di ANDREA FILLORAMO
La Chiesa Cattolica si trova ad affrontare una crisi profonda, che non si arresta: sempre meno fedeli nelle chiese, riduzione progressiva del numero delle vocazioni sacerdotali, aumento dell’anzianità del clero. Il suo è un evidente declino che mette in dubbio persino la sua esistenza nel futuro.
“Lo spirito del declino porta a una ‘senilità’ che spinge a guardare indietro, a non osare, a conservare, ad accettare con rassegnazione la modestia del presente. Ingrigirsi significa non generare più il futuro, non guardare oltre le proprie frontiere”: così ha scritto Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio in “La Chiesa brucia. Chiesa e futuro del Cristianesimo” (Casa Ed. Laterza).
Il più grande interrogativo, pertanto, che pesa sulla Chiesa del terzo millennio è: l’istituzione/chiesa è un’istituzione anacronistica? Tale anacronismo la rende non più in sintonia con i nostri tempi, oppure un universo in grado di recuperare “profeticamente” una dimensione comunitaria di cui vi è ancora forte bisogno?
Le risposte a queste domande le vedo tutte nell’Esortazione pontificia: “Evangelii gaudium”, in cui Papa Francesco invita le comunità cristiane a: “Non lasciarsi rubare…»: l’entusiasmo missionario, la gioia dell’evangelizzazione, la speranza, la comunità, il Vangelo.
Il Papa vede in tutto questo un tesoro prezioso, posto nelle mani dei cristiani e in cui: “le sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza!”.
Oltre ad offrirci molte considerazioni che stimolano seri esami di coscienza, in questa esortazione Francesco infonde fiducia, speranza e la spinta a cambiare.
In tutto questo sentiamo che egli cammina assieme al popolo di Dio a cui egli stesso appartiene, in una comunione fatta di affetto e di vicinanza.
Diciamolo senza paura di essere smentiti: con Papa Francesco la Chiesa ha cambiato totalmente rotta e tutti ci rendiamo conto che le dimissioni di Benedetto XVI, obbligato, non tanto dalle sue condizioni di salute o dall’età avanzata ma dalla sua incapacità di tenere fermo il timone della Chiesa verso la modernità è stato un fatto provvidenziale.
Con questo non vogliamo sminuire i meriti di Ratzinger. Egli è quel grande teologo che aveva varie idee della Chiesa, della crisi che attraversava.
Tra queste vi era l’accettazione rassegnata di una condizione minoritaria alla quale era costretta la Chiesa che, tuttavia, non la viveva necessariamente come un limite.
Anzi, il problema fondamentale che Ratzinger si era posto era quello di come vivere la minorità, trasformandola da debolezza in fattore di efficacia. Da qui l’idea di «minoranza creativa», che aveva il compito e sarebbe stato, a suo parere in grado di cambiare il mondo. Su questo Benedetto XVI ci lascia un grande magistero teologico e spirituale; tuttavia, nell’opinione pubblica, quella Chiesa minoritaria nella vita dei fedeli, durante il pontificato di Papa Benedetto XVI, si è molto appannata e sporcata dagli abusi sessuali e dalla pedofilia dei preti.
Anzi la sua stessa immagine si è molto deteriorata. A molti, infatti, è sfuggita la notizia che Joseph Ratzinger, quando da cardinale dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, fu “parte di una cultura di non-responsabilità, negazionismo, e ostruzionismo della giustizia di fronte agli abusi sessuali commessi da sacerdoti”. Lo affermava il New York Times sulla base di documenti interni alla Chiesa, interviste a vescovi ed esperti di diritto canonico.
Dal reportage emergeva una versione molto diversa, sul ruolo di papa Benedetto XVI, rispetto alla descrizione ufficiale fornita dalla Chiesa.
Tra le rivelazioni spuntava un vertice segreto avvenuto in Vaticano nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia: Stati Uniti, Irlanda, Australia.
Secondo il vescovo Geoffrey Robinson di Sidney, che partecipò all’incontro segreto, Ratzinger “impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali”.
L’idea di Ratzinger di prevedere, oltretutto, sì, una minoranza, ma una minoranza creativa, faceva a pugni con la creatività non riferibile a termini umani.
Non si tratta di una questione solo semantica: la “creatio ex nihilo (“creazione dal nulla“) è un’espressione della teologia che indica l’atto creativo di Dio, da lui effettuato senza ricorrere a nulla e in piena libertà, senza essere condizionato da nulla di estraneo a Lui, senza alcun presupposto esterno, senza alcun principio preesistente.
Non è, quindi, applicabile a quella minoranza prevista da Ratzinger, che dovrebbe salvare la Chiesa dalla sua stessa fine, chiusa al futuro e che trovava le sue radici nel passato.
È indubbio: Papa Benedetto XVI fu un grande conservatore, dimostrato anche, durante gli otto anni di pontificato, quando ha ripreso vari accessori in disuso. È stata questa una scelta di immagine deliberata e una sfida di non poca importanza. Ricordiamo che, oltre al camauro, nel 2005 indossò per la prima volta una mozzetta, la mezza mantella degli ecclesiastici che copre solo le spalle, divenendo, così, come qualcuno l’ha definito, un Papa da ‘museo’.
In otto anni di regno Benedetto XVI ha rispolverato dall’armadio papale abiti caduti ormai in disuso e paramenti utilizzati dal suo lontano predecessore Pio IX, l’ultimo Papa re dello Stato Pontificio.
Nel 2007 la rivista statunitense Esquire, che si occupa prevalentemente di moda maschile, dedicò un ampio reportage all’abbigliamento di Benedetto XVI e a un accessorio in particolare: le famosissime scarpe rosse made in Novara. Oltre agli indimenticabili mocassini rossi di Prada, Ratzinger usava solo scarpe Geox. Aveva anche un IPod Nano bianco con il suo nome inciso, regalo dei dipendenti di Radio Vaticana al suo 75° compleanno. Si proteggeva dal sole con un paio di occhiali Serengeti.
Papa Francesco sostiene con l’esempio il discorso che diffonde sulla morigeratezza, non solo con il modo di vivere ma anche con l’abbigliamento. Un’impresa che non avrebbe avuto tanta risonanza prima di Benedetto XVI. Marzia Cataldi Gallo, professoressa dell’Università di Genova e autrice del libro Vestire il Pontefice. Dall’Antico Testamento a Papa Francesco (SAGEP, 2013) sostiene che Papa Francesco è “sobrio, attento al risparmio e alla povertà. Ma questo non sarebbe stato possibile senza Benedetto XVI. Le sue dimissioni sono state una vera rivoluzione e hanno dato umanità e fragilità al ruolo del Pontefice. Adesso Francesco cammina in questa nuova via”.