
di Andrea Filloramo
Che il papato di Papa Francesco si avvii verso la fine è cosa certa. Lo diciamo con la sofferenza di quanti, cattolici e non cattolici, hanno seguito con trepidazione i difficilissimi momenti del suo lungo ricovero presso il Policlinico Gemelli e del suo sofferto ritorno in Vaticano nella residenza di Santa Marta, dove trascorrerà la sua convalescenza “protetta” e constatano che – data anche l’età avanzata – il proseguimento del suo pontificato appare incerto e breve.
Ma, anche se il declino di questo grande Papa, ormai è sotto gli occhi di tutti, mai nessuno potrà interrompere – a mio parere – il cammino che, a partire dal 13 marzo 2013, con un semplice e irrituale “Fratelli e sorelle, buonasera”, egli ha dato l’avvio all’innovazione, che non può essere interrotta.
Nell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” – che invito a leggere – nei punti dal 221 al 237, Papa Francesco ha donato dei principi orientativi da cui lasciarsi guidare nel cambiamento e, quindi – come egli scrive – nella “costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità”, validi particolarmente oggi, quando si parla di guerra mondiale a pezzi.
Sono questi indubbiamente de principi guida, motivi ispiratori, grandi direttrici a cui tutti si possono ispirare, nella politica e nell’economia, nella società e nelle comunità.
Per quanto riguarda la Chiesa, in questa Esortazione, il Papa scrive: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia».
E’ certo che queste parole di Bergoglio sono incomprensibili per i tradizionalisti, che secondo Papa Francesco peccano di”indietrismo”. E’ questo un neologismo che egli ha usato per distinguere la fede viva dei morti da quella morta dei vivi e, pertanto, dice : “Una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero è una Chiesa che va indietro, e questo è il problema di oggi, di tanti che si dicono tradizionali. No, no, non sono tradizionali, sono ‘indietristi’, vanno indietro, senza radici”.” State attenti all‘indietrismo, che è la moda di oggi, che ci fa credere che tornando indietro si conserva l’umanesimo”.