Ho notato che la liberazione di quattro ostaggi israeliani in mano ad Hamas ha avuto poco spazio nella stampa, eppure è, era una notizia importante. Perché apriva un po’ gli occhi a chi forse non vuol vedere in questa sporca guerra. L’esercito israeliano, insieme i servizi segreti, è stato bravo è riuscito a liberare vivi quattro ostaggi…
Si è trattato di un’operazione delicata e rischiosa che è stata a un soffio dal fallimento, condotta da Idf (esercito), Shin Bet (servizi segreti) e Yamam (unità speciale di polizia anti-terrorismo).
I corpi speciali israeliani si sarebbero introdotti nel mezzo del campo profughi di Nuseirat, una delle principali roccaforti di Hamas nel centro della Striscia di Gaza. Hanno passato i controlli mimetizzandosi in un veicolo civile, probabilmente di quelli destinati al trasporto di aiuti umanitari. I quattro prigionieri erano chiusi in appartamenti. Bisognava agire simultaneamente per liberare i prigionieri, per evitare che i terroristi li uccidessero. La sorpresa è riuscita perfettamente, così come il sincronismo dell’azione. Ho letto il racconto di Stefano Magni ( “Israele libera quattro ostaggi, ma ai media non va bene nemmeno questo”, 10.6.24, atlanticoquotidiano.it) Un altro problema era poi riportarli verso casa, perché si doveva attraversare una zona (tanto per cambiare) affollatissima e con i terroristi di Hamas già in allarme. Quindi, per aprirsi la via del mare, gli israeliani hanno dovuto combattere. Solo dopo un violento scontro a fuoco, hanno raggiunto la spiaggia, dove i rapiti e i loro liberatori sono tornati in Israele in elicottero. Tutti tranne uno, Arnon Zamora, il comandante dell’unità Yamam, ucciso durante l’operazione. Lascia una moglie e due figli piccoli.
Magni polemicamente si sofferma su come la notizia è stata commentata dalla stampa italiana ed estera. Anche questa volta si dà spazio solo alle agenzie vicine ad Hamas, che invece di dare i nomi degli ostaggi liberati, si danno le cifre di decine, centinaia di morti palestinesi civili uccisi dai soldati israeliani. Anche sui civili c’è da obiettare secondo il giornalista di atlantico. Pare che tra questi palestinesi c’era un tale Abdallah Aljamal, un giornalista di 36 anni, e sua moglie Fatima, che come altre “vittime civili” uccise dalle forze speciali israeliane durante l’incursione nel covo di Hamas, erano giornalisti. Da ulteriori ricerche effettuate da media israeliani è emerso che Aljamal lavorava per il Palestine Chronicle, un’emittente pro-Hamas guidata da un ex dirigente di Al-Jazeera, Ramzi Baroud, che opera sotto l’egida del People Media Project, un’organizzazione registrata a Olympia, nello Stato di Washington. Allo stesso modo, si è scoperto che Aljamal ha collaborato per Al Jazeera ed è stato portavoce del Ministero del lavoro di Hamas. Pertanto, c’è il fondato sospetto che un collaboratore di Al Jazeera, televisione con sede in Qatar, fosse un carceriere degli ostaggi di Hamas. Secondo Magni, “fra giornalisti e terroristi, nella Striscia di Gaza, non ci siano poi così tante differenze, considerando anche tutti i giornalisti che hanno partecipato al pogrom del 7 Ottobre, con un “posto in prima fila”. Resta anche il fatto che tutti gli ostaggi appena liberati fossero internati in appartamenti privati, in condomini civili, con la tacita o attiva collaborazione di chi ci abitava. Dove passa il confine fra “civile innocente” e collaboratore dei rapitori?”. Magni osserva che sia il governo Usa che quello Ue non sono obiettivi. Nel commentare l’operazione israeliana, ci si sofferma soltanto sui civili innocenti tragicamente uccisi. Un esponente dell’Onu ha fatto peggio, dopo aver ammesso che sono stati liberati quattro ostaggi, si è scagliata contro Israele che ha approfittato di questa operazione per “legittimare l’uccisione, il ferimento, la mutilazione, la fame e il trauma dei palestinesi di Gaza (sic!)”. Addirittura questa esponente dell’Onu è convinta che a Israele non interessa liberare gli ostaggi ma “continuare a distruggere Gaza e i palestinesi come popolo. Questo è un intento genocida trasformato in azione. Cristallino(sic!)”.
Sul tema dei civili palestinesi uccisi, c’è un interessante editoriale dell’attento giornalista de Il Foglio, Giulio Meotti, peraltro esperto di Medio Oriente e della storia di Israele. L’articolo è stato segnalato questa mattina da padre Livio Fanzaga da Radio Maria. (Il capo di Hamas ai mediatori: “Ci serve il sangue e il sacrificio del popolo palestinese”, 11.6.24, Il Foglio) In pratica Meotti cita Il Wall Street Journal che rivela i messaggi tra Sinwar e capi di Hamas all’estero: una diabolica strategia del terrore. “Abbiamo bisogno del sangue di donne, bambini e anziani palestinesi, per la nostra lotta”. Ecco in sintesi quello che viene sostenuto da chi non si lascia sedurre dalla propaganda di Hamas. In questo serrato dialogo, il capo di Hamas viene interrogato “Dimmi, vale la pena che diecimila persone innocenti muoiano per liberare cento prigionieri?’. La risposta è stata: ‘Ne vale la pena anche se fossero centomila’”. Si tratta di una conversazione fra il capo di Hamas a Gaza Yahya Sinwar e Yuval Bitton, a lungo capo dell’intelligence israeliana nelle carceri, risale al 2011. Ora il Wall Street Journal rivela i messaggi che Sinwar ha mandato ai capi di Hamas all’estero durante la guerra a Gaza. Ed emerge una diabolica strategia del sacrificio umano”.
Meotti continua il racconto “Per mesi, Sinwar ha resistito alle pressioni per un accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi. Dietro la sua decisione, come mostrano i messaggi che Sinwar ha inviato ai mediatori, c’è il calcolo che più morti civili palestinesi ci sono, più la causa ha da guadagnarci.“Abbiamo gli israeliani proprio dove li vogliamo”, ha detto Sinwar in un messaggio ai funzionari di Hamas.
In una lettera dell’11 aprile scorso inviata al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, dopo che tre figli di Haniyeh erano stati uccisi in un attacco israeliano, Sinwar ha scritto che la loro morte e quella di altri palestinesi avrebbero “infuso la vita nelle vene di questa nazione, spingendola a risorgere”. “Abbiamo bisogno del sangue di donne, bambini e anziani palestinesi, per la nostra lotta” disse già subito dopo il 7 ottobre il leader di Hamas a Doha, Ismail Haniyeh.
Hamas potrebbe anche perdere la guerra con Israele, ma al costo di un’occupazione israeliana di oltre due milioni di palestinesi. “Per Netanyahu, una vittoria sarebbe anche peggio di una sconfitta”, ha detto Sinwar. “Facciamo notizia solo con il sangue. Niente sangue, nessuna notizia”. “Finché i combattenti saranno ancora in piedi e non avremo perso la guerra, tali contatti dovrebbero essere immediatamente interrotti”, ha scritto Sinwar a chi vorrebbe un accordo. “Abbiamo le capacità per continuare a combattere per mesi”.
Sinwar in un altro messaggio ha esortato i compagni della leadership politica di Hamas fuori Gaza a non fare concessioni e a spingere invece per la fine della guerra. Un elevato numero di vittime civili creerebbe una pressione mondiale su Israele, ha affermato Sinwar. “Il viaggio di Israele a Rafah non sarà una passeggiata nel parco”, ha detto Sinwar. Il leader di Hamas ha paragonato la guerra a una battaglia del VII secolo a Karbala, in Iraq, dove il nipote del profeta Maometto fu ucciso.
“Dobbiamo andare avanti sulla stessa strada che abbiamo iniziato”, ha scritto Sinwar. “Come può Israele continuare a esistere al fianco di un’entità disposta a uccidere i propri figli pur di annientare quelli degli altri?” E’ un interrogativo allarmante quello posto da Meotti che dovrebbe far riflettere le tante “anime belle” che pontificano nei vari talk show o nelle piazze del nostro Paese.
DOMENICO BONVEGNA
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