FUOCO DI CASTIGLIA. Santa Teresa d’Avila

In occasione della memoria liturgica di Santa Teresa d’Avila ho pensato di leggere una sua biografia nel minor tempo possibile. Mi ero imposto di farlo in una giornata. Ho impiegato più tempo, anche se ho trascurato qualche capitolo. Tuttavia penso di aver letto almeno l’80% del testo di Giorgio Papasogli, “Fuoco in Castiglia. Santa Teresa d’Avila”, Editrice Ancora, Milano, 1962 (III edizione).

Esistono altre edizioni. Un tomo cartonato di 637 pagine con illustrazioni, e 98 disegni particolari dei luoghi e monasteri per lo più castigliani fondati dalla santa d’Avila. S. Teresa è un monumento della fede, una donna dalle mille sfaccettature, una religiosa che rimarrà per sempre nella storia della Chiesa e dell’agiografia: nata il 28 marzo 1515 e salita al cielo il 4 Ottobre 1582. Nella presentazione del libro frate Anastasio del SS. Rosario elogia Papasogli un esperto, appassionato della figura di Santa Teresa d’Avila. Una documentata biografia che ha certamente contribuito alla conoscenza in Italia della Santa d’Avila. La penna efficace e profonda di Giorgio Papàsogli ripercorre tutte le tappe di questo autentico fenomeno femminile della Chiesa di tutti i tempi: mistica, fondatrice, donna e Dottore. È lei il vero «Fuoco in Castiglia» che tanto ha influito sulla storia della Chiesa, della Spagna, dell’Europa e di tutti quei milioni di credenti, che attraverso le sue pagine infiammate d’amore hanno scoperto e riscoperto il Dio della misericordia. “La Riformatrice del Carmelo non è figura facile a descrivere e la sua storia non si racconta senza fatica. La stupenda ricchezza naturale e sovrannaturale della donna che è, l’epopea delle sue imprese di fondatrice in tempi come quelli del Concilio di Trento, il miracolo delle sue esperienze mistiche e delle sue dottrine spirituali lasciano l’agiografo tanto più sgomento quanto più è preparato e consapevole”.
A dispetto della sua mole, Fuoco in Castiglia è una lettura piacevolissima, capace di unire la freschezza del saggio letterario alla solidità della ricostruzione storica scientifica. In particolare, lo scrittore «riesce a coniugare armoniosamente i tratti essenziali della figura di Teresa di Gesù: l’avventura umanissima della donna abuense; lo spirito mistico della santa carmelitana; il pensiero della maestra e il suo messaggio cristiano», scrive nella Prefazione fra Silverio di Santa Teresa. Infatti Papasogli traccia la biografia di una donna fra le più universalmente celebri, evidenziando le sue qualità naturali, l’eccellentissima spiritualità cattolica, che ha praticato con naturalezza e sincerità incantevole. Fra Silverio fa una riflessione fondamentale a proposito delle storie dei santi, delle loro biografie. Ci sono due tendenze nell’affrontare la vita di questi santi. Soprattutto in passato, “le biografie presentavano i santi talmente divini e miracolosi da far pensare non avessero mai posato il piede su questa terra e fossero sempre vissuti attorniati dalla gloria  dei prodigi. L’uomo restava così eclissato dagli splendidi riverberi dei portenti e dei miracoli soprannaturali”. Secondo fra Silverio si dovrebbe mantenere la via di mezzo tra i due estremi. Anche perché “un eccessivo e talora persin falso provvidenzialismo non incita all’imitazione; anzi, alla fin fine, allontana il lettore, compreso quello pio […]”. L’altra tendenza estrema, errata e dannosa, “consiste nell’umanizzare eccessivamente la vita dei Santi, impoverendo o deformando la loro ricchissima spiritualità cattolica[…]”. Dopo aver segnalato la grandezza di santità di S. Teresa di Lisieux e di S. Giovanni della Croce, Fra Silverio sostiene che S. Teresa d’Avila è tra i santi, la più esposta all’interpretazione naturalistica. Comunque sia il merito dello scrittore della vita dei santi, “non consiste, e non deve consistere, nell’attirare i lettori dal palato viziato con salse più o meno piccanti e attraenti, ma nell’esporre l’argomento in modo che risulti piacevole, e insieme edificante e istruttivo per la condotta cristiana, che è la cosa principale che dobbiamo cercare nella ‘Legenda aurea’ […]”. E pertanto il Prep. Gen. Dei Carmelitani Scalzi riconosce in Papasigli uno scrittore che si è preparato accuratamente per proporci una biografia di S. Teresa d’Avila, quale fu nella realtà, che certamente insieme a S. Caterina da Siena, “dev’essere annoverata tra le glorie femminili più eccelse che mai siano state nel mondo, per il suo talento, la santità e l’amore profondo alla Chiesa Cattolica”.

Il testo è composto da tanti capitoli, ben 60, ma tutti con in media 5 o 6 pagine. Per comprendere la figura di Teresa, bisogna conoscere l’ambiente dove è vissuta, a cominciare da Avila, ai primi del Cinquecento, situata nella Vecchia Castiglia, in Spagna. Avila raccolta dentro la cerchia delle sue bellissime mura, “le più forti d’Europa” a 1132 metri di altezza sul livello del mare. Le mura e la cattedrale esaltavano la fierezza degli Avilesi. Anche qui nel testo, purtroppo manca una cartina dei territori che ha attraversato la Santa. Nell’introduzione il libro si attarda sull’ambiente e la famiglia della nostra Teresa. L’aristocrazia avilese e i suoi hidalgos ha influenzato Teresa, anche ad Avila, “il fantasma del Cid Campeador” vigilava su ogni parola e rendeva solenne ogni iniziativa. Il padre di Teresa don Alfonso Sanchez de Cepeda, proveniente da Toledo, si trasferì con la famiglia ad Avila. Aveva un passato movimentato, ma poi ebbe un matrimonio agiato, signorile, sposò donna Caterina del Peso che morì giovane, dopo tre anni, ebbero tre figli. Alfonso si risposò con la giovane Beatrice de Ahumada. Gli Ahumada appartenevano anche loro al gruppo dei signori di Avila. Papasogli racconta le varie genealogie dei protagonisti di questa bella storia, ma noi sorvoliamo. Tuttavia i due coniugi entrambi possedevano un patrimonio abbastanza notevole, tra terre e denaro liquido. Vivevano nella casa de la Moneda. I tre figli con la prima moglie erano ancora piccoli, intanto da Betrice ebbe ben nove di figli, tra cui Teresa che prende il cognome della madre, de Ahumada. Attenzione 9 figli in quattordici anni di matrimonio. Anche lei si spense prematuramente. Il 1° capitolo dedicato all’infanzia di Teresa. Peraltro, precisa l’autore del libro, non si può dire che la sua infanzia abbia sofferto di solitudine o di malinconia. Interessante la figura di Beatrice madre eminentemente cristiana che ha assolto il compito della maternità egregiamente nonostante le sue malattie e le preoccupazioni. Morì a trentacinque anni lasciando nove figli. Il 2° capitolo dedicato alla giovinezza e la prima infanzia. Anche qui l’autore ci descrive le numerose relazioni vissute da Teresa nella sua casa de la Moneda insieme ai suoi tanti fratelli e sorelle, e poi i tanti cugini figli di don Francisco Alvarez de Cepeda (fratello di don Alfonso) e di Maria de Ahumada, cugina di donna Beatrice, sommando 11+8, diventano 19 giovinetti che crebbero insieme, un vero esercito. Come se non bastasse si aggiungevano altri cugini, figli di donna Elvira de Cepeda (sorella di don Alfonso). Una magnifica brigata, dove Teresa ha vissuto l’infanzia e l’adolescenza. Ragazzi e ragazze, perfetti castigliani dei loro tempi, “cioè solidi, e al tempo stesso sognatori, innamorati delle idee belle e grandi, pronti a dar la vita per Dio e per il re”. Chiaramente non posso addentrarmi nei minuziosi racconti di Giorgio Papasogli, ci limitiamo en passant a catturare delle notizie che riterrò importanti da segnalare. La morte della mamma aveva sconvolto l’organizzazione familiare e soprattutto il padre che era rimasto solo e doveva ora badare ai figli. Io cercherò di seguire Teresa e le sue preferenze, a quattordici anni aveva già deciso di entrare in convento. Alla fine entrò per studiare. Intanto il padre trova l’appoggio nella figlia maggiore Maria. Arriva la vocazione per Teresa e subentrano le difficoltà dell’abbandono del padre che non era d’accordo per la sua entrata in convento. Teresa non arretra nonostante il “no” paterno. Papasogli descrive il dissidio interno che ha dovuto subire Teresa, tra l’amore per il padre e quello di Dio. Dal 4° capitolo inizia la parte più attraente e più importante nella vita di Teresa de Ahumada, secondo Papasogli. “Gli esercizi della vita religiosa mi erano deliziosi, e provavo soprattutto una speciale compiacenza quando mi capitava di dover spazzare in quelle ore che prima ero solita dedicare alla vanità”, questo diceva Teresa del suo inizio di vita monacale, nel monastero di clausura dell’Incarnazione ad Avila, dove c’erano ben centocinquanta monache. Il 3 novembre 1537 Teresa fa la sua professione, successivamente si ammala di una malattia misteriosa. Il libro segue i vari dettagli, chi gli stava vicino erano pronti a preparare la sua morte. Tuttavia nel testo si cerca di capire i suoi frequenti disturbi fisici che accompagnarono tutta la sua vita (palpitazioni, vomiti abituali e stati febbrili). La Santa così descrive le sue sofferenze:  “Sopportai tutto con piena rassegnazione alla volontà di Dio”. Intanto don Alfonso poteva frequentare il monastero e avere colloqui con sua figlia, quindi poi non era tanto lontana, scrive Papasogli, rispetto agli altri figli che erano partiti per il Perù, “ma Teresa restava. Colei che sembrava essersi allontanata per prima […]”. Certo apparteneva ad una famiglia religiosa, ma era lì sempre pronta ad accoglierlo. Quando il padre cadde gravemente ammalato, la priora diede il permesso a Teresa di Gesù (questo il suo nome da sorella conventuale) di assistere a casa il padre e di fargli da infermiera. Il padre dopo quindici giorni si spense recitando il Credo.

Nella presentazione del libro trascuro alcuni aspetti come quelli dell’orazione o delle meditazioni della Santa, anche perchè non ho le competenze per descriverle. Per esempio “i gradi dell’orazione: la prima acqua, l’orazione dei principianti”. “La seconda acqua:orazione di raccoglimento e di quiete”. Oppure, “La terza acqua: orazione di quiete ed angustie”. Mi limito a segnalare che a pagina 132, c’è una bellissima miniatura francese del XVII sec. Visioni di S. Teresa. Tra le varie annotazioni nel testo, merita attenzione nel cap. 12 l’incontro con San Francesco Borgia. Nei vari racconti della vita di Teresa di Gesù si incontrano spesso figure nobili, non solo i re o le regine, ma anche principi, principesse, marchesi e tanto altro che ha a che fare con la nobiltà spagnola, ma non solo. Ora Francesco Borgia era il marchese di Lombay, un quasi fratello per la coppia sovrana di Spagna, cioè di Carlo V e Isabella di Portogallo. Francesco ha assistito al funerale della bellissima regina ed è rimasto scosso, “le ore passate accanto alla regina morta, gli avevano trasformato l’animo”, scrive Papasogli. Egli non era più il gran signore di corte, “ma un uomo nuovo: aveva toccato con mano, aveva ‘visto’ il nulla di tutte le cose umane”. Il marchese cadde in silenzio e pur rimanendo tra gli uomini pensò soltanto a Dio. Successivamente entrò nella Compagnia di Gesù. Interessante il suo dialogo con l’imperatore Carlo V, il più potente del mondo di allora. Il sovrano aveva pronosticato dopo la morte di Isabella, a Francesco Borgia del ritiro di entrambi dal mondo. Infatti Carlo V entrò anche lui nel convento a Yuste. Comunque è interessante il colloquio del Borgia con Teresa e poi anche la corrispondenza tra i due ne parla padre Silverio. Naturalmente il testo di Papasogli fa riferimento spesso alla Vita di S. Teresa di Gesù, sia per quanto riguarda le visioni e le apparizione di Cristo. Un’altra figura particolare e singolare da approfondire, che incontra la nostra santa è Pietro d’Alcantara, uno dei più grandi santi che ci abbia dato la Spagna. Teresa quando lo vide, ebbe l’impressione che “fosse fatto di radiconi d’albero”, tanto era ossuta, eccessiva, la magrezza. A combinare l’incontro fu donna Guiomar de Ulloa nel suo palazzo Salobralejo, che ormai era diventato una succursale dei monasteri. Anche il francescano Pietro d’Alcantara aveva iniziato una riforma chiamata degli alcantarini. I due parlarono in libertà di spirito. “Sentivano che non parlavano di loro stessi ma soltanto di Dio”, scrive Papasogli. “Mi disse che da quarant’anni, se ben mi ricordo, fra notte e giorno non dormiva che un’ora e mezzo. La sua più dura penitenza, al principio, fu appunto questa di vincere il sonno, e a tale scopo si teneva sempre in piedi o in ginocchio”. Racconta Teresa di Gesù. Era solito mangiare ogni tre giorni, col tempo ci si poteva abituare. Povertà estrema, non alzava mai gli occhi da terra, per più anni non guardò in viso nessuna donna. Quando fu vicino alla morte, si mise in ginocchio e spirò. Ho sintetizzato il racconto della Santa. Papasogli ci provoca: immaginiamoli uno di fronte all’altra, vera personificazione di un’austerità che ha del sovrumano. Una affinità dei loro compiti di riformatori. Papasogli scrive che ha percorso finora nei vari capitoli un sentiero contrastato, ma trionfale, per quanto mi riguardo ho cercato di descriverlo sintetizzando. Nel 19° capitolo il testo inizia a parlare dell’inizio della riforma di Teresa di Gesù. Così com’era lo spirito carmelitano non bastava più c’era bisogno di altro,“una regola primitiva”, a cominciare dal monastero dell’Incarnazione con ben centottanta monache. Si confidò con donna Guimar che subito gli promise il suo aiuto per fondare un altro monastero. E qui inizia tutto il lavoro di Teresa che era cosciente di urtare certe sensibilità delle monache del monastero dell’Incarnazione, che si sentivano tradite dalla loro consorella. Tutte le monache vedevano la riforma come un affronto. Tuttavia prima di muoversi per fondare un altro monastero sia donna Guiomar che Teresa avevano chiesto il parere di Pietro d’Alcantara e Luigi Beltran e allo stesso Pietro Ibanez, insigne teologo domenicano. Nello stesso tempo cominciarono le persecuzioni che peraltro erano previste. Nel 22° cap. tratta del trasferimento della Santa a Toledo presso una vedova donna Luisa de la Cerda. Anche questi viaggi vengono spesso descritti nei suoi particolari. Viaggi non facili, su strade fatiscenti, a dorso di mulo o su qualche carro, raramente in carrozza o addirittura a piedi. Naturalmente Toledo, la “città imperiale”, offriva una grande attrattiva anche in Teresa di Gesù. Papasogli definisce Toledo come la città delle donne, le dimore sontuose, le residenze delle signore. Perché gli uomini erano costretti ad allontanarsi continuamente verso  le più distanti regioni dell’Impero. Si pensi alle Fiandre, al Milanese, al regno di Napoli. Quei dignitari di Toledo dovevano obbedire e recarsi in questi paesi lontani. Per capire Toledo, scrive Papasogli, bisogna guardare i dipinti del Greco. In casa di donna Luisa Teresa si sentì meglio e soprattutto conobbe una gran varietà di personalità della nobiltà spagnola a cominciare da Donna Anna de la Cerda duchessa di Pastrana e principessa d’Eboli, L’elenco sarebbe anche lungo, tuttavia, nonostante “la solennità dei personaggi, il tono era familiare e antiretorico”, scrive Papsogli. Comunque Teresa nonostante lei monaca di clausura, carmelitana scalza, povera che voleva fondare un monastero riformato ultra povero, si ritrova in un ambiente ultra ricco, pieno di nobili, ricchi tra arazzi di Fiandra e velluti toledani, ospite di donna Luisa e mangiava ogni giorno negli stupendi piatti di Talavera, “camminava sugli “alfombras” antichi sui quali le scarpe affondavano; e intanto meditava sull’impostazione da dare alla riforma: povertà assoluta o povertà condizionata?”. Il cap. 24 dedicato alla fondazione del monastero di san Giuseppe in Avila. E’ arrivata l’autorizzazione da Roma a fondare il monastero. Ci sono le prime quattro postulanti della Riforma carmelitana. Le consorelle dell’Incarnazione cominciano a rumoreggiare e a inveire contro, addirittura auspicano la prigione per Teresa di Gesù che andava ripetendo: “Perché arginare l’Amore?”, diventato ormai una specie di slogan per la monaca avilese, costretta a lottare anche contro tutta una città praticamente. Addirittura al piccolo convento S. Giuseppe si recò il governatore in persona per far sgombrare l’edificio, ma che alla fine hanno desistito di fronte alla risolutezza delle quattro monachelle. Il 27° cap. si dà conto della vita nel monastero S. Giuseppe. Papasogli espone una considerazione importante: “Teresa concepì e desiderò la Riforma come uno strumento di guerra, di santa guerra contro le eresie che dilagavano. Soffriva molto per il Protestantesimo […] ella girava lo sguardo sui popoli, fino a pochi decenni prima uniti nell’universalità della Chiesa, e li vedeva simili ai dispersi figli di Sion”. Si preoccupava in particolare per la Francia, la nazione di San Luigi che “aveva saputo soffrire e offrire dinanzi agli altari, nelle celle dei monasteri, sui campi del sapere, intorno al Sepolcro di Cristo: fitte schiere di sacerdoti e di religiose, di dotti, di guerrieri, un’immensa processione di fedeli al Cristo nella Chiesa”. La nostra Santa non voleva perdere nemmeno un minuto per salvare popoli, anime che si stavano perdendo a causa del demonio nel peccato. Ecco che spunta fuori la sua anima missionaria. E qui il libro fa riferimento al suo intento missionario rivolto verso gli indiani dell’America meridionale. “Quante anime si perdono là”, disse il religioso Alfonso Maldonado. Un richiamo irresistibile per Teresa. “La Riforma s’arricchì perciò d’un grande leit-motiv, il tema della conquista, che è la vita stessa della Chiesa […]”. La prima missionaria ausiliaria della storia fu, senza dubbio, Teresa di Gesù.  La sua preoccupazione era per i “defendedores” della Chiesa e ripeteva:“Figlie mie, amate i sacerdoti, amate i predicatori e difensori della Fede; pregate per loro, affinché compiano il loro apostolato con lo spirito e con la dottrina”. Il cap. 28 e 29 dedicati al “Cammino di perfezione”. Siamo nel 1567 e la Riforma si diffonde, Padre Rubeo, il Generale dell’Ordine Carmelitano, italiano il suo nome era padre Giovanni Battista Rossi di Ravenna, uno sguardo acuto, vide positivamente la riforma teresiana. Prima di partire lasciò a Teresa le patenti necessarie per fondare altri monasteri di Scalze in tutta la Castiglia. Il superiore benediceva la sua opera, la incoraggiava, desidera ch’essa si estendesse. Dunque ora toccava a lei lavorare a questo scopo. Era come sciogliere le ali dell’aquila. Una prima fondazione fu progettata a Medina del Campo, una ricca cittadina di sedicimila abitanti. Anche qui Teresa guardava alle rendite che poteva avere nell’ambiente nel territorio, gli abitanti dove andava a fondare una nuova comunità. Perché la regola delle sue monache era povertà assoluta. Dovevano vivere dalle donazioni delle popolazioni. Sono rimasto impressionato dall’attività religiosa della cittadina: 80 sacerdoti presenti, 18 conventi e 9 ospedali. So di una cittadina di 8 mila abitanti nel messinese che non ha neanche la Guardia medica. Chiusa polemica.

Per raggiungere Medina del Campo, Papasogli racconta dell’originale carovana di carri pieni di monache, di oggetti sacri e profani, bagagli, provviste. Il 32° cap. tratta del “frate e mezzo”, per via della sua bassezza, era il futuro dottore della Chiesa San Giovanni della Croce. Qui si descrive un viaggio importante della Santa verso Madrid alla corte del re Filippo II, era invitata da un’altra donna importante la portoghese Leonor de Mascarenas (governante di Filippo II e in seguito di don Carlos) Questa donna è una figura straordinaria, perfettamente ambientata nell’aristocrazia madrilena e toledana. Esercitava anche una forte influenza sul re e sulla corte. “Pia, austera, volitiva, profondamente retta e innamorata di tutte le forme del bene, dotata d’una viva tendenza a favorire i motivi d’ascesi e di orazione mistica, era l’anima più adatta a capire Teresa di Gesù”. Era dama della regina Maria di Portogallo, poi passò alla corte di Spagna, quando Isabella sposò l’imperatore Carlo V. Qui Leonor fece voto di perpetua castità e a ventiquattro anni ebbe l’incarico più alto e più difficile: educare Filippo II e dopo il figlio don Carlos. Ora lei aveva sessantacinque anni ma Filippo II la voleva ancora nella corte, mentre lei intendeva ritirarsi in qualche convento. Tornando all’incontro con Teresa, il testo descrive l’accoglienza delle dame alla Santa nei grandi saloni del Palazzo Reale, che forse si aspettavano qualche miracolo da Teresa.

Sostanzialmente Teresa rimase ospite della corte di Spagna, che fu conquistata dal suo carisma. Questi signori e signore hanno capito di avere a che fare con una vera Santa, rispetto agli imitatori e imbroglioni ai pseudo-mistici, che anche in quei tempi circolavano per il territorio. Tuttavia, Teresa di Gesù, scrive Papasogli: “spazzò via le aspettative sbagliate, le impazienze puerili e assurde, le errate impostazioni della devozione […] Quello che contava era l’umiltà, il nascondimento, quello che contava era la discrezione”. Seguire i vari contatti con i tanti personaggi che ha avuto la Santa a Madrid non è facile, il libro racconta tutto. In particolare l’incontro con Maria di Gesù, altra straordinaria donna. E poi la fondazione di altri monasteri con i soliti rituali; nella prima metà del 1568, Teresa attuò due fondazioni di Carmelitane Scalze, una a Malagon, l’altra a Rio de Olmos, nei dintorni di Valladolid.

Una Fondazione carmelitana anche a Toledo (cap. 35) che per tutti gli spagnoli rappresenta la capitale del sentimento patrio. Questa volta arrivò l’invito nel 1569 da un ricco mercante, Martino Ramirez, il quale aveva deciso di lasciare in beneficenza religiosa tutto ciò che possedeva. Il cap.36 l’autore evidenzia due straordinari personaggi che ha conosciuto la nostra Santa: il principe e la principessa d’Eboli (Ruy Gomez e Anna de Mendoza y la Cerda). Il testo si sofferma maggiormente sulla donna, evidenziando la bellezza, la sensibilità femminile. Un altro personaggio presente in questo capitolo è l’italiano di Bitonto, Mariano de Azaro. Anche lui con un passato turbinoso. Una strana vita, si passa dall’ascetica al mestiere delle armi, dal diritto canonico all’idraulica. L’incontro con Teresa lo trasformò e anche lui risoluto entrò nella Riforma Carmelitana. Altro particolare, con Mariano c’era un altro italiano, Giovanni Narducci, cercatore di ideali anche lui. Si chiamerà fra Giovanni della Misericordia, proprio lui ritrarrà nel 1576, l’effige della sessantenne Teresa di Gesù, e così abbiamo l’unico ritratto dal vero che sia stato fatto della Santa. Non è un capolavoro, ma quello che conta averlo. Papasogli ci induce a riflettere mettendo a confronto la donna più ricca della Spagna, la principessa d’Eboli e Teresa, rivale di S. Francesco per povertà. La principessa dirigeva i lavori a Pastrana del nuovo monastero, quasi giornalmente insieme a suor Teresa scende nella borgata per vedere la casa in costruzione. Che cosa ci dicono queste due donne?  Si chiede Papasogli.  Pensate, i due sono in disaccordo perché la principessa vuole fondare il monastero in assoluta povertà. Mentre Teresa con le rendite dei benefattori. La questione è che Pastrana è una borgata dove non esistono famiglie signorili o agiate sulle quali si possa contare, per il mantenimento delle monache. Anche se le Scalze consumano poco, ma tuttavia hanno bisogno di un poco di cibo. Anche a Pastrana un monastero maschile per gli Scalzi carmelitani. Nel cap.38 si racconta della Fondazione degli Scalzi in Alcalà de Henares e di Scalze in Salamanca. Quest’ultima fondazione di una straordinaria importanza, a Salamanca, “la piccola Roma”, c’era l’università più importante della Spagna. Teresa comprendeva che era fondamentale esserci. Il Cattolicesimo combatteva la sua battaglia a colpi di santità e di penna. I grandi santi, proprio in quegli anni hanno capito, quanto valessero l’intelletto e la cultura messi al servizio del Cristo. Le università costituivano da molti decenni un teatro di lotta. Occorrevano milizie fresche, immesse nel combattimento, della buona battaglia. Pertanto nessun movimento di pensiero cattolico poteva estraniarsi da questo combattimento, lo stesso Carmelo degli Scalzi, nonostante il suo stato eremitico doveva fare la sua parte. S. Teresa e anche S. Giovanni della Croce sentivano in profondità il problema. Certo alla Chiesa non mancavano di armati, cioè di movimenti religiosi come la Compagnia di Gesù, dediti all’azione diretta per fronteggiare le eresie e il protestantesimo. Tuttavia il testo continua ad evidenziare l’importanza della presenza dei Carmelitani Scalzi ad Alcalà e a Salamanca. Anche se la città poteva dare poco alla monache, essendo una città abitata quasi esclusivamente da universitari. Il cap. 39 si occupa della grande figura di Francisco Velazquez, conosciuto come il Duca d’Alba e Teresa de Layz, una coppia di sposi non più giovani chiamavano Teresa di Gesù per fondare un altro monastero in Alba de Tormes. Qui la nostra Santa fa centro scrive l’autore del libro. Fa un elenco di chi incontra, in questo soggiorno di Alba, la sorella Giovanna de Ahumada. Poi incontra altre figure importanti, una costellazione di grandi amicizie, “lei carmelitana umile, senza un reale in tasca, rattoppata, e tenerissima non soltanto verso i poveri ma anche verso la povertà, contava ormai, come in una raggiera, i vincoli più illustri della Spagna: la sorella del Re, principessa Giovanna, donna Luisa della Cerda di Medinaceli, la duchessa d’Escalona, la principessa d’Eboli, la marchesa di Velada, la contessa di Moterrey, e, dulcis in fundo, la duchessa d’Alba, vale a dire la moglie di uno  degli uomini più potenti del secolo”. Di fronte a tutto questo, si constata “l’impassibile modestia della riformatrice”. Intanto come grande rivincita la nostra Teresa di Gesù, fu nominata d’autorità, priora del monastero dell’Incarnazione di Avila, naturalmente non senza qualche amarezza e disapprovazione da parte delle sue ex consorelle. Alla fine rassegnate le carmelitane, l’hanno accolta: “la queremos y la amamos!”. Nel 42° cap, si tratta delle Fondazioni di Altomira e di La Roda, inoltre della meravigliosa storia di Caterina de Cardona. Secondo alcuni nacque a Napoli, secondo altri a Barcellona, nel 1519 da don Raimondo de Cardona, un generale valoroso, fedelissimo alla monarchia spagnola. Comunque Caterina (poi dicono che le donne non avevano potere nel passato) fra il 1565 e il 1575 ebbe una grande influenza psicologica nella Spagna di Filippo II. Divenne governante alla corte del re di Spagna per don Giovanni d’Austria e per il figlio don Carlos. Don Giovanni, fratello del re, ne rimase affezionato che la chiamava “madre”. Tuttavia Caterina verrà ricordata non per questo ma per la sua vita ascetica di eremitaggio che ha scelto. Così un giorno è fuggita dalla corte, travestendosi e andò a rifugiarsi in una grotta, per otto anni si cibò di erbe selvatiche e di radici crude e qualche pane regalato dai pastori. Mortificò il suo corpo, passava la maggior parte del suo tempo in orazione mentale e vocale. Uscì dall’eremitaggio, accettando l’invito di donna Giovanna d’Austria, la sorella del Re Filippo II. A Madrid, si ritrovò con i suoi due amici diversi, “tre anime che, nonostante gli abissi umani dai quali erano separate, si capivano e s’intonavano”. Alla fine della storia Caterina divenne fondatrice di una comunità di Carmelitani a La Roda.

Il testo di Papsogli continua nel suo viaggio della vita della Santa più famosa della Spagna. La Fondazione in Segovia, e soprattutto lo sforamento nell’Andalusia, finora abbiamo percorso la Vecchia e la Nuova Castiglia, adesso la Riforma varca i confini. Ci inoltriamo sotto il sole dell’Andalusia, tra i paesaggi più affascinanti della Spagna.

Al 47° cap. il racconto si fa più complesso, scrive l’autore. Dovremmo tenere d’occhio i personaggi. Naturalmente cercherò di sorvolare il più possibile. Scrivo solo che la realtà Carmelitana si ingarbuglia. Inizia la contesa fra Scalzi e Calzati. La nostra fondatrice accoglie l’invito di fondare nuova comunità fuori della Castiglia e questo gli crea difficoltà. Qui si racconta il suo viaggio pittoresco a Siviglia con il caldo soffocante. Grande porto importante da dove si parte per l’America. Una città popolosa come Siviglia si fonda sicuramente senza rendite. Anche qui ci sarebbero dei personaggi da menzionare, cito solo padre Gracian che è sempre presente in tutti i movimenti della Santa. A Siviglia soprattutto Teresa incontra il fratello Lorenzo, che ritornava dall’America, che poi è entrato nella trattativa di Fondazione del nuovo monastero, siamo al 5 aprile 1576. Da questo momento mi avvio alla conclusione. Segnalo le ulteriori Fondazioni a cominciare da Palencia e poi Soria. La Fondazione in Granada in cui furono protagonisti non solo Teresa di Gesù, ma anche S: Giovanni della Croce, la madre Anna di Gesù e il padre Girolamo Gracian, le quattro colonne della Riforma. Siamo nel 1573. La Riforma poi arriva perfino a Lisbona e qui poteva forse avverarsi il sogno missionario di S. Teresa, perchè siamo di fronte all’Atlantico da dove partono le navi per raggiungere l’America. Infine una delle ultime Fondazioni è quella in Burgos. Infine il Transito di Teresa di Gesù, muore proprio il giorno di San Francesco, il 4 ottobre 1582 ad Alba. Fin dal 1592 ebbero inizio le pratiche per la beatificazione. Nel 1597 le sedici informazioni appartenenti alle sedici  città, dove avevano conosciuto Teresa, accompagnate dalle lettere di Filippo II e della imperatrice Maria, chiedevano a Sua Santità il Papa, la beatificazione della Madre. Ma non solo cominciavano ad affluire una serie di lettere da tutta l’Europa a favore della beatificazione. Il 24 gennaio 1622 la Congregazione dei Riti dichiarò che la Vergine di Avila poteva essere iscritta al catalogo dei santi.

DOMENICO BONVEGNA

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