di Andrea Filloramo
Dappertutto, in ogni continente, in ogni Stato e persino in qualche diocesi, i tanti sopravvissuti agli abusi sessuali operati da preti e vescovi cattolici, escono finalmente allo scoperto e, superando molte difficoltà d’ordine psicologico e sociale, chiedono alla Chiesa lo stesso coraggio che hanno avuto loro.
Alimentati dal dibattito pubblico, essi chiedono, quindi, al Papa, ai Dicasteri e alle Conferenze episcopali, fatti concreti che vadano a scardinare totalmente e definitivamente, andando anche al di là dei documenti ufficiali, il sistema di copertura che ha permesso e in molti casi permette ancora, come leggiamo nei giornali, degli abusi sessuali particolarmente sui minori.
Ritengono che non siano credibili i vertici della Chiesa, a partire dal Papa, quando puntando soltanto alla trasparenza, parlano di risanamento delle fondamenta dell’istituzione, manifestano a parole sostegno alle vittime ma continuano a coprire di fatto col manto della misericordia, con il silenzio o con il non intervento.
Annunciano anche misure repressive ma sanno che queste spesso sono meramente astratte e non possono, quindi, incidere e non incidono profondamente sul corpo ammalato di una Chiesa che, per sua negligenza e per il settario clericalismo che lo caratterizza, vieta spasso di non intervenire.
Non è più tollerabile l’omertà che, nella Chiesa Cattolica è stata sempre un mezzo secolare, di cui essa si è servita per nascondere dietro la sua stessa subcultura le aberrazioni sessuali dei preti che riguardano la sua credibilità di fronte al mondo, ,
Occorre che anche essa riconosca con la concretezza dei suoi atti che la dignità umana offesa dai suoi deve essere sempre rispettata e difesa.
La dignità non deve essere soltanto un diritto fondamentale in sé, ma costituisce la base stessa dei diritti fondamentali, così come prescritta dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
Questi concetti sono rintracciabili in una lettera che diverse vittime della pedofilia clericale è stata inviata al Papa prima del suo viaggio in Belgio che si sta realizzando proprio in questi giorni.
Con essa Papa Francesco è stato invitato “ coram populo” a prendere atto del dolore di chi è sopravvissuto ed è stato ignorato, screditato, offeso continuamente dalle gerarchie belghe.
Il premier Alexander de Croo, rivolgendosi durante il rito dell’accoglienza, ha detto senza enfasi al Papa: «Questo viaggio in Belgio può diventare storico nel momento in cui vi sarete rivolti a tutte le vittime del mondo (…) Esso non deve chiudere una storia, ma aprire finalmente, perché è necessario, un vero cammino di liberazione attraverso la parola per centinaia di migliaia di esseri umani (…) Se qualcosa va storto non si può accettare l’insabbiamento. Nuoce al lavoro prezioso svolto da tutti. E per questo oggi non bastano le parole. Servirebbero passi concreti da compiere. Le vittime devono essere sentite. Devono occupare un posto centrale. Hanno diritto alla verità. Le ingiustizie devono essere riconosciute. Giustizia deve avvenire. Non è solo un obbligo morale, ma anche un passo fondamentale per riconquistare la fiducia”.
A Papa Francesco che in realtà molto ha fatto contro la pedofilia dei preti ma al quale molto è vietato dalle frange autoprotettive che ci sono ancora e dominano nella Chiesa, è toccato il compito non facile di replicare alle accuse.
Nella sua risposta fornita a braccio, andando oltre il testo preparato, era racchiuso tutto il suo disagio, il suo dolore ma anche la sua insoddisfazione per non essere riuscito alla fine del suo pontificato a realizzare quella rivoluzione culturale che molti speravano che si potesse realizzare.