L’ho scritto più volte e lo ripeto, premettendo, però, che nessuno deve pensare che tutti i preti, i vescovi e i cardinali, perché tali, siano pedofili o siano destinati a diventare o si diano ai “sollazzi del mondo”. A mio parere, la pedofilia clericale, come del resto tutte le “defaillances” sessuali dei preti, ormai sotto gli occhi di tutti, usciti dalle tenebre della segretezza, sono le conseguenze dell’educazione arcaica, data nei seminari di una volta (oggi, a dire il vero, non so quale essa sia). Allora, fin dai primi anni, infatti, veniva inculcato sistematicamente il disprezzo per il corpo, in particolare per la sessualità e la fobia della donna.

Ma è possibile che nessuno allora mettesse in discussione queste aberranti dottrine?

Proprio così. Nessuno pensava che il disprezzo del corpo fosse una vergognosa menzogna, un’ipocrisia intollerabile, con cui veniva nascosta l’unica verità di cui siamo certi, la corporeità e ciò che essa importa. Si sa che spesso le menzogne le troviamo al centro di eventi storici anche importanti, come nelle vicende del cavallo di Troia, nella morte di Socrate che preferisce bere la cicuta piuttosto che mentire, e in molte altre vicende storiche, ma quella bugia, costruita per motivi autolesionistici e a fini pseudo- educativi era un fatto impensabile e incomprensibile.

Ma il disprezzo del corpo, che tu ritieni una bugia e un’ipocrisia è propria della filosofia cattolica…

Sì, è vero, esso nasce dal dualismo platonico, ereditato dalla dottrina cristiana, ma oggi, nel 2020 (e forse anche allora) non si riesce, a capire come è possibile per un uomo normale e non colpito da determinate patologie, disprezzare, cioè misconoscere, svalutare, il proprio corpo e la propria sessualità.

Parliamo adesso della misoginia, cioè dell’atteggiamento di avversione e di repulsione della donna, al quale i seminaristi, come tu dici, venivano educati.

Nei seminari di una volta veniva inculcata la fobia ingiustificata per la donna che per qualcuno poteva diventare patologica, addirittura ginofobia, che, come sappiamo è una paura persistente e ingiustificata delle donne, che è di tutti quelli che non sanno porsi davanti a lei se non in termini di eccitazione sessuale e non vedono in lei una possibile amica, compagna, sorella o figlia. Che disastro per quei preti, vescovi, e cardinali che, usciti dal seminario, non sono riusciti a liberarsi da tale fobia!

Ma, volendo ancora parlare della pedofilia, il fenomeno che è emerso in questi ultimi anni nell’ambiente dei preti, era un fenomeno presente anche nei seminari?

È accertato che la pedofilia, che è uno dei tanti modi in cui si esprime una sessualità ammalata o condizionata anche da quelle che hai definito “aberranti dottrine”, si sviluppa facilmente in “comunità chiuse”, come sono i seminari, i conventi, i collegi religiosi, dove viene incoraggiata la dipendenza e il conformismo e le espressioni più individuali e dove viene dimenticata l’idea che il buono sia all’interno di quelle istituzioni e il cattivo è fuori nella società. Il pedofilo, pertanto, può facilmente nascondersi proprio dentro le sue mura e sa che potrà trovare là le sue prede.  

Certo che, in quelle condizioni, drammatica doveva essere la crisi della pubertà di ogni seminarista.

Certamente! ogni seminarista allora viveva, come tu accenni, in modo drammatico la sua pubertà, quella pubertà che rendeva il suo corpo sconosciuto, erotico, sessuale, esigente la sua soddisfazione pulsionale attraverso altri corpi. Egli non si rendeva conto che se non avesse rotto irreversibilmente lo schermo autoerotico del suo stato infantile, sarebbe rimasto da adulto, da prete, da vescovo e da cardinale un immaturo e non solo sessualmente, con tutte le conseguenze anche pedofile che sarebbero cadute sul suo ministero celibatario. E ciò per tanti è accaduto.  

Ritorna sempre, quindi, il problema del celibato ma oggi sembra che il celibato non sia più considerato come era considerato allora.

Tuttavia ancor oggi, esso rimane la “conditio sine qua non” per essere ordinato prete e questo la dice lunga: quella rozzezza medioevale è stata sostituita probabilmente da metodi più sottili ma ugualmente repressivi.

Da ciò nasce quella che tu hai spesso chiamato la “disumanizzazione” del prete.

È nelle profondità esistenziali e teologiche che si annidava allora e si annida ancora la disumanizzazione del prete, che significa cercare di privare l’uomo-prete delle sue caratteristiche essenziali, ovvero della possibilità di esprimere la propria personalità, costringere a sottostare ad un sistema che vieta l’espandersi delle potenzialità umane.

E circa l’omosessualità dei preti cosa hai da dire?

Le regole del seminario di una volta fanno presumere che gli impulsi sessuali fossero più pressanti in un ambiente artificiale e monosessuale, che favorisce l’omosessualità e certe abitudini – lo sappiamo – possono trovare difficoltà ad auto-eliminarsi. Oggi c’è chi dice, ma senza dimostrarlo, che da sempre il 40-50% dei preti abbia un orientamento omosessuale e sia sessualmente attivo. La percentuale, a dire il vero, mi sembra proprio alta. Ma l’omosessualità, vista non più come “deviazione” sessuale ma come semplice orientamento, può diventare un “porto” più sicuro, dove rifugiarsi per non incorrere a interventi penalizzanti da parte del vescovo che, per questo, può diventare più tollerante.