Per celebrare la canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II, ho letto una serie di libri che possedevo nella mia biblioteca. Da questo “sforzo” è nato il mio primo libro, “Giovanni Paolo II e il suo vivo magistero”, sottotitolo: “Antologia di testi critici”, pubblicato alla fine di ottobre dalla Fondazione Thule Cultura di Palermo.
Per la precisione ho letto e commentato ben 23 testi, selezionati secondo criteri probabilmente casuali. Infatti possiedo altri testi sul pontificato del Papa polacco. Naturalmente non potevo fare riferimento al libro su Joaquin Navarro-Valls, “Ricordi – Scritti – Testimonianze” a cura di Paolo Arullani, Edizioni Ares (2018), perché l’ho comprato recentemente in uno dei miei consueti raid in un’’outlet librario.
Il testo curato dal professore Arullani amico di Navarro-Valls ha il merito di aver pubblicato dei corposi contributi del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede (dal 1984 al 2006) il portavoce di Giovanni Paolo II (scomparso il 5 luglio 2017). Leggerli è importante, perché Navarro per oltre vent’anni ha collaborato da vicino con il grande papa polacco, pertanto mi sembra doveroso presentare questi contributi. Il primo (Valori, “Leadership” & Opinione Pubblica). La riflessione del giornalista spagnolo parte da una recente elezione europea, dove si è registrata una deludente partecipazione degli elettori. Un’affluenza disarmante del 43, 39%. Per Navarro-Valls il dato si può interpretare come una mancanza di leadership, di una crisi di personalità trainante, che non riguarda solo l’Europa. Una mancanza di leadership che non riguarda solo quella politica. Diceva il sociologo Max Weber: “Un leader è colui che incarna un determinato insieme di valori in un determinato ambito d’azione, e che è ritenuto dagli altri capace di indirizzare un gruppo di persone a compierli efficacemente”. Mentre lo psicologo Daniel Goleman, da un’altra definizione, il leader, è colui che “accende il nostro entusiasmo e riesce a darci la giusta carica facendo leva sulle nostre emozioni”. Per Navarro-Valls quella di Goleman è una sintesi fragile, che può indurre a errori e creare delusioni. Pertanto una vera leadership deve avere dei contenuti forti, e soprattutto deve avere la fiducia, “perché proprio questi saranno in grado di porre in essere l’autentica affidabilità personale di chi guida gli altri verso determinati obiettivi”. Il leader per Navarro deve possedere sei valori: la consistenza umana; l’integrità; la capacità di comunicare, di saper delegare, di saper esercitare una obiettiva valutazione degli altri; e la disposizione o la capacità per il cambiamento. Ma ce n’è un altro valore tipico del leader è quello di avere “la visione d’insieme della realtà”. A conclusione di questa riflessione sulla leadership il giornalista indica un solo nome a suo parere di vero leader: Giovanni Paolo II. La leadership di Wojtyla era sicuramente “compresa la ponderazione calma e razionale degli obiettivi nel caso concreto, un processo intelligente e pratico di discernimento personale che lo conduceva a individuare e a perseguire l’opzione migliore, eticamente fondata, pure nel frangente peggiore”.
Il secondo contributo è una Lectio Magistralis del 28 novembre 2003 (Giovanni Paolo II: un pontificato nella modernità) Il pontificato di Giovanni Paolo II ha suscitato un interesse planetario, certamente è stato il Papa più visibile della Storia del cattolicesimo. Ha fatto 99 viaggi in tutto il mondo e capace di catturare i media con la sua capacità di comunicazione. Navarro rileva che oggi è scomparso un sistema comune di riferimento. In passato concetti come “natura umana”, “anima”, “coscienza morale”, “famiglia”, “amore umano”, “sessualità”, almeno nei Paesi a tradizione cristiana, avevano “un significato intellegibile dalla maggior parte delle persone, perché formavano parte del sistema di riferimento condiviso dalla comunità”. Nel mondo Occidentale, era ben chiaro a tutti cosa significano queste parole. Ce lo conferma l’arte, la letteratura, la storia di quei secoli passati. Certo“La vita delle persone di allora non era priva di errori, e questi errori si riconoscevano proprio perché i punti di riferimento, i valori vigenti di quelle società, erano chiari”.
Oggi “le società umane hanno perso la loro omogeneità culturale e i diversi sistemi di riferimento convivono offuscando il significato ultimo delle parole”. Navarro insiste “si potrebbe dire che si è persa l’unità del vocabolario”. Basta vedere per esempio, la parola “famiglia”, quanti significati si danno. Non c’è più un sistema di riferimento cristiano, l’uomo diventa riferimento di se stesso e Dio è considerato irrilevante. “In questo contesto risulta problematica la trasmissione della verità cristiana”. Si potrebbe sostenere che oggi non c’è solo una mancanza di fede, ma esiste “una grande difficoltà che colui che la possiede incontra nel manifestarla, visto che manca un linguaggio per insegnarla, comunicarla e trasmetterla”.
E’ stato proprio il pontificato di Giovanni Paolo II, a intraprendere “la missione di ricreare quel vocabolario comune che non esiste più nella nostra epoca”. Papa Wojtyla fin dall’inizio “ha provato a ricreare un sistema comune di riferimento come compito imprescindibile affinché anche oggi si possa comprendere l’universo dei valori cristiani; affinché il Vangelo possa essere prima ascoltato e poi accettato”. Una ricostruzione concettuale già cominciata negli scritti e nell’attività pastorale di Karol Wojtyla e poi nell’immensa opera del suo pontificato. Dunque, appare indispensabile, “Intraprendere l’arduo compito di ricreare il sistema comune di riferimento, la cui mancanza rende impossibile comprendere quello che viene detto”. A parere del giornalista ad oggi difficilmente si può conciliare la forte dottrina cristiana sviluppata da Giovanni Paolo II con le società scristianizzate. Basti pensare all’aspetto forse più critico del nostro tempo, quello inerente all’”amore umano”, alla sessualità umana, alla famiglia, al matrimonio. “La comprensione della morale cristiana su questi temi è molto difficile a causa della confusione antropologica che accompagna tali concetti”. Cosciente di questo il Santo Padre ha dedicato molte delle sue udienze del mercoledì alla spiegazione dettagliata dei fondamenti antropologici e filosofici su questo tema. Si è trattato di un compito arduo, complicato, bisognava “invertire una delle rotte culturali più popolari della nostra epoca che, come sapete, è la soggettivazione della religione stessa”.
Del resto la religione è stata relegata alla sfera privata dell’uomo, nell’ambito della soggettività, pertanto ormai la costruzione della società non dipenderà da principi etici, ma dalla struttura politica ed economica. Per questo il Papa mira a mettere l’umanità di fronte alla dimensione religiosa, attraverso i suoi numerosi viaggi, rende la fede un fattore sociale, contribuendo a una sua maggiore diffusione. Il pontificato di Giovanni Paolo II ha raggiunto enormi concentrazioni di persone, ha messo in risalto la verità cristiana, al centro della vita contemporanea, non solo come concetti, ma anche e soprattutto come immagine. “L’originalità di questo pontificato – per Navarro-Valls – consiste proprio nella realizzare questa operazione non solo attraverso la trasmissione verbale della dottrina, ma attraverso il fascino delle immagini a cui la cultura moderna si è tanto abituata”. Per certi versi oggi si impara a vivere a forza di “veder vivere”. E così il Papa ha ridefinito i modelli di vita mettendoli in mostra. Il cristianesimo è soprattutto un modo di vivere. Non è teoria, non è un ideale da contemplare e ammirare. Il cristiano tramite la sua vita dimostra la verità di quello in cui crede. I primi cristiani si distinguevano dai loro contemporanei per il loro modo di vivere.
Negli ultimi anni del XX secolo le immagini di Giovanni Paolo II hanno segnato tutta un’epoca. La sua gestualità, ha creato una ricca iconografia suggestiva. Navarro nella sua lezione elenca alcuni record del suo Pontefice, l’unico che abbia fatto delle cose che altri papi non hanno fatto. Forse quella più importante è quando ha innescato la più grande rivoluzione della nostra epoca, liberando milioni di europei da un regime ateo e oppressivo. “Giovanni Paolo II l’ha fatto ponendo la cultura e la coscienza al di sopra della politica con il risultato che la più grande rivoluzione liberatoria di questi tempi è stata possibile senza guerra, odio e spargimento di sangue”.
Per Navarro si può affermare tranquillamente che ad oggi “non c’è – a parte Giovanni Paolo II – un leader pubblico mondiale, una grande personalità investita di autorità nel mondo occidentale che sembri preaoccuparsi della condizione interiore dell’uomo contemporaneo; che ponga la sua attenzione sui problemi del senso della vita, del significato delle virtù, dell’origine ultima dei grandi interrogativi umani”. In sintesi Giovanni Paolo II si è discostato dai canoni che erano stati attribuiti ai papi. Wojtyla ha fatto una grande opera di ammodernamento dell’istituzione pontificia senza decreti o leggi formali, bensì attraverso un’audace pratica personale che riflette anche nella forma letteraria e nel contenuto dei documenti del Magistero. Navarro tra le tante novità portate da Wojtyla c’è l’uso delle conferenze stampa sull’aereo, accettando le domande dei giornalisti. In pratica Navarro precisa che ormai “non si tratta di un pontificato che occasionalmente trasmette un messaggio preregistrato in momenti eccezionali dell’anno come facevano i suoi predecessori, ma di un papa che sistematicamente partecipa ai dibattiti dei giornali moderni, accettandone le regole, con il solo scopo di trasmettere i valori cristiani”.
Altra novità sono le conversazioni con celebri scrittori come André Frossard, in seguito pubblicate come un libro e poi allo straordinario “Varcare la soglia della speranza”, in risposta alle domande di Vittorio Messori. I papi fino ad allora non avevano mai scritto libri, non avevano mai accettato il rischio di pubblicare libri.
Nell’ultimo saggio che considero (“Holiness and communication” Santità & Comunicazione) Una domanda inevitabile: “Perché lei pensa che la Chiesa ha fatto santo Giovanni Paolo II?”. La risposta di Navarro è disarmante: “La Chiesa non ha fatto santo Giovanni Paolo II anzi, la Chiesa non ha mai fatto santo nessuno in tutta la sua storia. No, la Chiesa – anche papa Francesco lo conferma – l’unica cosa che fa è riconoscere, ratificare, che la vita di quella persona, quando era qui con noi, su questa terra, era la vita di un santo”.
La santità di Giovanni Paolo II si può sintetizzare in tre verbi: “pregare”, “lavorare”, “sorridere”. E il sorriso non mancava mai nel Santo Padre e anche nel suo portavoce, come si può vedere nella copertina del libro.
Giovanni Paolo II senza dubbio fu un grande comunicatore, per la sua bella voce, il gesto, la sua espressione, effettivamente erano le sue armi. Navarro fa riferimento alle straordinarie Giornate Mondiali della Gioventù (GMG) dove propone non “come potete fare qualcosa di meglio”, ma “come essere migliori”. Superando la filosofia contemporanea con l’insistenza a fare. No il Papa parlava di “essere di più”, non del “fare di più”. Alla base dell’insegnamento di Wojtyla confida Navarro c’è “il difendere il carattere specifico della persona umana, del rispetto umano, della responsabilità umana”. La fiducia nell’essere umano lo portava a predicare a tutti, “perché sapeva che quando parlava con la gente – facendo uno sforzo adeguato – l’amore per la verità riaffiora, riappare”.
DOMENICO BONVEGNA
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