di ANDREA FILLORAMO
Sono tanti i detrattori di Papa Francesco, che con un termine molto generico chiamiamo “tradizionalisti”, termine che si riferisce a quella parte minoritaria di cattolici che segue le presentazioni della dottrina e le prassi della Chiesa cattolica in uso prima del Concilio Vaticano II e che avanzano sospetti di “Modernismo”, dottrina condannata dall’enciclica “Pascendi Dominici gregis” del 1907 di papa Pio X.
Per questi la tradizione è qualcosa di immutabile che la Chiesa custodisce e trasmette senza alcuna variazione, mettendola al riparo da quello che essi ritengono il subdolo e pericoloso tempo presente.
Essi pensano che compito principale della Chiesa e, quindi, del Papa è di salvaguardare il “depositum fidei”, cioè un unico patrimonio di tutte le verità, sia in ordine alla conoscenza che al comportamento (morale), insegnate agli Apostoli da Gesù, che e da questi trasmesse al collegio dei Vescovi quali loro successori.
Viene, quindi, da loro esclusa ogni rivendicazione moderna della libertà e non accettano, quindi – come sostiene Balthasar, considerato tra i maggiori teologi cattolici del Novecento, assieme a Karl Rahner, Henri-Marie de Lubac, Romano Guardini, Joseph Ratzinger – che tutto ciò che è vero e che ha valore proviene da Dio; che la libertà è nell’uomo, anche quindi nel cristiano ed è una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà; che la libertà è anzitutto un dono e un compito da far fruttare e moltiplicare. Questo fatto ha consentito il superamento di ogni resistenza opposta proprio nei confronti del puro e semplice riversamento dell’arbitrio individualistico.
Non c’è dubbio che il Concilio Vaticano II ha fatto fare alla Chiesa cattolica tutta un balzo in avanti.
Basta citare la “Dichiarazione “Dignitatis Humanae” del 1965: per la Chiesa ha significato la definitiva uscita da un’idea di fede e di credenze spesso antropologicamente infondate ben radicate culturalmente, da imporre a controlli.
Diciamolo con chiarezza: piaccia o non piaccia, certe dottrine, ritenute anche importanti, sono già state cambiate e non solo da Papa Francesco. E, dunque, altre possono ancora e col tempo cambiare.
Servirà ragionare, dialogare, discutere, magari anche dividersi.
La tradizione del Vangelo, scriveva Michel de Certeau (1925-1986) preveggente e acuto analista della vita quotidiana e dei mutamenti sociali nel mondo contemporaneo, il cambiamento non si attua nelle chiese secondo il paradigma della ripetizione, ma piuttosto della riforma, delle “rotture instauratrici”, “del recupero di ricchezza come appello del futuro secondo Dio che la tradizione del Vangelo contiene. L’autentico processo di tradizione è insieme fedeltà e rinnovamento: la prima chiede il secondo e reciprocamente. Questo processo non funziona primariamente attraverso eliminazioni e aggiunte, ma piuttosto riportando ogni aspetto della propria tradizione al suo centro, Gesù Signore secondo la testimonianza apostolica, e lasciandolo misurare da esso”
Dunque, anche nella Chiesa avvengono i cambiamenti, ma molto lentamente, quasi impercettibilmente, e spesso senza neanche essere formalmente ufficializzati. Questo è successo e continua a succedere nella sua storia, che viaggia sempre con passo cauto e lento: “avanti piano piano, quasi indietro!”.
Pensiamo a come con la nota 351 dell’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” 19.3.2016, dicendo che “in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti”.
L’attuale Papa ha dischiuso a un possibile ‘sì’ il pregresso divieto di dare la comunione ai divorziati risposati (confermato ancora dai due papi precedenti), seppur valutando caso per caso, aprendo una breccia nella precedente dottrina del ‘no’ (cfr. n. 349 Compendio Catechismo).
Ma siccome molti sono convinti che questo papa sia mezzo eretico, per cui non conta quello che lui dice, vediamo che fine hanno fatto i sani principi non negoziabili di ieri (che oggi risultano tutti negoziati).
Solo per fare qualche esempio: nel 1832, Papa Gregorio XVI nell’enciclica “Mirari vos” riteneva assurdo delirio la libertà di coscienza, oltre che errore velenosissimo la libertà di pensiero e di stampa propugnata dai liberali.
Il “Sillabo”, contenente i principali errori della nostra età, promulgato da Papa Pio IX l’8.12.1864, il Cap. III, XV condannava la libertà di religione, e il Cap. X, LXXIX condannava la libertà di opinione e pensiero.
Nel 1888 papa Leone XIII, con l’enciclica “Libertas”, ancora condannava la libertà di coscienza e di stampa.
Nel1930, Papa Pio XI, nell’enciclica “Casti connubii”, condannava coloro che andavano predicando l’uguaglianza di diritti fra i coniugi, così offuscando – scriveva – “il candore della fede e della castità coniugale, scalzando la fedele ed onesta soggezione della moglie al marito”.
Nel 1951 Pio XII ribadiva davanti alle ostetriche che “non vi è altro mezzo che il battesimo per comunicare la vita soprannaturale al bambino”.
Potremmo ancora citare molti altri esempi.
Valida è, quindi, La locuzione latina “Ecclesia semper reformanda est”, che è considerata una delle affermazioni fondamentali della Riforma Protestante, che la Chiesa, cioè, deve continuamente riesaminare se stessa, per mantenersi sempre fedele, nell’azione e nella dottrina, al messaggio evangelico.
Tale espressione è stata pure usata da riformatori ecclesiastici della Chiesa cattolica, ispirati dal rinnovamento del Concilio Vaticano II degli anni 1960.
Quest’ultimo uso appare nel 2009 in una lettera pastorale del vescovo statunitense Ralph Walker Nickless, che incoraggia un’ermeneutica di continuità nell’insegnamento e pratica del Cattolicesimo, ma anche da papa Francesco, che l’ha utilizzata in più occasioni, la più solenne delle quali è stata il V Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel 2015.
Durante tale Convegno il Papa, sfidando i tradizionalisti, solennemente ha asserito, riconfermando il suo programma papale: “Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”.