Il seminario e il cammino dei preti messinesi

Molti preti, infatti, ancora trascorrono la vita cercando uno spazio in se stessi in cui porre ciò che era stato separato e represso durante la loro lunga formazione seminaristica…

 

di ANDREA FILLORAMO

Rispondo alla seguente email: “Sono un ex seminarista di molti anni fa. Conosco P. D’Arrigo già dai tempi del seminario e condivido pienamente quanto tu hai scritto. Certo che la formazione che abbiamo ricevuta in seminario non ci aiutato ad umanizzarci e tutti paghiamo lo scotto di quegli anni lontani …” (Segue nome e cognome)

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Prendo spunto da questa email per accennare ad alcune considerazioni che meriterebbero degli approfondimenti.

Si tenga conto che la dimensione umana dei sacerdoti è un tabù della nostra società sul quale è difficile alzare il velo, non per alimentare curiosità ma per rimettere l’essere umano e i suoi bisogni al centro o, meglio, al di sopra di ogni norma e ogni dottrina

I seminari dei decenni che precedono il Concilio Vaticano II, ma non sono da escludere – diciamolo con chiarezza senza paura di essere smentiti – anche alcuni seminari degli anni successivi, hanno operato per dissociare il mondo affettivo dei futuri preti dalla loro dimensione spirituale e hanno formato generazioni che hanno attraversato la storia contemporanea e hanno assistito al crollo dello stesso mondo che li ha generato. Molti preti, infatti, ancora trascorrono la vita cercando uno spazio in se stessi in cui porre ciò che era stato separato e represso durante la loro lunga formazione seminaristica.

Per molti di loro  l’invito evangelico di “essere nel mondo ma non essere del mondo (Gv 17, 14 )”,  che è un invito a tendere verso qualcosa di infinito e che è  coincidente con quanto Cristo propone quando anche dice: “siate perfetti come perfetto è il Padre mio che è nei cieli”,  non giustifica l’assurdità di quella formazione   che aliena dall’umanità attraverso un sistema, fatto di violenza educativa, che ha creato adulti e quindi preti – parliamo ovviamente in senso molto generale – non sempre felici e forse anche alquanto nevrotici..

Accenno, per esempio, a quella che può essere chiamata la “sindrome da alienazione genitoriale”, causata dall’essere privati dalla famiglia, persino a Natale e Pasqua, alla quale il mittente fa riferimento nel seguito della sua email e in questa definizione sta tutta la negatività di una prassi regolamentare pedagogicamente inaccettabile. Aggiungiamo l’’assoluta incomunicabilità rigorosamente imposta per molte ore al giorno, cioè all’obbligo del silenzio assoluto persino con il compagno di banco, anch’essa richiamata nell’email. Grande assurdità, antipedagogica, antisociale, i cui danni non si devono sottovalutare. Lo sappiamo: la comunicazione è essenziale alla vita umana.

Fin dalla nascita ci si trova immersi come soggetti attivi e dotati di capacità comunicative all’interno di una situazione relazionale che coinvolge le nostre primarie figure d’attaccamento e, nello stesso tempo, si è inconsapevolmente coinvolti in un continuo processo di acquisizione delle regole della comunicazione e del linguaggio, che innanzitutto è verbale.

La privazione della comunicazione con gli altri, operata nei seminari, è stata, quindi, un vulnus ad un naturale processo di socializzazione, che causa fragilità, disinteresse di valore, rottura del contatto con tutto ciò che proviene dagli altri, stagnazione culturale e forti frustrazioni; essa allontana dalla costruzione di amicizie durature, scambi di idee e opinioni e rischia di provocare un accentuato solipsismo psicologico, difficile da superare. Avrei molte altre cose da aggiungere ma so che rischio di esagerare. Credo che adesso i seminari siano cambiati, ma ancora ci sono preti che portano sulla loro carne le ferite di quell’educazione ricevuta molto tempo fa e che limita il loro impegno ministeriale.