di ANDREA FILLORAMO
Un sms di un carissimo amico, giuntomi a commento di un articolo in cui auspicavo l’ordinazione dei cosiddetti “viri probati” e l’integrazione nel ministero dei preti sposati, mi ha fatto tornare in mente il percorso della Chiesa, a partire dagli anni del Concilio Vaticano II fino ai nostri giorni, in cui ancora sono aperte alcune richieste fatte allora, che attendono una risposta nel prossimo Sinodo.
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Negli anni 70 del secolo scorso molte erano le attese dei grandi cambiamenti all’interno della Chiesa conseguenti al Concilio Vaticano II, che proprio allora concludeva i suoi lavori e che aveva provocato una mobilitazione nel cosiddetto “popolo di Dio”, pienamente coerente con la società italiana, in cui, si accentuavano le tensioni, le contraddizioni, i conflitti e le dialettiche culturali.
Fra i mutamenti del magistero ecclesiastico che preti, religiosi, teologi e vescovi si aspettavano, due erano quello relativi ai problemi, ritenuti importanti: la contraccezione e il celibato ecclesiastico.
Per quanto concerne la contraccezione, occorre subito dire che la morale sessuale cattolica si è sempre dimostrata restrittiva nei riguardi dell’uso di metodi anticoncezionali, poiché ha sempre sostenuto che i due scopi primari del matrimonio siano l’aiuto reciproco e la procreazione. Soprattutto si basa sull’idea che la relazione sessuale dovrebbe essere “unitiva e procreativa”, cioè aperta alla vita.
Vane, però, sono state le attese di quanti ritenevano necessaria un “apertura” sull’uso della cosiddetta pillola anticoncezionale. Ricordiamo che il 10 marzo 1971 il nostro Paese legalizzava i contraccettivi, dopo una lunga battaglia civile e sociale.
Giunse, quindi, l’Enciclica “Humanae vitae,” in cui il Papa Paolo VI, raccogliendo i risultati del lavoro svolto da una Commissione, istituita dal suo predecessore Giovanni XXIII, diede le sue risposte che volevano essere definitive, che erano poi quella della minoranza della stessa Commissione, da questa chiamata “grave questione”, giungendo ad una decisione chiara ma compromissoria.
In essa, infatti, se da un lato il Papa chiede l’apertura alla vita, dall’altro sottolineava anche che l’aspetto procreativo va di pari passo con l’aspetto unitivo: l’atto sessuale, cioè non è solo un modo per far figli ma anche per esprimere quell’unione tra sposi che per i cristiani ha valore sacramentale. In quest’orizzonte quindi si inserisce il suo invito a una paternità responsabile e a regolare le nascite mettendosi in ascolto e rispettando i ritmi naturali. In parole povere: il metodo contraccettivo doveva essere naturale e non artificiale.
Ritengo che col tempo i preti, all’interno dei confessionali e le stesse donne nell’intimo della loro coscienza e nel rapporto con i loro uomini, hanno messo e mettono da parte del tutto l’enciclica papale e che, quindi, si può anche ipotizzare che poche possano essere le donne che ubbidiscono al magistero della Chiesa quando parla di moralità sessuale.
Negli anni Settanta, l’altra grande delusione dei preti è stata, come già detto, il mantenimento della disciplina del celibato e della chiusura conseguenziale dell’ordinazione di uomini sposati (viri probati), tema, quest’ultimo collegabile facilmente con lo stesso celibato.
Di tale delusione, si fecero protagonisti spesso silenziosi, talvolta anche con forme eclatanti e pubbliche, molti preti che abbandonarono il ministero e si sposarono, previa dispensa dagli obblighi sacerdotali, compreso il celibato, concessa facilmente dal Papa Paolo VI, ma che sarà resa estremamente difficile dal suo successore Giovanni Paolo Secondo, che ha cercato così di fermare la “frana” clericale, causata dalla “fuga” dei preti.
Non sfugga a nessuno che proprio nel 1970, un gruppo di teologi in Germania e fra i firmatari di questa missiva c’era Joseph Ratzinger, quello che diventerà Papa con il nome di Benedetto XVI, inoltrò una lettera alla Conferenza Episcopale Nazionale Tedesca, insistendo sul fatto che le riserve del Pontefice riguardo all’ordinazione di uomini sposati “doveva permettere un dibattito più aperto e più collegiale sul celibato sacerdotale”. Fra l’altro, infatti, essi scrivevano: “Le nostre riflessioni concernono la necessità di un esame urgente e di uno sguardo dotato di discernimento nei confronti della norma del celibato della Chiesa latina per la Germania per tutta la Chiesa universale”.
Ratzinger, però, recentemente, da Papa emerito, ha in parte rinnegato quanto scritto da giovane teologo e ha scritto un libro a quattro mani con il cardinale Sarah, pronunciandosi contrari all’ordinazione sacerdotale di uomini sposati.
Ma non basta, Sarah, fra l’atro, cercando di mettere un argine al riformismo di Papa Francesco anche quindi a nome del Papa emerito, scrive a commento del libro: “C’è un legame ontologico-sacramentale tra celibato e sacerdozio. Qualsiasi indebolimento di questo legame metterebbe in discussione il magistero del Concilio e dei papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI”. Di qui «la supplica» a papa Francesco di porre «il veto a qualsiasi indebolimento della legge sul celibato sacerdotale anche se limitato all’una o all’altra regione». Se così non fosse, se cioè diventasse realtà «la possibilità di ordinare uomini sposati», aggiunge il cardinale, ci sarebbe «una catastrofe pastorale, una confusione ecclesiologica e un oscuramento della comprensione del sacerdozio”.
Speriamo che non abbia ragione il mittente dell’sms che, a conclusione del suo messaggio, prevedendo le difficoltà che Papa Francesco e i suoi successori dovrebbero affrontare nel risolvere il problema del celibato ecclesiastico dei “viri probati” scrive. “Campa cavallo che l’erba cresce” e indica che si può aspettare il tempo che si vuole, tanto ciò che si sta attendendo non accadrà a breve, bisogna quindi pazientare per avere dei risultati, che spesso non si è nemmeno certi di ottenere.