Chiunque intenda affrontare la cosiddetta «questione meridionale» e in particolare le condizioni sociali e politiche della Sicilia, non può non tenere conto dell’inchiesta del 1876 condotta dai due toscani, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, esponenti liberali del conservatorismo illuminato presente nell’Italia unita.
L’Assessorato Regionale dei Beni Culturali Ambientali e della pubblica Istruzione della Regione Siciliana ha promosso la pubblicazione nel 2005 dell’inchiesta prodotta da Leopoldo Franchetti, «Condizioni politiche e amministrative della Sicilia», a cura del Gruppo Editoriale Kalos, di Palermo. Il testo è presentato dall’allora Assessore Regionale dei Beni Culturali, on. Prof. Alessandro Pagano, introdotto da Piero Grasso, allora Procuratore Nazionale Antimafia, con postfazione di Pietro Mazzamuto.
Completata l’unità del Paese attraverso il cemento ideologico del Risorgimento, la questione sociale si è subito presentata nelle sua estrema drammaticità, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia. Successivamente assumerà i contorni di questione agraria resa sempre più difficile dalla piaga del clientelismo e dal dilagare della violenza e della criminalità.
Naturalmente alla questione sono state attribuite diverse letture, spesso ideologiche e cariche di pregiudizi, si pensi alle letture di area marxista, alle letture esclusivamente economiche. Tra queste non bisogna dimenticare quella socio-culturale abbozzata dallo storico Francesco Pappalardo, dove denuncia il tentativo diffuso di annientare l’eredità e la personalità del nostro popolo. Infatti, «la questione meridionale non può essere ridotta a un problema di sviluppo economico ineguale fra le differenti regioni d’Italia o di ritardo civile del Sud nei confronti del Centro-Nord della penisola, ma va letta come conseguenza della lacerazione sociale e morale derivata, dopo l’Unità, dallo scontro fra differenti modelli culturali e forme diverse d’organizzazione sociale». (F. Pappalardo, «Come il Mezzogiorno è diventato una questione», maggio-giugno 2000, n.299, Cristianità).
Comunque sia lo studio di Franchetti è un documento letterario, non sufficientemente valorizzato, secondo Mazzamuto. E probabilmente, l’indagine socio-criminale di Franchetti, per Grasso, è forse il primo studio serio ed approfondito dove si mettono puntualmente a fuoco le due ‘questioni’ per il Paese: la questione mafiosa e quella meridionale.
Nel I° capitolo, dopo aver descritto la città di Palermo come una nuova bengodi, dal suggestivo paesaggio, dalla straordinaria bellezza e dal clima favoloso, a poco a poco, l’incanto svanisce e da Paradiso, il territorio, si trasforma in Inferno. Per strada incontra ovunque bersaglieri, e viene a conoscenza dei tanti omicidi e degli introvabili assassini. Il panorama cambia, «le violenze, gli omicidi, pigliano le forme più strane».
In pratica secondo Franchetti, «la violenza va esercitandosi apertamente, tranquillamente, regolarmente; è nell’andamento normale delle cose: Non ha bisogno di sforzo, di ordinamento, di organizzazione speciale. Fra chi dà il mandato di un delitto, o chi l’eseguisce, spesso non appare traccia di relazione continuata, regolata da norme fisse. Sono persone che avendo bisogno di commettere una prepotenza, e trovando sotto la loro mano, e, per così dire, per la strada, istrumenti adattati al loro fine, ne fanno uso».
Franchetti descrive dettagliatamente questi personaggi dediti all’esercizio della prepotenza, le associazioni dei Mulini e dei Posa. Ma c’è anche la classe abbiente, quella dominante, quella delle rivalità e degli odii ereditari tra famiglie, che si contendono il loro Comune. Si sofferma sull’importanza dei cosiddetti sfregi, per imporre la propria volontà. Per questa classe dominante è importante avere a loro comando una forza armata di una certa importanza e si faccia sapere che ce l’ha. «Difatti, si sente raccontare che la tale o tal’altra persona influente in politica o nelle amministrazioni locali, ha a suo servizio il tale o talaltro capo mafia di Palermo o di un Paese vicino, e per mezzo suo, una parte di quella popolazione di facinorosi per mestiere o per occasione, che infestano la città e i suoi dintorni […]».
In questo modo si formano potenti associazioni di interessi che si insinuano e si impongono in tutte le faccende private e pubbliche. Questi signori potenti sono padroni assoluti, amministrano tutto, disponendo a loro piacere del patrimonio e delle entrate di ogni Opera. Tutto questo capita all’interno o nelle vicinanze di una grande città, mentre la gente gira tranquillamente per le strade, con le guardie di pubblica sicurezza e carabinieri. Anzi dappertutto si vedono truppe armate, pattuglie in perlustrazione e non siamo in tempi di rivoluzione.
Franchetti sottolinea che le leggi da applicare sono uguali sia in Sicilia che nel Continente. Ma per prevenire i delitti e punirli, per mantenere l’ordine e l’osservanza delle leggi di ogni specie, la polizia, la magistratura, l’autorità pubblica, avrebbe «bisogno di querele, di denuncie, di testimonianze, del verdetto dei giurati, ha bisogno quasi ad ogni passo della cooperazione dei cittadini», naturalmente tutto questo non avviene mai. Praticamente Franchetti può scrivere, che «qui, l’amministrazione governativa è come accampata in mezzo ad una società che ha tutti i suoi ordinamenti fondati sulla presunzione che non esista autorità pubblica. Gl’interessi di qualunque specie atti a dominare trovano all’infuori di questa autorità i mezzi per difendersi, e di fronte a loro, l’interesse comune, da essa rappresentato, è vinto prima di combattere, e la legge è nel fatto esclusa».
Per Franchetti in questo tipo di società non c’è posto per chi non «zanne ed artigli. Difatti il maggior numero d’ogni classe e d’ogni ceto è oppresso e soffre, ma per lo più non se ne rende neppur conto».
Tra l’altro la massa della popolazione ammette e riconosce, giustifica questo sistema sociale. Giustifica l’esistenza di queste forze, che altrove sarebbero giudicate illegittime. In pratica si commettono palesi delitti, senza che nessuna autorità pervenga a conoscerne gli autori. «Tutti sanno chi sono, dove sono, ciò che fanno e ciò che faranno, e nessuno denunzia, nessuno porta testimonianza; nemmen l’offeso, il quale, se è abbastanza forte od ardito, aspetta di vendicarsi, se no si rassegna e tace». Sono trascorsi ben 128 anni, scrive il procuratore Grasso, e pur con i necessari distinguo, la forza di una verità incontrovertibile e ancora oggi riscontrabile nell’attualità.
Sostanzialmente per Franchetti, l’Autorità pubblica è impotente, non riesce a reprimere gli abusi, spesso conosce i colpevoli, ma non riesce a punirli. L’Autorità, è «simile a un esercito in mezzo a paese nemico, è costretta a diffidar sempre». In pratica se c’è un funzionario che vuole far prevalere l’interesse pubblico, alla fine si vede «sorger contro una tempesta di pubblica opinione, nata non si sa come,, venuta non si sa da dove».
Peraltro questo stesso funzionario, rappresentante del Governo, quando arriva nel suo ufficio, trova l’ignoranza più completa di quello che lui ha bisogno di conoscere. Piuttosto trova organizzazioni potenti che fanno a gara nell’offrirgli servizio. «Trova una quantità innumerevole di gente dedita al sangue, pronta ad uccidere per chiunque la paghi». E sempre con la stessa passione letteraria, il Franchetti, definisce meglio, l’inefficacia degli strumenti usati dagli uomini di Governo: «E allora si vide il malandrinaggio stipendiato dal Governo assumere, per così dire, a cottimo l’impresa di assassinare i malviventi non patentati, ed assassinarli ogniqualvolta non si alleasse con loro e non dividesse il provento dei loro delitti. Si videro uomini in divisa ufficiale commetter delitti per conto proprio, i rappresentanti del Governo costretti a non esaminare tanto da vicino i modi di procedere di istrumenti così pericolosi, e ridotti a chiudere gli occhi sui loro misfatti più orrendi, a coprirli colla autorità del Governo italiano».
Questa è la situazione nelle città siciliane, mentre nelle campagne sono presenti i malfattori, i briganti. Mentre a difendere i fondi agricoli dei possident, ci sono i campieri armati. Tuttavia,«Nella sterminata solitudine della campagna siciliana i veri padroni sono i malfattori. Stanno a loro discrezione i grandi armenti che vagano pascolando[…] Basta uno di loro con un mazzo di fiammiferi per distruggere la ricchezza di un uliveto prodotta da secoli. Appartengono a loro la vita e le sostanze dei viandanti che si avventurano isolati per i sentieri e per le strade maestre». Tutto è a loro disposizione, la dispensa, la cantina, la scuderia.
Il Franchetti continua nell’accurata descrizione dei caratteri e dei modi di procedere dei malfattori, ed ha ragione Mazzamuto quando scrive che l’opera di Franchetti rientra nell’area letteraria, della letteratura non poetica. Questi uomini vengono descritti come belve, mentre altri li descrivono come degli eroi sul tipo di quelli di Schiller, protettori del debole e dell’oppresso. «Taluni si stabiliscono in una contrada quasi come un’autorità costituita e riconosciuta, esigono dai proprietari una specie di tassa quasi regolare per mezzo delle lettere di scrocco […]». Franchetti di questa vasta popolazione di malfattori racconta le loro relazioni, il loro modo di agire e di comportarsi.
Naturalmente la forza pubblica, i carabinieri sono impotenti contro questi malfattori. «Briganti, malandrini e malviventi vanno signoreggiando le campagne, e i paesi, e sono ovunque come a casa propria». Sostanzialmente si avverte una «generale impotenza della classe abbiente contro i malfattori». In pratica i proprietari, «ricevono cortesemente i briganti, li albergano, li rivestono, li armano, non è certo per carità cristiana». Franchetti si pone la domanda sul perchè i proprietari sono docili impotenti di fronte al malandrinaggio. Basterebbero tre giorni per far sparire il brigantaggio. L’impressione è che questa rassegnazione non sia altro che complicità.
Il politico toscano è convinto che esiste una certa compiacenza del popolo siciliano nei confronti del brigante, addirittura, nota una tendenza a farne un tipo da leggenda. Un sentimento che potrebbe essere giustificato in un professore di letteratura, ma non in proprietari fondiari che hanno da difendere masserie e granai.
Franchetti è convinto che nei siciliani manchi il sentimento della Legge superiore a tutti ed uguale per tutti. Non si sentono una comunità unita, con una legge comune, ma si sentono come dei gruppi di persone mantenuti da legami personali. Il legame personale è il solo che intendano.
Franchetti su questo insiste: «Nella Società siciliana, tutte le relazioni si fondano sul concetto degl’interessi individuali e dei doveri fra individuo e individuo, ad esclusione di qualunque interesse sociale e pubblico». Non tutte le province siciliane sono uguali per quanto riguarda la pubblica sicurezza. C’è una differenza notevole tra la Sicilia Orientale e quella Occidentale. Non solo ma il testo cerca di individuare anche se è difficile, le differenza tra il brigantaggio e il malandrinaggio. Una cosa sono i malfattori a Palermo e i suoi dintorni, un’altra sono i briganti altrove.
Tuttavia per il Franchetti la colpa dello stato di insicurezza pubblica in Sicilia viene attribuito principalmente alla classe dominante, che è fatalmente portata a proteggere i malfattori. Inoltre il politico toscano è convinto che per sconfiggere i malfattori, il Governo non possa ricorrere ai Siciliani, che hanno poca dottrina e ingegno sufficiente. Franchetti non sembra addossare tutte le colpe al popolo siciliano, è convinto che prima occorra sostituire la forza della Legge alla forza privata, e questo lo dovrà fare una forza estranea all’isola, solo allora «si avrà il diritto di chiedere ai Siciliani di contribuire all’ordine pubblico, e di chiamarli immorali se non lo fanno».
I vari fenomeni che l’inchiesta ha cercato di far emergere possono riassumersi in solo concetto: in Sicilia l’autorità privata prevale su quella sociale. Prevale l’interesse privato, dove dovrebbe prevalere l’interesse sociale. Inoltre, l’unico criterio valido è la forza e così l’uso della violenza. Anche se Mazzamuto nella postfazione nota degli stereotipi presenti nell’opera del politico toscano, sia in riguardo alla mafia, alla prepotenza e alla violenza.
Altro stereotipo è la connotazione naturalistica dell’uomo siciliano congenitamente incline a provocare o a subire la prevaricazione, l’infrazione della norma civile e penale o quello di privatizzare ogni interesse socio-economico per un totale disinteresse e ignoranza del bene pubblico. Infine un’ultima annotazione da evidenziare nel testo di Franchetti i contadini siciliani assomigliano molto a quelli di Giovanni Verga e di Luigi Pirandello. Per la verità le straordinarie descrizioni dei fenomeni socio-amministrative, ma anche per quanto riguarda le belle descrizioni paesaggistiche che il testo di Franchetti offre, sembrano molto simili a quelli che ho “gustato” leggendo «La rivolta di Bronte 1860», (Laterza 2012) dell’inglese Lucy Riall.
Domenico Bonvegna