di ANDREA FILLORAMO
Un libro che tutti dovremmo leggere e che io ho finito di leggere proprio ieri è di Enzo Fortunato, giornalista e direttore della Sala Stampa del Sacro convento di Assisi. il cui titolo è: “E se tornasse Gesù? La domanda al cuore del Cristianesimo” Edizioni San Paolo 2021
A questa domanda Padre Enzo Fortunato risponde facendo un viaggio interessante attraverso le parole dei grandi autori della letteratura moderna e contemporanea, come Flaiano, Michelstaedter, Tolstoj, Dostoevskij.
Attraverso loro fa notare che la modernità e la contemporaneità ci mettono di fronte a quelle che sono le questioni ultime o le domande che nonostante tutte le apparenze contrarie, nonostante tutte le ironie e le demistificazioni, sono essenziali per la vita: la verità evangelica mantiene per noi tutta la sua forza e la sua attualità. Quando Cristo, quindi, batte alle nostre porte – e questo avviene molto più spesso di quanto crediamo e particolarmente in questo momento di pandemia in cui sperimentiamo la nostra estrema debolezza – noi ci limitiamo a far entrare nelle nostre case il suo nome e lasciamo fuori le sue verità che sono la pazienza, il perdono, l’amore. In fondo è soltanto l’amore che le raccoglie e le riassume tutte.
Ho riflettuto molto su questi concetti in questo tempo di Natale, e orientato da questi, ho dato spazio alla fantasia, potente strumento della mente che proietta in mondi inesistenti dove tutto è possibile e mi sono posto la medesima domanda di Padre Fortunato: “se Cristo tornasse ancora lo riconoscerei?”
Sicuramente sì, ma per riconoscerlo non ho fatto ricorso all’ iconografia classica, legata alla storia dell’arte, che indaga il significato delle immagini, cerca di identificare i soggetti delle opere d’arte e le fonti da cui essi derivano, che lo dipinge biondo, giovane di bellezza non comune, effeminato, dai lineamenti nordici con i capelli lunghi, che nessun uomo in Palestina allora aveva.
Quell’ immagine sicuramente deforma il vero volto di Cristo.
Ho preferito immaginarlo, invece, col volto anonimo, tumefatto e ferito di uomo inchiodato nudo in Croce mentre i soldati si giocano la sua tunica assai preziosa per lui perché “era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo”, (Gv 19,23) dalla madre Maria, mentre gridava: “Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato”, “tutto è compiuto”.
Mi sono allora percepito, dinnanzi a quell’immane sofferenza, confuso, disorientato.
Ho distolto, quindi, lo sguardo da lui, ho ripiegato la postura, ho voltato il mio viso, sono arrossito.
Ho visto fissare, allora, i suoi occhi nei miei e una lama di fuoco giungeva nel mio profondo, come è successo a Pietro che lo aveva rinnegato (Luca 22,61); un solo sguardo di morente, ma quante cose voleva significare!
Ho visto i segni sanguinanti dei chiodi nelle mani e nei piedi e la ferita nel costato.
Ho pensato che dopo 2000 anni di cristianesimo ancora non incominciamo ad essere veri cristiani., tanto da far pensare paradossalmente ad un fallimento della redenzione che si consumava in quella croce.
A tal proposito dice Papa Bergoglio nell’ incontro con i giovani allo stadio Kasarani di Nairobi in Kenya, il 27 novembre 2015: “Come posso vedere la mano di Dio in una tragedia della vita?”. “C’è una sola risposta: no, non c’è risposta. C’è una sola strada, guardare al Figlio di Dio. Dio lo ha consegnato per salvare tutti noi. Dio stesso si è fatto tragedia. Dio stesso si è lasciato distruggere sulla croce. E quando viene il momento in cui non capite, quando siete disperati e quando il mondo vi cade addosso, guardate la Croce! Lì c’è il fallimento di Dio; lì c’è la distruzione di Dio. Ma lì c’è anche sfida alla nostra fede: la speranza. Perché la storia non è finita in quel fallimento: c’è stata la Risurrezione che ci ha rinnovato tutti”.
Una semplice constatazione: a volte siamo più trascinati dalle onde dell’emozione, dai sentimenti, dalle devozioni, piuttosto che dalla volontà di una vera sequela a Cristo, che non ci chiede di essere solo credenti, ma credibili in un mondo, che stanco delle fumose apparenze, esige necessariamente sintonia tra fede e vita, messaggio del Vangelo e vissuto quotidiano.
Finché noi cristiani non caliamo nella vita il contenuto della nostra fede, possiamo essere anche credenti, ma non saremo mai credibili e coerenti.
Risuonano ancora le parole di Papa Francesco quando ancora dice: “Per Dio è meglio non credere che essere un falso credente, un ipocrita. Non serve riempire i luoghi di culto se i nostri cuori sono svuotati del timore di Dio e della sua presenza. Non serve tanta religiosità se non è animata da tanta fede e da tanta carità, non serve curare l’apparenza, perché Dio guarda l’anima e il cuore e detesta l’ipocrisia. Dio gradisce solo la fede professata con la vita, perché l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità! Qualsiasi altro estremismo non viene da Dio e non piace a Lui!”.