Il Congo muore, i potenti brindano: il massacro di Goma tra guerre e affari

di Davide Romano

L’offensiva del Movimento 23 Marzo (M23) su Goma non è stata soltanto una battaglia, ma una carneficina. Una pagina nera della storia della Repubblica Democratica del Congo, di quelle che il mondo finge di vedere senza guardare davvero. Per cinque giorni, dal 27 gennaio al 2 febbraio 2025, la città capoluogo del Nord Kivu è stata teatro di scontri feroci tra i ribelli e le forze lealiste, con la popolazione civile intrappolata sotto una pioggia di proiettili, bombe e colpi di artiglieria pesante. Goma, un milione di abitanti, si è trasformata in un inferno.

Le cifre raccontano parte dell’orrore. L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite parla di almeno 3.500 morti e 5.000 feriti. Ma chi ha contato i corpi sepolti in fosse improvvisate? Chi può sapere quanti siano stati bruciati per allontanare il fetore della decomposizione? Le case devastate, le famiglie distrutte, le vite spezzate: numeri che si aggiungono a una tragedia senza fine.

Nella città assediata, gli abitanti sono rimasti senza acqua, senza elettricità, senza risorse. Hanno bevuto l’acqua del lago, quando potevano. Oppure quella piovana, raccolta da lamiere arrugginite. La fame, la sete, la disperazione si sono insinuate ovunque. E mentre i ribelli si insediavano nelle istituzioni provinciali, chiedendo alla popolazione di tornare alla normalità, il terrore era l’unico sovrano.

C’è chi ha tentato di vedere nella vittoria dell’M23 una nuova possibilità di stabilità. I ribelli hanno organizzato un incontro pubblico allo Stade de l’Unité, presentando i nuovi vertici della provincia e promettendo sicurezza. Un’operazione di propaganda studiata, quasi a voler suscitare un senso di sindrome di Stoccolma nella popolazione stremata. Ma a Goma nessuno dimentica. Nessuno dimentica l’AFDL, il Fronte di Liberazione che nel 1996 fece cadere Mobutu e inaugurò un nuovo ciclo di guerra e miseria. Nessuno crede più alle promesse di chi arriva con le armi in pugno.

E mentre a Goma si muore, il mondo osserva con la solita indifferenza mascherata da diplomazia. Il cardinale Ambongo, nella sua omelia del 9 febbraio, ha parlato chiaro: “Abbiamo l’impressione che la comunità internazionale stia facendo il doppio gioco”. E come dargli torto? Si moltiplicano le dichiarazioni, i comunicati, i vertici. A Dar es Salaam, in Tanzania, i leader della Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe (SADEC) e della Comunità dell’Africa Orientale (EAC) si sono riuniti per affrontare la crisi. Ma nessuna condanna netta, nessuna azione concreta. Solo parole, mentre i ribelli continuano la loro avanzata verso il Sud Kivu.

La verità è che dietro questa guerra si nascondono interessi più grandi. Il Congo è un gigante ferito, ma ancora ricco. Le sue terre nascondono minerali strategici: coltan, cobalto, oro. Ricchezze che fanno gola a troppi, e che rendono la stabilità un lusso che nessuno è disposto a concedere. Gli attori in campo giocano a fare i pompieri dopo aver appiccato l’incendio. E nel frattempo, il popolo congolese continua a morire.

La questione non riguarda solo il Congo. Riguarda il mondo intero. Riguarda l’ipocrisia di chi parla di diritti umani e poi si volta dall’altra parte. Riguarda l’indifferenza criminale di chi permette che tragedie come questa si ripetano, ancora e ancora. Riguarda l’incapacità della comunità internazionale di imporsi sugli interessi economici e geopolitici che alimentano questi conflitti.

Il mondo deve svegliarsi. Non bastano più le dichiarazioni di circostanza, le condoglianze ufficiali, i summit inconcludenti. Servono azioni concrete, servono prese di posizione nette. Il popolo congolese non può essere lasciato solo di fronte a questa ennesima tragedia. Perché ogni giorno che passa, ogni nuovo attacco, ogni vita spezzata, è una condanna alla nostra coscienza collettiva.

Se il mondo non agirà, allora la storia dovrà ricordare non solo i carnefici, ma anche i complici silenziosi. Perché chi tace di fronte all’ingiustizia, chi guarda senza intervenire, è colpevole quanto chi preme il grilletto.