Romanzo culinario d’appendice bisettimanale e d’appendicite cronica di M. Gavio Fano Galt…
Capitolo 8
UN PIZZUDDU DI MUDDICA
La casa mia campau di sulu pani,
picchì di sulu pani si campava,
quannu lu mari ‘un dava,
me patri, cuntrariatu, bistimiava.
Ma doppu si pintìa:
“Signuri pirdunatimi, Maria!”
Una sira d’invernu
La paranza lassàu nfunnu la stisa,
picchì lu mari puru bistimiava;
la varca unn’affranchìu mancu la spisa
e me matri prigava.
Comu trasìu me patri,
cu l’occhi chini di fangu e di sali,
mi parsi comu quannu
l’unna di lu gran mari,
si isa, arruzzulìa,
e mmiscata di àliga e di rina,
scasa li scoghi e scoti la marina:
“Sangu di la … “.
Lu nomu nun lu dicu,
mi gnuniàvi e mi fici nicu nicu.
Di la sacchetta d’un falàri biancu,
vagnatu di li lagrimi d’amuri,
me matri, pasta antica,
mi detti un pezzu tantu di muddìca
e dissi: “Ringraziamu lu Signuri!”.
(Vincenzo Licata)
Eligio: “A casa di Aita facevano anche un’ottima pasta alla norma”.
Raniero: “Ecco … in questo caso Catania batte Messina ai punti”.
Eligio: “Diciamo che giocano in casa”.
Raniero: “La pasta alla norma, tra i primi piatti più buoni e famosi della cucina italiana, è indiscutibilmente legata, in origine, al teatro e alla musica lirica”.
Eligio: “Si disputa sull’esordio ufficiale della Norma nel proscenio enogastromico”.
Raniero: “1920 o 1931?”.
Eligio: “Regna incertezza. Secondo alcuni il merito del battesimo dell’appellativo alla “Norma” va riconosciuto a Nino Martoglio. Siamo nel 1920. Il regista, scrittore e poeta Martoglio autore delle commedie San Giovanni decollato e L’aria del continente, invitato a mangiare a casa dall’attore Angelo Musco si complimenta con la di lui nipote acquisita in via collaterale di nome Saridda (Saridda D’Urso maritata Pandolfini) che porta a tavola della pasta con salsa di pomodoro, melanzane fritte, basilico e ricotta salata grattugiata (quella bianca diversa da quella color camoscio che poscia si userà nel messinese … che è infornata). «Signora Saridda, chista è ‘na vera Norma!» Secondo altri, si tramanda la Norma catanese e’ stata presentata per la prima volta in occasione della prima dell’opera in due atti “Norma” del catanese Bellini. 26 dicembre del 1831. Milano. Teatro alla Scala.”
Raniero: “Per la pietanza, anzitutto, eliminare i culotti (il fogliame va via da se’) e tagliare a fette spesse un centimetro circa in senso longitudinale. Io preferisco tenere la buccia. Consueta procedura per fare spurgare il liquido si vegetazione. Disporre, quindi, le melanzane in uno scolapasta e lasciate le melanzane con del sale per almeno un’ora. È eufemistico dire lasciate riposare le melanzane. Infatti, bisogna avere cura di poggiare un peso al di sopra per pressarle.
Trascorso il tempo della messa a dimora sotto sale e sotto stress, occorre premere e tamponare le melanzane, asciugandole e liberandole dal sale per versarle poche alla volta nell’olio in padella affinché friggano. A doratura, togliere dal fuoco, per essere su carta assorbente. Se si è capaci di seguire contemporaneamente più preparazioni, occorre incidere a croce i pomodori per sbollentarli al fine di rimuovere con facilità la pelle. Spellati, si taglino a pezzi. L’alta cucina richiede di eliminare anche semi. La cucina delle nonne no. Io dico no. A questo punto, bisogna cuocere a fuoco dolce il pomodoro in un tegame capiente con l’olio extravergine di oliva aromatizzato dall’aglio (per me da eliminare una volta che ha rilasciato il proprio umore ovvero lasciato intero perché chi non vuole masticarlo lo scarti), aggiungendo il sale e se si vuole dello zucchero. Sullo zucchero ci si divide. È come vedere contendere guelfi e ghibellini, scapoli e ammogliati, cosa è destra e cosa è sinistra, iuventini che aspirano alla coppa campioni e resto delle tifoserie che gode alla vittoria delle squadre straniere. Cuocete finché il sugo di pomodoro non sarà ben ristretto. Aggiungete qualche foglia di basilico spezzata a mano.
Scolata la pasta al dente (cotta in abbondante acqua salata) si servirà sul piatto di portata aggiungendo salsa, melanzane e la ricotta salata grattugiata al momento. Ingentilire con inebrianti foglie di basilico. Nota bene: la pasta a cui alludo sono i maccheroncini fatti rigorosamente a mano.”
Eligio: “Faccio mie le parole della attrice e regista Paola Maugeri. Credo che una parte del mio DNA sia composta da molecole di melanzane. Sono troppo siciliana per nutrire dubbi in proposito!
Raniero: “Mi associo”.
Eligio: “Prima di continuare a parlare di melanzane, vorrei aprire una parentesi sul DNA politico della Sicilia”
Raniero: “In che senso?”
Eligio: “Come tu sai bene molti storici ritengono il 16 Dicembre del 1943, a Caltanissetta, a casa dell’avvocato Giuseppe Alessi, si tenne una riunione che passerà alla storia come la nascita ufficiale della Democrazia Cristiana.
Raniero: “Si. Si discusse anche di separazione. Repubblica o Monarchia? No … Separazione si o separazione no. Vi erano una ventina di personaggi. Oltre ad Alessi, Salvatore Aldisio da Gela, Bernardo Mattarella da Trapani, Pasquale Cortese e Franco Restivo da Palermo, Silvio Milazzo da Caltagirone, patria di Don Sturzo e di Mario Scelba.
Eligio: “Alessi, Milazzo e Restivo diverranno Presidenti della Regione”.
Raniero: “Prevalse la linea contraria al separatismo. Tale linea confermava lo slogan sturziano Regionalismo Si. Separatismo No.”
Eligio: “Qualche mese dopo Luigi La Rosa scrisse al fondatore del Partito Popolare. In essa si legge …
Mi dispiace contraddirLa ma, al momento, in Sicilia non vi è persona in buona fede che non sia separatista. Tutti comprendono che, rimanendo unita all’Italia, la Sicilia precipiterà nel disastro economico e morale. In ogni modo, abbiamo sempre avuto aspirazioni indipendentiste. Nella sua Cronistoria dell’Indipendenza Siciliana, pubblicata nel 1877, Cesare Cantù scrive: “Sembra che la Sicilia abbia sempre atteso il momento e il luogo opportuni per liberarsi dalla dominazione italiana.” E’ questa la situazione, anche se comprendo che ciò possa provocarLe dei dispiaceri.
Raniero:”Al cospetto le rivendicazioni padane sembrano barzellette”.
Eligio: “Ecco mio DNA scorrono melanzane ma mi viene da pronunziare melenzane. Sento scorrere anche altro … l’aspirazione alla autorevolezza, l’attesa del momento e del luogo opportuno per emanciparsi dal giogo opprimente degli “interni”, la speranza della autonomia, la nascita di un Governo regionale non sottomesso ad alcuna convenienza e connivenza ”.
Raniero: “Soffermianoci sulle melanzanze anche se melenzane sia errato … ma non troppo. Infatti, si sostiene che melanzana provenga da ‘mela insana’ perché non commestibile mangiata cruda. Diciamo che tu ti assesti sul plurale.”
Eligio: “Secondo l’Artusi, Pellegrino Artusi, la melanzana è un ortaggio da non disprezzarsi per la ragione che non è né ventoso, né indigesto … è tutt’altro che sgradevole, specialmente in quei paesi dove il suo gusto amarognolo non riesce troppo sensibile.”
Raniero: “La mia sensibilità suggerisce che in una qualunque dieta sono irrinunciabili a base di melanzane la Norma, la Parmigiana, i Mulincianeddi chini, la Caponata, le cotolette, le grigliate con la mentuccia e le melanzane sott’olio.”
Eligio: “Se ci pensi bene … l’elencazione consente di aprire due capitoli. Uno sulla mollica. L’altro sull’agrodolce nella cucina siciliana di derivazione araba”.
Raniero: “Mollica di pane. Solo a dire sembra poesia. La mollica è la infinitesimale radice quadrata, l’atomo, il midollo della Sicilia. La Sicilia … il “granaio della Repubblica, alla cui mammella il popolo romano si nutre”. La mollica di pane raffermo, indurito e grattugiato, a muddica, incarna il paradigma dell’arte del riciclo. In cucina niente si butta. Figuriamoci il pane. Peccato. Chi si vede costretto a gettarlo … lo bacia.
A muddica, a muddica cunzata (non manca mai formaggio grattugiato, olio evo, prezzemolo … si rinvengono spesso sminuzzati il cappero, la scorza di arancia o di limone, il pinolo, la passolina, … si bagna talvolta con Marsala o Malvasia) si annovera di diritto tra gli ingredienti principali in Sicilia, entra a pieno titolo nel ripieno di calamari, pomodori, peperoni e (come già detto) di ogni tipo di involtino, polpetta e polpettone, trionfa nel rifinire per impanatura e doratura, gratinatura e croccantezza antipasti, primi e secondi. Ora Eligio traduci con ricette”.
Eligio: “Ti parlerò, in particolare, di mulincianeddi, di caccioffuli, di pipiceddi chini alla messinese. Cotture diverse”.
Raniero: “Sono già sintonizzato”.
Eligio: “Raniero … sulle melenzanine ripiene … anzi supra i mulincianeddi chini … mi reputo immodestamente un maestro. Le mie melenzazine sono una bomba. Tutto ciò che mi piace lo raccolgo all’interno senza timore, senza pudore, senza ritegno, senza misura, senza mezza misura. Andiamo per ordine. Le melanzanine vanno scavate dopo un taglio netto nella parte superiore rivestita da foglie tra il ruvido e lo spinoso. Con un coltello appuntito occorre incidere la polpa ritagliando un primo scarto – che a regola d’arte – risulterà a forma conica senza alcuna scalfittura del rivestimento esterno della melanzanina. Poi si prosegue con una meticolosa operazione di scavo. Chi è attrezzato si è dotato di un cucchiaino affilato dall’arrotino. Occorre somma attenzione. Bisognerà introdursi con diligenza e pazienza evitando di incidere l’involucro che dovrà restare integro. La polpa io non la getto. Piuttosto la friggo in olio evo e cipolla aggiungendo dadolata di pomodorini per salsa ridotti. Ovviamente, seguo il normale iter facendo susseguire per la cottura prima la doratura delle cipolle, poi la polpa di melanzanine (precedentemente salate, pressate e strizzata per fare uscire l’acidulo liquido di vegetazione) infine il pomodoro. Le melanzanine svuotate andranno massaggiate all’interno con molto sale e capovolte per almeno mezz’ora. Trascorso il tempo ripromesso occorrerà rimuovere il sale residuo. Nel frattempo, in altra padella si farà rosolare del tritato di seconda (fin quando diventa marrone) con spolveratina di noce moscata. In un pentolino, parallelamente, per otto minuti dal bollore dell’acqua ci si adopra’ per delle uova sode. Un uovo per ogni quattro melanzanine. Indi, il composto di cipolle, polpa di melanzanine e pomodoro andrà unito in una boule al tritato, a della mollica di pane raffermo, a del formaggio grattugiato, a del pepato fresco a cubetti, a prezzemolo tagliuzzato finissimo. Si potrà anche arricciare il naso. Tuttavia, a prescindere dalle dosi e dal dosaggio, il mix (con poco di tutto) e’ fenomenale. D’altronde le combinazioni di sapori e odori sono sperimentate tradizionalmente in altre ricette.
Quindi … alla base della melanzanina svuotata aggiungere una acciughina sott’olio. Poi una parca parte della farcia per consentire in centro di inserire un quarto di uovo sodo. Teoricamente, sarebbe possibile richiudere con l’iniziale conico ritaglio assicurandone la tenuta con uno stuzzicadenti. Io, invece, preferisco richiudere con la farcia e intingere la capa mozzata della melanzanina ripiena nell’uovo sbattuto. Infatti, il passaggio successivo prevede che la melanzanina farcita venga prima leggermente soffritta nell’olio di semi. Comincio con la parte rivestita di uovo sbattuto per sigillare il composto onde non farlo uscire per fare – di seguito – rigirare le melanzanine in ogni – diciamo impropriamente – lato. Finita questa fase, si ultima la ricetta riponendo le melanzanine in una pentola in cui cuoceranno con della salsa di pomodoro versato su un letto di cipolle già imbiondite. Arricchire il sugo con foglie di basilico fresco. Altra mezz’ora d’attesa per la cottura … verifica di sale e pepe e … spegnere il fuoco. Fare raffreddare. Risultato? Pazzesco. Una esplosione di piacere per il palato.
P.s. Estratte le melanzanine, residuerà un succulento sugo che la memoria associa – di certo – alle spaccatele”.
Raniero: “Eligio … elogio alla follia”.
Eligio: “E ora passiamo ai carciofi”.
Raniero: “Aspetta. Prima ti leggo una poesia. È di Pablo Neruda.
Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero,/ispida edificò una piccola cupola,/si mantenne all’asciutto sotto le sue squame,/vicino al lui i vegetali impazziti si arricciarono,/divennero viticci,/infiorescenze commoventi rizomi;/sotterranea dormì la carota dai baffi rossi,/la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino,/la verza si mise a provar gonne,/l’origano a profumare il mondo,/e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero,/brunito come bomba a mano,/orgoglioso,/e un bel giorno,/a ranghi serrati,/in grandi canestri di vimini,/marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:/la milizia./Nei filari mai fu così marziale come al mercato,/gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi,/file compatte,/voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade,/ma allora arriva Maria col suo paniere,/sceglie un carciofo,/non lo teme,/lo esamina,/l’osserva contro luce come se fosse un uovo,/
lo compra,/lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe,/con un cavolo e una bottiglia di aceto finché,/
entrando in cucina,/lo tuffa nella pentola./Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo,/poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta del suo cuore verde.”
Eligio: “Esordiamo con una esortazione. Saltino la pagina quelli che si rifiutano di mangiare con le mani. Qui
forchetta e coltello sono tabù. Con le mani, che non potranno che ungersi, si staccano le foglie ad una ad una. Il ripieno di mollica condita e farcita andrà raschiato con i denti. Attenzione non leccato a rimuovere sono la farcia ma raschiato a rimuovere anche la polpa interna alla foglia di carciofo. Mani e denti ti introdurranno fino al tenerissimo cuore del carciofo. Sarà una esplorazione di gusto lenta, inarrestabile, inesorabile. Un carciofo a testa sarà sufficiente. A me non basta. Non per ingordigia ma per piacere. Un piacere che in picnic … magari a pasquetta rimanda alla primavera di libertà disincantata e informale.”
Raniero: “Bene. Andiamo al sodo.”
Eligio: “Elenco le fasi. Uno. Privare i carciofi delle foglie più esterne che sono le più coriacee. Due. Tagliare parte del gambo. Tre. Eliminare il fieno centrale. Quattro. Sciacquare e lasciare capovolti per qualche minuto. Cinque. Allargare ben bene le foglie. Sei. Farcire con la mollica condita aggiungendo – soprattutto in prossimità del cuore – pepato fresco tagliato a dadini. Sette. Battere il carciofo per agevolare il composto a scivolare in basso. Otto. Cospargere il fondo della pentola con l’olio evo in uno con spicchio d’aglio e gambi di prezzemolo. Nove. Disporre in verticale i carciofi in un tegame ben stretti uno accanto all’altro. Dieci. Se resta spazio, riempire con una patata. Undici. Regolare di sale e pepe. Dodici. Versare acqua fino ad arrivare quasi a metà dell’altezza dei carciofi e versare un filo d’olivo sopra ogni carciofo. Tredici. Mantenere umidità con un foglio di carta da forno (o di carta di frutta e verdura) fra pentola e coperchio per far assorbire il vapore. Quattordici. Coprire. Quindici. Portare a cottura con fiamma dolce (controllando il livello dell’acqua) per circa trentacinque quaranta minuti.
Raniero: “ … ora i pipiceddi”.
Eligio: “I peperoni (parenti stretti dei peperoncini e di pipi longhi) sono quelli piccoli. Gialli, rossi, verdi. Bisogna, anzitutto, tagliare la parte superiore conservandola perché servirà da cappello. Poi, occorre ripulire il peperone mignon dai filamenti e dai semi. Infine, tostata leggermente la mollica, si insaporirà con sale, pepe e basilico in abbondanza; si mischierà con parmigiano e pecorino grattugiato, capperi, filetti di pomodori e acciughe a pezzetti, scamorza, pepato, primosale a scelta. si irrorerà con un filo d’olio. Quindi il composto sarà inserito nel peperone. A questo punto, i peperoni potranno essere disposti in una teglia oleata per essere inserirti infornati a centottanta gradi per una ventina di minuti. Qualcuno, in verità, provvede ad una preliminare rosolatura in padella. Si mangiaranno gustandoli come delizia sia caldi, sia tiepidi, sia freddi.”
Raniero: “I miei preferiti sono quelli verdi. Vale anche per i pomodori in pastella”.
Eligio: “Forse perché ti sei commosso quando hai vesto il film Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”.
Raniero: “Mi sono commosso alla frase “ci deve essere un Dio speciale per i bambini”.
Eligio: “Ciuffo andava ripetendo questa frase …”
Raniero: “… e poi aggiungeva … questo Dio speciale lo guarderò negli occhi per domandargli … sei sicuro che siamo a tua somiglianza?”.
Continua…