Il Vangelo secondo Andrea Filloramo: la vergogna espressa dal Papa

di ANDREA FILLORAMO

La parola “vergogna” è risuonata con forza, con convinzione, con sofferenza partecipata, forse per la prima volta nelle pareti di un edificio pontificio, durante un’udienza generale, da parte di un papa che da tempo lotta contro un clero, che, per legge è celibe e dovrebbe anche essere puro e casto, ma che si è rivelato, in buona parte, pedofilo, colpito, quindi, da una malattia o da un vizio endemico che non gli ha lasciato scampo.

La vergogna espressa dal Papa nasce dall’inchiesta choc della Commissione Indipendente voluta dai vescovi francesi, une “monstrueuse déflagration”, cioè una “deflagrazione mostruosa”, anzi “uno tsunami dopo il quale – si spera – nulla sarà come prima”.

C’è veramente da essere colpiti ma non meravigliati se si tiene conto di analoghe inchieste avvenute in altre parti del mondo che hanno dato dei risultati anche peggiori.

Sono stati, infatti, 216.000 i minori violentati nella Chiesa francese dal 1950 a oggi.  I preti pedofili sono stati fra i 2.900 e i 3.200. Il numero degli abusati di 330.000.

Il Papa, utilizzando il termine: “vergogna”, ha reso manifesto il suo profondo e amaro turbamento.

Sono convinto che, dopo questa manifestazione del sentimento di rigetto del Papa, non sia più possibile ai preti  nascondere o nascondersi dietro il paravento della loro fragilità umana, che per lungo tempo, anche con le coperture di non pochi vescovi, hanno eretto una barriera che ha aiutato  a vivere e a far vivere ipocritamente e ad  esercitare un ministero, a quanti si sono macchiati di questo orrendo peccato, dimenticando o cancellando dal Vangelo quanto Gesù ha detto  “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” (Matteo 18 ).

Mi sorgono spontanee delle domande ovviamente provocatorie: dalle ceneri degli scandali della pedofilia in tutto il mondo, sorgerà, finalmente una Chiesa che avrà voglia di pulizia e rinnovamento? Educherà la Chiesa ad un nuovo concetto di sessualità? Nascerà una nuova generazione di preti?

Tento di rispondere soltanto all’ultima domanda, consultando alcuni studiosi che si sono posti il medesimo quesito.

Cito Franco Imoda, professore emerito dell’Università Gregoriana che, guardando allo status quo della formazione data ai futuri presbiteri nei seminari, scrive: “In seminario arriva un 20 per cento di giovani già maturi dal punto di vista psicologico e affettivo. Un altro 10 per cento invece ha problemi tali da dover essere curato e non è detto che potrà diventare prete. Ma c’è un 70 per cento dei giovani seminaristi nella zona grigia che va aiutato a conoscersi e a crescere, anche con l’aiuto degli psicologi, se si vuole evitare che un giorno possa cadere vittima delle proprie fragilità”.

Mario De Maio, sacerdote e psicoanalista, integra quanto affermato da Imoda e scrive: “Nonostante gli scandali, continuiamo a formare i futuri preti prevalentemente sui libri, basandoci sugli esami che sostengono, senza fare caso ai percorsi di maturazione umana e affettiva”

Infine, De Maio invita a guardare al futuro e dice: “È inutile recriminare sugli errori del passato: la comunità cristiana deve inventare soluzioni nuove per formare i presbiteri. Perciò sono convinto che anche il ripensamento del celibato obbligatorio potrebbe contribuire a una migliore qualità umana dei preti.”

Quali siano queste soluzioni nuove, De Maio non lo dice.

La soluzione forse, a mio parere, è data dal liberare il prete dal suo essere e sentirsi “clericus”, cioè separato, privilegiato, appartenente a un ceto al quale la Chiesa l’ha costretto a vivere e da restituirlo, quindi, al “popolo di Dio”, al quale deve  appartenere nello svolgimento del suo ministero.