Dopo il sacerdote salesiano don Titus Zeman, do spazio ad un altro gigante della fede, il vescovo rumeno Iulio Hossu, anche lui, vittima del socialcomunismo che doveva “liberare” l’umanità dalle sovrastrutture religiose, in particolare dalle chiese cattoliche che fanno riferimento a Roma e che non si piegavano al potere comunista.
E così è stato anche in Romania, nel 1948, il governo comunista procede all’ultimo assalto della Chiesa greco-cattolica, che non ha accettato di unirsi alla Chiesa ortodossa che nel frattempo si era alleata al regime. Inizia così il calvario dei vescovi, dei sacerdoti, dei fedeli della Chiesa romena Unita con Roma. Nel libro,“La nostra Fede è la nostra vita”, sono pubblicate le Memorie, di Iuliu Hossu, vescovo eparchiale di Cluj-Gherla, curate da Marco Dalla Torre, Edizione Dehoniane Bologna, (EDB, 2016, pag. 519) qui il vescovo racconta la persecuzione subita dalla Chiesa greco-cattolica. Hossu accanto agli altri confratelli vescovi, non cedette e rimase aderente a quella fede che era la sua vita, fu costretto a girare diversi luoghi di reclusione, in particolare fu incarcerato nel famigerato penitenziario di sterminio di Sighet-Marmatiei, poi fu recluso nel monastero ortodosso di Caldarusani. Hossu non si piegò mai, come del resto i suoi confratelli. “Ripetutamente inviò al governo memoriali, in cui ribadiva, senza odio ma con determinazione, la sua posizione coraggiosa”.
Il testo è composto di tre quaderni, che il vescovo ha scritto nel 1961, per poi consegnarli clandestinamente a suo fratello Traian per farli pubblicare successivamente con la caduta del regime.
La lettura di un libro è un vero e proprio “lavoro” faticoso, qualcuno potrebbe obiettare, ma chi te lo fa fare. In questo caso voglio rendere un omaggio a un martire della fede cattolica, che fino alla fine ha combattuto la “Buona Battaglia” e non ha perso la Fede. La Lettura di queste memorie li reputo utili, un aiuto a rinforzare la nostra debole fede, soprattutto in questo inizio di Quaresima, ci può aiutare a riformare la nostra esistenza. Del resto, “La Chiesa ha bisogno del sangue dei Martiri”, diceva san Giovanni Paolo II a Fulda. Se queste memorie sono state pubblicate, qualcuno dovrà fare lo sforzo di leggerle. I protagonisti hanno subito torture, dolori atroci e noi non vogliamo dedicare un pò di tempo a conoscere le loro storie?
Il testo, è un “testamento spirituale” del nostro arcipastore di pia e benedetta memoria, il cardinale in “pectore” Iuliu Hossu”, scrive monsignor Florentin Crihalmeanu, attuale vescovo di Cluj-Gherla. “Con profonda emozione spirituale mi sono nutrito di queste pagine e ho scoperto il vissuto profondo e il profilo spirituale di questo illustre predecessore[…]”. Le pagine di questo diario, scritte durante il “domicilio obbligatorio”, sono un modello di vita, lasciato a testimonianza per i suoi successori. Un’attualissima confessione di fede e un messaggio indirizzato con la stessa forza ai fedeli di allora come di oggi: “state saldi…”.
Monsignor Hossu, aveva un animo retto, non rispose ai seducenti allettamenti dei “senza Dio”, se non con quella frase che ripete sempre nei vari estenuanti interrogatori, che divenne il motto riassuntivo della sua vita: “La nostra fede è la nostra vita”. Ad ogni interrogatorio i commissari politici se ne uscivano con l ‘immancabile frase: “ma perchè ha in mente sempre il Papa!”.
Anima nobile, eletta, di santo pastore e confessore della fede, monsignor Hossu “non scese a livello dei suoi avversari, scoprendo e respingendo facilmente la tentazione del male e rimanendo immune da qualsiasi vendetta”. Pertanto la pubblicazione di queste memorie sono un dovere, nello spirito del Vangelo: “Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto il letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce” (Lc 8,16). Monsignor Crihalmeanu ci invita non solo a leggere queste pagine, ma a meditarle in preghiera, perché in preghiera sono state scritte. Nelle pagine di queste memorie il vescovo spesso insieme alla descrizione della carcerazione subita cita diversi passi biblici, quindi è un testo anche “liturgico”. Il testo è stato pubblicato in Romania nel 2003, per avviare il processo di canonizzazione del vescovo. In Italia è la prima edizione.
I 14 anni di supplizio iniziano il 29 ottobre 1948 con l’arresto e dopo l’udienza con il ministro dei culti, Stoian viene temporaneamente portato nella residenza di Dragoslavele. In più occasioni il governo comunista ha cercato di convincere il vescovo di unirsi alla Chiesa ortodossa del metropolita Nicolae Balan e ad abbandonare quella unita con Roma. Un invito perentorio gli venne fatto il 15 maggio 1948, sia dai comunisti che da Balan, che Hossu rifiuta e anzi denuncia il comportamento del metropolita Balan, in combutta con gli oppressori, “che avevano ridotto in schiavitù la sua patria tanto da ridurla all’impotenza, a non poter più reagire, a gemere in schiavitù, questo proprio non riesco a comprenderlo: consegnarsi ai comunisti senza patria e senza Dio nelle cui prigioni gemevano i figli migliori della nazione, divenire loro strumento, mettersi nelle mani di chi astava soffocando tutto quanto non gli si piegasse, di chi si preparava a sopprimere la Chiesa greco-cattolica”.
Lo scopo dei comunisti non era che ci unissimo, ma che ci dividessimo: “fomentare discordia, indebolirci e così facilmente renderci ugualmente schiavi”. Ogni volta Hossu ci teneva a ribadire che scriveva non per odiare, o recriminare contro un mio fratello, ma intendeva testimoniare la verità e pregava sempre il Signore per quelli che hanno sbagliato, perdonando tutti i carcerieri e chi li aiutava. Di fronte alla tempesta che si stava abbattendo sulla sua Chiesa, monsignor Hossu, invitava i suoi confratelli, i sacerdoti a non lasciarsi “smuovere da niente e da nessuno, abbracciati alla santa Chiesa che il Signore guida dal cielo, e qui attraverso Pietro e i suoi successori, che ne sono il fondamento; non sarà vinta dalle porte dell’inferno. Tenete con forza alla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, di cui siamo felici di far parte”.
Intanto il 2 dicembre 1948, la Gazzetta Ufficiale, col decreto n.358/1948 veniva soppressa la Chiesa greco-cattolica unita, i cinque vescovi, Rusu, Sociu, Hossu, Ioan Balan, Aftenie, insieme firmano un memoriale da inviare al governo, dimostrando l’infondatezza giuridica e incostituzionalità del decreto, chiedendo che fosse revocato e che si restituisse la libertà di organizzazione e di funzionamento alla Chiesa unita.
Dopo quattro mesi i vescovi escono da Dragoslavele per essere trasferiti al monastero di Caldarusani e qui reclusi. Nel diario il vescovo racconta tutto nei minimi particolari, ma soprattutto ai religiosi non rimaneva che intensificare la vita spirituale, per approfondirla si servivano delle feste dell’anno liturgico, degli anniversari e delle ricorrenze offrendo tutto al Signore e chiedendogli con insistenza che avesse cura della nostra Chiesa, del clero e del popolo. Scrive monsignor Hossu: “Pe me, fin dai primi giorni e poi sempre, fonte di grande consolazione è stato il quotidiano peregrinare attraverso le parrocchie della mia eparchia, […]rivivevo gli anni trascorsi, la gioia sperimentata tra i fedeli. Recitando il Rosario, ripercorrevo in preghiera tutta l’eparchia; ogni giorno riprendevo l’amato giro, iniziando dalla cattedrale di Cluj”. Per certi versi confessa il vescovo, così evadevo da me stesso anche fisicamente. Nei primi anni della detenzione potevano leggere la sacra Scrittura, poi per cinque anni neanche quella.
Intanto nel 1950 dopo un lungo ed estenuante viaggio attraversando tutta la Romania, i gruppi di reclusi, divisi in due, sono stati portati al penitenziario di Sighet Marmatiei, un carcere duro, vicino alla frontiera con l’Unione Sovietica. Qui fu rinchiusa tutta l’intellighenzia romena, esponenti dei vari partiti storici, uomini di cultura, generali, ex ministri, dal 5 e 6 maggio 1950 anche i vescovi cattolici di rito greco e latino. Qui il regime era di sterminio per fame: il prigioniero veniva sottoposto a umiliazioni, vessazioni, percosse, perquisizioni notturne. Non venivano somministrate cure e, in caso di morte, si procedeva a una sepoltura affrettata di notte, prima nel cimitero della città, poi in quello dei poveri. Quasi nessuno aveva avuto qualche processo. Tutti erano a disposizione dell’onnipresente Securitate.
A Sighet i detenuti erano dei veri e propri schiavi, lavori forzati, cibo scarsissimo, celle isolate e fredde, continuamente sorvegliati. Qui naturalmente per i vescovi niente messa, niente libri. Si recitava a memoria la santa liturgia. Le restrizioni diventavano sempre più aspre da parte dei commissari politici. Si arrivò al punto che fu ordinato di non pregare. Monsignor Hossu ricorda tutto e nel suo diario annota tutto, la fame perenne, la sopportazione, la mancanza di igiene, il lavoro, a tagliare la legna, lo chiamavano “volontario”, e poi la morte lenta dei fratelli, monsignor Frentiu, Suciu, naturalmente io non sto qui ad elencare gli episodi della lunga detenzione. Vi lascio alla lettura del libro.
Nel 1955 si parte da Sighet e siamo al terzo Quaderno compilato dal vescovo, le memorie dal 1956 al 1961, “L’esilio nella nostra cara patria”. Dopo tanti anni il vescovo incontra i suoi fratelli, la detenzione è meno dura, si può celebrare l’Eucarestia, monsignore Hossu viene curato in ospedale. Certo rispetto a Sighet va meglio, ma i governanti non demordono, il loro intento è convincere Hossu ad abbandonare il suo legame con Roma. Intanto nelle nuove residenze il vescovo riceveva visite dei fedeli e questo naturalmente spaventava i tiranni e i loro servi, lo scrive il vescovo. “Temevano l’amore, sentivano il pericolo dell’offensiva della fede che si manifestava immutata, non impoverita, anzi, più fervida”.
Alla fine Hossu viene trasferito, sistemato, di nuovo al monastero di Caldarusani e qui completamente isolato, vive da eremita, senza poter ricevere nessuno. “Il filo spinato di una volta non c’era più, e neppure la sorveglianza dei militari con la baionetta in canna sul fucile sempre carico, ma c’erano la sorveglianza invisibile della Securitate, che controllava continuamente il monastero […]”. Ogni volta che veniva sottoposto a interrogatorio, il vescovo chiedeva sempre la stessa cosa, la libertà, non tanto per lui, ma per la sua Chiesa, per i suoi diritti, la libertà per i suoi ministri e per i suoi incarcerati.
Il Papa conosceva le persecuzioni dei vescovi e dei fedeli romeni, per questo non li dimenticava, così Paolo VI decise di nominare cardinale il vescovo Hossu, che per questo doveva andare a Roma per ricevere l’investitura, e dopo rimanere in Italia. Hussu rinuncia e ringrazia il Pontefice, decide di rimanere in patria, non vuole abbandonare il proprio popolo. Ha preferito condividere la sorte dei suoi fratelli sacerdoti. Hossu poi viene nominato cardinale in “pectore”, senza rendere pubblica la sua nomina. Il cardinale Iuliu Hossu lascia questa terra il 28 maggio 1970, le sue ultime parole sono: “La mia lotta è terminata! La vostra continua! Conducetela fino alla fine!”
DOMENICO BONVEGNA
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