di ANDREA FILLORAMO
Lo “ sgarbismo” potrebbe diventare un neologismo, che stigmatizza il comportamento di tanti “teledipendenti” che, alieni da qualunque normalità, partecipano ma in modo di gran lunga inferiore alla cialtroneria eletta da un personaggio televisivo, che fa scuola, stravolgendo – allorché si distacca dal suo mondo, di cui è altamente competente, dai suoi orizzonti e dal suo “télos” di uomo e di studioso delle belle arti – le normali norme del galateo e della stessa convivenza civile.
Egli si trova, a mio parere, in un terreno così poco perimetrato da consentirgli la deriva addirittura dell’educazione e rappresenta per tutti un modello negativo, connotato da una elevata attrazione mediatica che non tiene conto di alcune regole etiche che dovrebbero essere rigide e in grado di operare indistintamente (e contestualmente) tra l’informazione e l’esibizionismo.
Non è raro il caso in cui alcuni, colpiti dal virus dello “sgarbismo”, altamente infettivo, come possiamo osservare dappertutto e non solo negli show televisivi ma persino dentro le mura domestiche, senza alcun ritegno o limite e senza alcun rispetto della privacy degli altri, a parole o con scritti o con email talvolta anche anonimi – come è capitato, per l’ennesima volta, in questi ultimi giorni allo scrivente – con tono chiamiamolo pure apofantico, assertivo ma nello stesso tempo non privo di intollerabile obliquità, offendono il passato o il presente di cui ciascuno, come me, va orgoglioso.
Ciò per il semplice fatto che essi vorrebbero far tacitare chi esprime liberamente idee o opinioni diverse a parole o con scritti, che non riescono a collocare il proprio parere accanto al parere di altri, ma pretendono di aver riconosciuto il carattere di “verità” per ogni loro pensiero e non tollerano che altri rendano manifeste le loro. In un eventuale confronto, che essi rifuggono, la loro pretesa affermazione di una verità “forte”, infatti, sarebbe già la miccia di una violenza pronta a inghiottire l’alterità.
Essi non tengono in alcun conto, altresì – ed è questo il punto che vorrei evidenziare – che il passato di ciascuno e l’identità che si colloca nel presente, sono due concetti cari all’antropologia, seppur abbastanza problematici, ma personali e, quindi, riservati e intoccabili dall’esterno e non demolibili dai pregiudizi che purtroppo stentano a morire.
Se, infatti, il passato, per ciascuno di noi, è statico, immobile, immutabile, incancellabile, è in parte memorizzabile solo dal soggetto e non è condivisibile; è sempre recuperabile solo da chi l’ha vissuto se viene rintracciato nel suo subconscio, ma è sempre latente e, in una certa maniera misteriosa rende solida la stessa sua identità del presente, che è facilmente identificabile.
Per difenderci dallo “sgarbismo”, pur sapendo che all’interno del linguaggio esiste in ciascuno di noi una zona che potremmo definire oscura, il cui utilizzo può produrre una sorta di scarica emotiva, di cui potremmo servirci, fatta di parole pesanti, ritengo che non si debba alzare neppure il tono della voce che farebbe diventare anche noi volgari e di scegliere la via della pacatezza.
Sono convinto, infatti, che anche di fronte a provocazioni, mostrarsi in equilibrio, approcciare l’altro con un tono garbato, non è un cedimento, una resa o comunque un segnale di debolezza. E’ piuttosto un metodo, che aiuta a non restare bloccati nella palude del rancore, della rabbia.
A quell’anonimo, quindi dico di prendere atto che la vita è come uno splendido viaggio – non è questa retorica – dove non si è mai fermi, un cambiamento continuo, convinti del fatto che tutto ha un inizio e una fine, e che ciò che ci ha accompagnato ieri, potrebbe non esserci più e questo vale per ciascuno di noi e quindi, siamo destinati, qualunque sia la nostra scelta di vita, di “camminare assieme”.
Personalmente ho imparato nella mia vita a chiudere storie, fasi o capitoli ma di aver conservato la mia identità, di essere stato sempre me stesso, senza nascondermi dietro il velo dell’ipocrisia, che copre quel mondo immaginario fatto solo di bugie e storie inventate anche a noi stessi, che non ci permette di conoscere il nostro essere, la nostra vera essenza, che mette a tacere le nostre emozioni, costruisce dei personaggi che alla fine non ci rispecchiano.
Ho imparato, altresì, che di fronte a una lettera o a una email anonima che offende o che insulta o che, per essere benevoli, esprime opinioni concepite solo sulla base di prevenzioni generali, senza una conoscenza delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione e da indurre quindi in errore, l’unica cosa da fare è, dopo averla letta, di cestinarla.