di ANDREA FILLORAMO
Dopo la suddivisione dei territori in fascia rossa, arancione o gialla, definita lo scorso novembre in base al rischio contagio da coronavirus e l’aggiunta a metà gennaio della fascia bianca, tali colori convenzionali, che chiamiamo “pandemici” non smettono di segnalare i limiti alla nostra libertà personale.
Tutti, nel chiuso delle nostre case, attendiamo di conoscere il colore destinato alla nostra Regione di appartenenza, temiamo la fascia rossa e in un silenzio personale assoluto, che denuncia l’assoluta solitudine, alla quale il virus può costringerci a vivere.
Sentiamo, allora, dentro di noi un vuoto esistenziale che non riusciamo a riempire con cose, persone, luoghi comuni e conosciuti, che in tempi normali costituiscono una rete di protezione che ci fanno sentire non soli e con rapporti importanti e significativi, pieni d’intimità.
Sì! è vero! la solitudine è uno stato che accompagna l’essere umano e può essere vissuto in molti modi ma il silenzio del “rosso pandemico”, in quei momenti, è un silenzio troppo lungo, che si ripete e che causa un sentimento di solitudine insopportabile.
Spesso, durante questa pandemia, per non sentirci “soli”, ci nascondiamo dietro quelle persone, con cui viviamo, creando una rete che, tuttavia, ci costringe, anch’essa, a vivere un’esistenza, che paragonata all’esistenza vissuta assieme prima della pandemia, non vorremmo più vivere.
No! non ci possiamo fermare davanti al vuoto di questa solitudine, che non esiste, non può esistere, non è reale, ma solo immaginata perché temuta.
Occorre riflettere sul fatto che la solitudine non è necessariamente stare da soli, ma è uno stato che riflette la vita e che la libertà diventa un qualcosa di irraggiungibile, se non riusciamo a dedicare tempo all’intervallo, a noi stessi; solo così si possono costruire dei sani rapporti liberi, senza incastri emotivi. La solitudine e la paura della solitudine ci accompagna per tutta la vita ma, se vissuta profondamente, può diventare la strada maestra che conduce all’interiorità e all’autonomia.
La creatività come modo per esprimere un mondo interiore diventa l’espressione che ci dà la possibilità di incontrare e sviluppare le nostre attitudini permettendoci di portare all’esterno una parte di noi.
Costruire o accettare la solitudine e il silenzio che l’accompagna, aiuta la persona a ritrovare se stessa nel mare della vita.
L’anelito di questo momento è quello di dare significato alla vita, alle emozioni quotidiane. Il saper stare soli, quindi, deve rappresentare una preziosa risorsa.
Questa piccola grande rivoluzione parte da noi stessi, dal nostro io troppo a lungo corazzato e difeso. Abbassiamo questo scudo e cerchiamo di contattarci concedendoci di vedere e sentire in modo diverso, nuovo.
Liberarci dal cappio del nostro io, rallentare il ritmo, respirare in modo profondo e muoverci seguendo i veri bisogni. È questo un movimento dettato, non dal fare ossessivo per riempire, ma da un senso di libertà, dove il tempo non è più tempo e dove i rapporti diventano silenziosamente pieni e il nostro vuoto più leggero.
“Senza una grande solitudine nessun serio lavoro è possibile” affermava Pablo Picasso e questo vale non solo nel campo artistico.
La solitudine deve essere vista come opportunità per crescere, una connessione interiore per decidere autonomamente la strada da prendere; è questa una strada capace di migliorare la capacità cognitiva e aumentare l’armonia emotiva; è la capacità di sconnettersi da tutto e tutti che rende le persone libere e creative; è ancora una pausa dal mondo come momento di raccoglimento con i propri pensieri.
Per i cristiani unica è la riflessione: non dobbiamo mai sentirci soli.
Occorre avere fiducia in Dio, c’è sempre l’aiuto nella sua parola.
È interessante notare che nei Vangeli e negli altri scritti del Nuovo Testamento, non si dice nulla direttamente sulla solitudine, tuttavia, questo non significa che non possiamo usarli per aiutarci ad affrontare questo sentimento, come, ad esempio in Mt 11,28, in cui leggiamo: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo”.
In 1 Cor 10,13, San Paolo scrive: “Nessuna tentazione vi ha colti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via di uscirne, affinché possiate sopportare”.
Ricordiamo che Cristo scelse la solitudine nel deserto, durante i suoi 40 giorni di digiuno, in cui ebbe le tentazioni più impegnative della vita, che anche tutti noi affrontiamo ogni giorno: il desiderio di cibo, il desiderio di potere e il desiderio di un’eredità immortale.
Cristo fu in grado di resistere a queste tentazioni e tornò dalla sua solitudine “nella potenza dello Spirito”, insegnando nelle sinagoghe (Lc 4,14-15).