ILMC Edizioni, casa editrice di Barletta e dipartimento editoriale dell’Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, pubblica il libro Manifesto per un Umanesimo musicale. Letteratura musicale concentrazionaria, ricerche e visioni, Cittadella di Barletta scritto da Francesco Lotoro con prefazione del semiologo Ugo Volli (già docente di semiotica del testo presso l’Università degli Studi di Torino).
Il libro fornisce una lettura profondamente alternativa degli eventi più drammatici del Novecento, meno politica ma ugualmente storica, comprovabile nelle sue fonti, umanistica: ghetti, lager e gulag come grandi centrali idroelettriche di intelletto e cuore, laboratori di un nuovo Uomo vitruviano. Si tratta di uno scritto sulla musica concentrazionaria ovvero creata in condizioni di privazione dei diritti fondamentali dell’uomo, dall’apertura del lager di Dachau alla morte di Stalin; ma è anche un invito a ripensare un’Europa fortemente antropocentrica nella quale Cultura e Arte in generale siano motori del benessere sociale e dell’economia.
Il nuovo libro di Lotoro è il risultato di ricerche compiute grazie al supporto finanziario di Regione Puglia, Claims Conference, Rothschild Foundation Hanadiv Europe e Fondation pour la Mémoire de la Shoah; nella prefazione al libro, Volli scrive che “In ghetti, lager e gulag si creavano storie, musiche, pensieri […] lo sforzo di ricostruzione di Francesco Lotoro sono andati al di là della condizione concentrazionaria nel senso convenzionale del termine per estendersi a tutte le situazioni in cui la musica è prodotta in condizioni di reclusione: gulag sovietici, carceri, manicomi […] Questo è il tema profondamente artistico e umano che Lotoro ci invita a considerare: il ruolo emancipatore della creazione musicale in prigionia e deportazione”.
I totalitarismi del secolo scorso hanno causato massacri e catastrofi, le loro guerre non furono errori di calcolo politico ma atti pianificati di distruzione territoriale, economica e sociale. Creare musica fu un’esigenza fisica, intellettuale e spirituale dell’uomo; deportazione, internamento, torture e altre forme di costrizione non ostacolarono, ma incoraggiarono i processi di creazione. Da Viktor Ullmann nella città-Campo di Theresienstadt a Vsevolod Zaderatsky nel gulag di Magadan passando per Émile Goué nell’Oflag XA Nienburg/Weser e Berto Boccosi nel campo franco-algerino di Saïda, il musicista trasformava il trauma della prigionia in creatività da riversare su carta, grazie alla capacità di attingere linfa vitale, anche quando sembrava prosciugata ogni goccia esistenziale. Non era sempre un approccio emozionale, ma spesso razionale, un intento che nei campi si è solidificato, riscattando prigionia e deportazione sofferta da uomini e donne di qualsiasi appartenenza sociale, religiosa e nazionale.
Da ghetti, lager e gulag giungono migliaia di opere, il materiale disperso e ritrovato è più di quanto osassimo prevedere, sono ancora tante le partiture e le fonti fonografiche da recuperare. Quegli uomini, quegli artisti stavano cercando di riparare un mondo spezzato e, se la Terra non si è ancora disintegrata e se l’arte ha ancora un profondo senso sociale, è proprio grazie al loro contributo. In virtù del lavoro compiuto negli ultimi decenni a Barletta, la Puglia è il Google di questa letteratura; su un’area di mq 10.000 nel sedime della ex Distilleria di Barletta nascerà la Cittadella della Musica Concentrazionaria (a sostegno economico pubblico) e il 2025 è finalmente l’anno della svolta.
Compimento di un iter ultratrentennale di ricerca, la Cittadella di Barletta sarà la casa della musica e dell’arte creata da uomini che hanno fortemente creduto nel potere dell’ingegno umano; a pieno regime, la Cittadella impegnerà studiosi, ricercatori, musicisti, tecnici, cori, orchestre. Ci si aspetta un compito enormemente più complesso del recupero di manoscritti, supporti cartacei o fonografici, foto e biografie; bisogna riparare questo imponente lascito testamentario affinché sia restituito all’umanità e possa riacquistare il posto che gli spetta nella Storia della musica, occorre ancora intraprendere decine di viaggi per raggiungere eredi e parenti di quei musicisti e gli ultimi manoscritti, registrazioni fonografiche utili a ricostruire, tra l’altro, la fenomenologia musicale concentrazionaria di sinti, rom e dei banduristi ucraini massacrati da Stalin.
Portare a compimento una simile opera di salvataggio richiede tempi di azione sempre più stretti; diversamente, tempo e usura condanneranno buona parte di questa musica a deterioramento o scomparsa, vanificando l’atto di resistenza che quelle opere significavano per i loro autori. Scrive l’autore, Francesco Lotoro: “La più efficace risposta alla guerra potrebbe non essere la pace, ma una guerra più sofisticata: aprire teatri e biblioteche, fondare orchestre e fare concerti dappertutto, inaugurare corsi accademici dedicati alla musica scritta in cattività civile e militare. Non stiamo scavando tra i resti di Pompei, la stiamo letteralmente ricostruendo mattone su mattone. Questa musica non ha attraversato decenni di oblio per fermarsi agli ultimi passi né è uscita dal freezer della storia per marcire ineseguita e mai pubblicata in moderni scaffali di archivi e musei”. Il Manifesto per un Umanesimo musicale, nei limiti ma anche nelle numerose possibilità di un libro, vuole costituire uno sprono a ripensare concetti e idee sulla musica alla luce dell’immane compito di recupero di tutta la musica scritta in ghetti, lager e gulag; questa letteratura musicale ci sta rivelando più di quanto osassimo immaginare, dal 1933 al 1953 questi musicisti scrissero la musica dei nostri giorni e su questo principio potrà fondarsi un nuovo Umanesimo.
per informazioni: info@fondazioneilmc.it