di ANDREA FILLORAMO
“Fare la cerimonia di canonizzazione tutti e due insieme credo sia un messaggio alla Chiesa: “questi due sono bravi, sono due bravi”. Così ha dichiarato Papa Francesco spiegando ai giornalisti in maniera, diciamolo pure, molto semplicistica, la sua decisione di procedere alla canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII, due Papi vissuti in periodi e personalità diversi e, perciò, non facilmente accostabili.
Una canonizzazione, almeno quella di Giovanni Polo II, velocizzata, in risposta quasi immediata ai tanti che nel giorno dei suoi funerali in Piazza S. Pietro, dietro una spinta emozionale, gridavano a gran voce: “Santo subito!”.
I motivi veri dell’incomprensibile velocizzazione della canonizzazione del Papa polacco, che qualcuno accosta all’altrettanto incomprensibile velocizzazione delle dimissioni dall’ufficio petrino del suo successore Joseph Ratzinger – quasi due capitoli del medesimo libro metaforico da leggere velocemente e poi deporlo nel fondo di una libreria alla quale potranno accedere altri nel futuro – sfuggono, però, a quanti cercano di capire quel che è avvenuto veramente nella Chiesa cattolica nel passato e ancora avviene oggi e che intendono scavalcare il muro che li separa da quelli che sono vincolati ad antichi obblighi imposti di non violare i segreti del Vaticano e di non auscultare quel mondo occulto che riguarda i Papi, al cui ascolto, però non si sottraggono i frequentatori assidui del Palazzi, i cui mormorii giungono dappertutto.
I motivi della velocizzazione certamente li ha conosciuti bene il suo fedele braccio destro, che ha attivato il processo di beatificazione, che ha pagato lo scotto d’essergli stato suo collaboratore, quindi esecutore delle sue direttive particolarmente concernenti la pedofilia dei preti, prima come arcivescovo di Monaco, i cui i ripetuti e contradittori echi si sono sentiti negli ultimi giorni, poi come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, la cui politica protettiva nei confronti dei preti pedofili ha totalmente abbandonato soltanto quando è diventato Papa col nome di Benedetto XVI.
Sulla veloce canonizzazione di Giovanni Paolo II ci resta, perciò, senza soddisfare però la nostra curiosità storica, soltanto quello che ci dice don Sławomir Oder, postulatore dei processi di beatificazione e canonizzazione del Papa polacco, che così si esprime: “La missione affidatami, con l’aiuto di Dio, è stata portata a termine. (……….) All’inizio di questo processo, il Santo Padre Benedetto XVI mi aveva dato una chiara indicazione: per favore, lavori velocemente, ma lavori bene. Quel giorno avevo la consapevolezza di non aver deluso le aspettative espresse in queste parole dal Santo Padre”
Il Rev. Sławomir Oder aveva notato che il culto del Papa polacco si stava sviluppando fin dai primi giorni dopo la sua morte ed era già visibile a Roma nei giorni precedenti i funerali e aggiungeva: “Il funerale stesso è stato un evento straordinario, unico nella storia dell’umanità. Da quel giorno, alla tomba di Giovanni Paolo II sono fluiti ininterrottamente i pellegrinaggi di persone che chiedono per sua intercessione le grazie di cui hanno bisogno” – ha dichiarato don Oder.
Il sacerdote era convinto che il culto di S. Giovanni Paolo II si sarebbe dimostrato più forte dei recenti attacchi alla sua persona e alla sua eredità e ha ricordato. “La voce di Giovanni Paolo II, che risuona nel suo insegnamento e per la venerazione di cui le persone lo circondano, per l’amore che gli mostrano – rimane una voce che risveglia le nostre coscienze e come voce profetica troverà sempre contestazioni”.
E le contestazioni, a dire il vero, ci sono state prima della canonizzazione e dopo e si sono particolarmente acuite durante il pontificato di Papa Francesco che ha avuto ed ha il coraggio di “aprire tutti gli “altarini” della Chiesa, quasi tutti gli archivi, per cui tante “teste” crollano, tante verità vengono svelate, tanti “occhi” guardano dove era proibito guardare.
Per quanto riguarda la canonizzazione di Papa Wojtila la prima contestazione è stata quella del cardinale gesuita Carlo Maria Martini, già arcivescovo di Milano, che nel corso della sua deposizione del 2007, avrebbe espresso delle riserve sulla opportunità di procedere: “Era un uomo di Dio – disse – ma non è necessario farlo santo” e aggiunse: “Giovanni Paolo II aveva molto carisma ma dal momento che ha guidato la Chiesa per quasi tre decenni mentre era in corso un vasto scandalo di pedofilia ed una mostruosa operazione per coprirlo, non può essere considerato un santo”.
Ad anni dalla morte di Giovanni Paolo II, riemergono ancora molte verità sulle omissioni di Karol Wojtyla nella lotta contro la pedofilia: vescovi imposti dall’alto e poi costretti alle dimissioni dagli scandali, tardive modifiche delle norme canoniche, commissioni di inchiesta che arrivano dieci anni dopo le denunce, molti processi insabbiati.
Clamoroso, per esempio, è il caso dell’arcivescovo di Vienna, Hans Hermann Groer, scelto a sorpresa da Wojtyla nel 1985 per riportare ordine nella Chiesa austriaca e promosso cardinale. Accusato di molestie, Groer è stato costretto a dimettersi nel 1995, ma solo tre anni dopo, venne allontanato dalla diocesi di Vienna.
Analoga la vicenda di Juliusz Paetz, prelato di anticamera di Giovanni Paolo II. Fatto vescovo di Lomza, in Polonia, il Papa decise di promuoverlo arcivescovo di Poznan, come suo uomo di fiducia in seno all’episcopato polacco. Ma una dozzina di giovani l’accusò di molestie sessuali.
La psichiatra Wanda Poltawska, amica e consulente di Wojtyla, l’ha informato della vicenda pregandolo di intervenire quanto prima. Il Pontefice attese fino al 2002 per prendere provvedimenti, quando ormai lo scandalo è irrimediabilmente esploso sulla stampa polacca. Paetz venne finalmente dimissionato ma l’episcopato della Polonia ne è uscito distrutto.
Giovanni Paolo II non ha prestato ascolto neppure alle voci a carico del suo ex segretario personale, l’irlandese John Magee. Incurante di quanto si diceva in merito ai suoi comportamenti, nel 1987 Wojtyla lo nominò vescovo di Cloyne in Irlanda.
Lo stesso anno Wojtyla scrisse una lettera all’episcopato statunitense deplorando «il sensazionalismo» alimentato dai mass media sulla pedofilia nella Chiesa Usa e raccomandando ai vescovi massima riservatezza nel trattare i casi. Non si trascura il caso di Lawrence Murphy, accusato di pedofilia nella diocesi di Milwauke. Giovanni Paolo II attenderà fino al 2001, quando ormai lo scandalo pedofilia era esploso in tutta la sua violenza non solo negli Usa,
“Uno degli atti più vergognosi è stato quello di dare rifugio al cardinale Bernard Francis Law.
Un’altra terribile scelta fu la sua ostinata difesa del fondatore dei Legionari di Cristo, un pedofilo, donnaiolo, malversatore e drogato”.
Concludendo: nessun può negare almeno l’inerzia (non dico altro) di Papa Giovanni II sulla pedofilia dei preti, che non è appartenuta al suo successore, una volta che è diventato Papa.
Sappiamo che attorno a Giovanni Paolo II, c’è troppa retorica clericale e un esagerato devozionismo, che tendono a nascondere la sostanza di questa brutta realtà, mentre nei confronti del Papa emerito, che sicuramente non è indenne da alcune défaillances da comprendere considerandole all’interno della sua dottrina sul relativismo e sulla valorizzazione della chiesa vista in chiave medievale, si muove in questi giorni, forse per motivi interni, la macchina di guerra dell’episcopato tedesco.
Papa Giovanni Paolo II sicuramente è stato un grande Papa che la Chiesa ha canonizzato. È senz’altro ormai riconosciuto come un Santo, ma le ombre che si addensano sulla sua figura sono tante. Su queste ombre anche gli storici cattolici sono obbligati a soffermarsi. Il Papa emerito occupa ancora, invece, molte pagine dei giornali, lascia interviste, scrive lettere, il cui contenuto, però, fa conoscere attraverso il suo segretario. Ha ancora la lucidità e l’intelligenza per rispondere direttamente a chi gli chiede di dire la verità e sicuramente egli non manca o non mancherà di dirla, tutt’intera.