di ANDREA FILLORAMO
“È normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura”.
Così scriveva Paolo Borsellino e di coraggio, come sappiamo, ne ha avuto proprio tanto.
La paura è la percezione più atavica e quella che scatena le emozioni più potenti e le reazioni più irrefrenabili se non gestita; viene prima e dopo ogni altra nostra sensazione poiché è in grado di dominarle tutte. Guardare in faccia la paura la trasforma in coraggio, sostenevano gli antichi Sumeri.
Dinnanzi a una pandemia che ci ha tolto il respiro, il 90% degli italiani ha affrontato e affronta la morte, la malattia e il disagio con responsabilità e con coraggio e tale responsabilità e coraggio suggeriscono a quanti il coraggio finora non l’hanno avuto dando credito a chi di “chiacchiere” ne ha scritto e detto tante.
Speriamo di aver vinto o di vincere, assieme, una battaglia che sembrava invincibile.
In questo triste periodo della nostra vita per esorcizzare la paura molti hanno chiesto soccorso alla musica e alla poesia.
Lo sappiamo: i legami tra poesia e musica hanno ovviamente origini antichissime e a tutti note.
Se guardiamo alla cultura greca, sin da subito rintracciamo nella parola “musik” un insieme di attività che racchiude, oltre alla ginnastica, alla danza, al teatro, anche la poesia e poi, in senso stretto, la musica e il canto.
Se è vero che la musica è sempre stata una fedele compagna dell’uomo, che talvolta le attribuiva poteri calmanti e curativi, è proprio la civiltà greca che, riconoscendo una certa valenza educativa alla musica, per logica conseguenza, trasferisce questa stessa valenza anche alla poesia.
Anch’io nel mio piccolo, mi sono cimentato nello scrivere dei versi, sotto il titolo “Pandemia”(*) probabilmente mediocri, che hanno una sola pretesa, quella di essere, almeno, benevolmente letti.
* PANDEMIA
Siamo ancora qui appesi
sull’orlo di un burrone
dove sosta per tutti la paura
che toglie il respiro
e assopisce la mente;
dove le foglie
invocano la pioggia
che tarda a venire;
dove non tace il rumore
di un gran fiume in piena
che scende impetuoso
giù dai monti
e s’ inabissa nell’oscura valle;
dove, infine, il vento
penetra le ossa.
Vediamo le volpi
che annusando
fuggono impaurite nelle tane
e le talpe solitarie e tristi
scavando all’ombra delle siepi
si guardano atterrite.
L’inerzia ora ci assale
e ci tormenta
col carico
di noia e d’abbandono.
Copriamo il volto
per non più sentire
l’acre odore di morte
che ci colpisce
inaspettato.
Tornerà il sole all’orizzonte
ne siamo certi.
e finirà questa notte nera
più nera della pece
e questa nebbia
che ottenebra la mente
ed il pensiero.
Vivremo allora
cantando
l’inno della vita.