Ci si affeziona fin dalle primissime pagine a Marina Fabiano, protagonista dell’ultimo romanzo di Marina Di Dio Marina F. Eutanasia di un amore (Giovane Holden Edizioni). E si seguono con trepidazione e partecipazione emotiva le avventure che costellano la sua vita.
Sarebbe meglio dire le disavventure: dalla morte del padre, al carcere quindi alla vita da riscrivere una volta riconquistata la libertà dopo aver scontato la pena. Vicende che confermano che il destino di ognuno spesso nasconde oscure trame. Da un dolore all’altro la storia di Marina si arricchisce di ricordi: l’infanzia, la famiglia, quello che ha avuto e che non avrà più.
Perché ognuno di noi è impreparato al dolore di rimanere orfano. Ci si colpevolizza, si prova sofferenza e rabbia nel non essere utili ad alleviare il dolore di chi soffre una malattia. La morte è questo: se un nostro caro muore di malattia è un’agonia. Se muoiono improvvisamente, una sciabolata. Ti manca un pezzo e non ci puoi credere che potrai vivere senza il loro sguardo, che ogni giorno ti manca di più.
Marina è una studentessa al terzo anno di Medicina, senza una storia, senza un amore. Il 27 maggio del 1973, dopo aver colpito al capo il padre (Concetto), lo finisce strangolandolo con un fazzoletto. Per poi trascinare il cadavere nel bagno e scaraventarlo nella vasca ricolma d’acqua. Subito dopo, confesserà il delitto. Lo ha fatto perché suo padre soffre di dolori per la sua malattia e i suoi lamenti suonano come rintocchi in quella casa. Concetto ormai stremato chiede più volte a Marina di farlo morire perché quella atroce sofferenza che gli provoca il male non gli permette di vivere serenamente: “Uccidimi, uccidimi, non ce la faccio più!”.
E Marina quel giorno di maggio pone fine alle sue sofferenze terrene.
La domanda ora da porsi: Marina ha avuto pietà per Concetto, donandogli la morte?
Per il Tribunale di Catania merita il carcere.
Da questo momento la vita di Marina imbocca una nuova strada e incuriosisce il lettore la sua capacità di sopportare con stoica dignità ciò che gli accade, anche se negativo e doloroso, sapendo addirittura volgere in bene il male. La sostiene un’incredibile fiducia nel genere umano, un’incrollabile buonafede, qualità totalmente laiche, senza alcuna connotazione religiosa.
Attorno a Marina si muovono personaggi che potremmo definire meno stabili – mentre il doloroso passato, sa restare saldo pur nel movimento, pur in mezzo alla tempesta –, meno coerenti e saldi di lei.
Il racconto di Marina Di Dio è senza dubbio emozionante per una semplice ragione: è pieno di vita, vita vera, vita vissuta, che l’autrice sa restituire con maestria, facendo apparire semplice ciò che non lo è. La storia, per esempio, è costruita attraverso un montaggio su più piani temporali che appare naturale, mentre è frutto di un abile lavoro.
Lo scrittura è fluida e felice, impreziosita da scenari scoppiettanti che sanno riprodurre in maniera straordinaria quelli della nostra esperienza. Certo è lecito ragionare se sia umano curare anche se non si può guarire: ma come si fa ad escludere sia l’eutanasia che l’accanimento terapeutico? Il resto del romanzo non lo svelo perché sarebbe un delitto capitale farlo che vi priverebbe della curiosità di leggerlo fino all’ultima riga. Ciò che ho amato della protagonista è la sua volontà, ciononostante, di voltare pagina. Perché capisce che l’unica cosa che conta nella vita è l’amore che puoi dare a chi te lo chiede, che sia un genitore, un parente o la prima persona che incontri per strada. Ti illudi che passerai il resto della vita ad amare gli altri. Forse lo farai. Forse no. E’ troppo presto per capirlo, dipende dalle suggestioni che ti regala una “storia”. Ogni amore è diverso come il destino di ognuno di noi. Parola di Marina Di Dio.