Il mio ricordo di Matteo Durante…

Matteo Durante è morto: una parte di me e, quindi, un tratto molto importante della mia vita se ne va, assieme a un amico con cui condividevo, negli anni 60/70, le speranze di un mondo migliore, all’interno della GIAC…

 

di ANDREA FILLORAMO

Matteo Durante è morto: una parte di me e, quindi, un tratto molto importante della mia vita se ne va, assieme a un amico con cui condividevo, negli anni 60/70, le speranze di un mondo migliore, all’interno della GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica), quando lui delegato diocesano per gli aspiranti, io assistente, con la mia vecchia cinquecento in giro per tutta la vasta arcidiocesi peloritana, raggiungevamo anche le più piccole parrocchie per coinvolgere anche i ragazzi, i preadolescenti, ai cambiamenti voluti dal Concilio Vaticano Secondo.
Da poco tempo era allora scoppiata la contestazione giovanile del ’68 anche in Sicilia. Noi allora avevamo preso sul serio quei fenomeni perché avevamo maturato la convinzione che il mondo stesse cambiando profondamente e che l’antico sistema fosse entrato radicalmente in crisi.
Eravamo anche certi che il cambiamento dovesse riguardare anche i ragazzi sui quali dovevamo riflettere per aiutarli a crescere in un mondo che prevedevamo talmente nuovo da essere totalmente sconosciuto.
Quelli non erano in quei tempi – come non lo sono neppure oggi – dei fatti evidenti a tutti, poiché la secolarizzazione non era ancora esplosa, la scristianizzazione era nascosta dalla temporanea permanenza di abitudini esteriori, il boom economico sovrastava la crisi dei valori, l’antico prestigio della cultura accademica faceva da baluardo e consentiva a molti di credere ancora che la cultura delle università fosse sempre viva e creativa, mentre ormai lo era in ben piccola misura.
Volevamo realizzare in virtù della lettura dei decreti conciliari, oggi divenuti sconosciuti, una “contestazione permanente” dalla quale sarebbe nata, a nostro parere, una Chiesa radicalmente protesa all’evangelo; della “koinonia”, cioè della comunione che i primi cristiani avevano tra di loro; della “diakonia” cioè del mettere in pratica la parola del Vangelo in favore dei poveri, sotto forma di testimonianza personale e comunitaria e del dialogo,
A un certo punto per le immancabili scelte della vita le nostre strade, quella mia e quella di Matteo, si sono divise, per cui una portava ancora a Messina, l’altra a Milano e nella Brianza.
La lontananza, tuttavia, non ha mai interrotto l’amicizia, il volerci bene e, in questi ultimi tempi il desiderio volere portare agli onori dell’altare l’arcivescovo Fasola, che negli anni 60/70 ha dato ad ambedue l’opportunità di operare assieme.
Era felice Matteo Durante di far parte della rinnovata Commissione storica per la canonizzazione del grande arcivescovo di Messina cioè dell’organismo preposto a raccogliere e studiare gli scritti inediti del servo di Dio, per la quale (canonizzazione) tanto si era battuto.
Il primo luglio u.s nell’anniversario della morte di Fasola giorno del giuramento del nuovo postulatore, egli mi inviò una WhatsApp in cui leggevo: “Sono molto contento come le cose stanno andando avanti”.
Intanto la malattia demoliva inesauribilmente il suo fisico ma non il suo spirito di lottatore fino allo spasimo.
Ho pensato che la situazione potesse precipitare quando venerdì 7 settembre 2018, mi ha inviato una sms, in cui leggevo: “Oggi pom. in sala operatoria. Urge preghiera speciale alla Madre. Grazie Andrea”.
Ho ricevuto da lui qualche altro sms e una telefonata con cui chiedeva ancora preghiera fino a quanto ogni comunicazione diretta si è interrotta definitivamente.
Mi risulta che Matteo è morto, accettando pienamente la volontà di Dio.
Ho scritto queste brevi note non per voler tacere sulla grandezza di Matteo Durante, in quanto professore universitario, studioso attento e rigoroso.
Di ciò parlano gli altri, particolarmente i suoi allievi che sono moltissimi.
Io mi sono limitato a far riflettere sul fatto che Matteo, appartenente a quella generazione che si è formata nello spirito del Concilio Vaticano Secondo, ha capito che anche un laico può e deve trovare lo spazio e il ruolo che la Chiesa non potrà mai negare.