di ANDREA FILLORAMO
Due sono i passaggi neotestamentari che usano la dicitura “un ladro nella notte”, che fanno riferimento alla “parusia”, cioè alla venuta di Gesù alla fine dei tempi, per instaurare il Regno di Dio ma anche il giorno della morte, che per i cristiani è il “dies natalis” il giorno della rinascita. Essi sono: “Ma sappiate questo che, se il padrone di casa sapesse a che ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe forzare la casa (Matteo 24,43) e “Poiché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte” (1 Tessalonicesi 5,2).
Ho molto riflettuto su ambedue i passaggi e – non poteva essere diversamente – il mio pensiero è andato al Covid-19, che, appunto, “come un ladro nella notte” è piombato improvvisamente sulla nostra vita con il carico della sofferenza, che ancora portiamo sulle nostre spalle e con la nera immagine della morte che si proietta sempre nella nostra mente. Ho richiamato, allora, alla mia memoria quanto Madre Teresa di Calcutta, scriveva:“ Morire è tornare a casa; eppure la gente ha paura di quello che può capitare, e allora non vuole morire. Se nella morte non si vede alcun mistero, allora non si ha paura di morire (……) Quasi sempre, si muore come si è vissuto. La morte altro non è che continuazione della vita, completamento della vita”.
Ma, pur facendo tesoro di quanto scriveva Madre Teresa di Calcutta, ciascuno di noi sente prepotente dentro di sé una spinta ad evitare di correre rischi per la propria vita.
Stiamo vivendo – diciamolo con sofferenza – un’esperienza di assoluta impotenza: siamo, infatti, colpiti, da qualcosa che mette in pericolo la nostra stessa sopravvivenza, causata da un nemico invisibile e in parte misterioso, difficile da combattere, che ha messo in ginocchio tutte le nazioni e ha minacciato e ancora minaccia noi, la nostra economia e getta la sua ombra sul nostro futuro.
Ci chiediamo allora quali siano le difese psicologiche più utili per non essere travolti dall’angoscia e per far fronte nel modo migliore a questo grave e inatteso pericolo. Sappiamo che le persone se troppo spaventate non riescono ad affrontano i problemi legati alla malattia in modo utile per superarla. Sappiamo, però che è proprio sul senso di autoefficacia personale su cui si basano l’ottimismo e la speranza nel futuro, così importanti nel poter guardare, senza pessimismo, al domani con fiducia e agire di conseguenza. Il pessimismo, infatti, schiaccia la persona sul presente negativo e porta a interpretare anche il futuro in questo modo, conducendo all’inazione.
Ciò che va coltivato è un “ottimismo creativo”, che non nega i pericoli, ma li riconosce e agisce in modo da contrastarli in modo efficace, andando oltre le abitudini e gli schemi mentali consueti.
“Occorre sia con noi stessi che con gli altri, chiederci che cosa ognuno di noi può fare, guardando alle regole e alle limitazioni cui dobbiamo attenerci non come a imposizioni assurde e inutili, ma come a mezzi concreti per dare attivamente il nostro efficace contributo a contrastare la malattia. In tal modo anche le restrizioni della libertà personale potranno essere non solo comprese ma soprattutto vissute come azioni dotate di senso, capaci di motivare il comportamento, nella consapevolezza che ognuno di noi è utile e può agire in modo efficace”.
Cito Tommaso Moro, umanista, scrittore e politico cattolico inglese, autore di “Utopia”, che è venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che pure ebbe la testa tagliata da Enrico VIII. Egli sosteneva che “qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio”. Tommaso Moro era un ottimista, che riuscì persino a scherzare con il boia che gli mozzò la testa, ed è famosa una splendida preghiera per il buon umore, attribuita a lui, che avrebbe scritto in carcere, quando dalla persona che più amava, la figlia Margherita, seppe che sarebbe stato ucciso, che riporto solo in parte: “Signore, dammi un po’ di sole, un po’ di lavoro e un po’ di allegria. Dammi il pane quotidiano, un po’ di burro, una buona digestione e qualcosa da digerire. Dammi un modo di essere che ignori la noia, le lamentele e i sospiri. Non permettere che mi preoccupi troppo per quella cosa imbarazzante che sono io. Signore, dammi la dose di umorismo sufficiente per trovare la felicità in questa vita ed essere utile agli altri. Sulle mie labbra ci sia sempre una canzone, una poesia o una storia per distrarmi. Insegnami a comprendere le sofferenze e a non vedervi una maledizione. Concedimi di avere buonsenso, perché ne ho un gran bisogno (…) Amen.
Il cristiano – scrive papa Francesco nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate – “senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza”.