di ANDREA FILLORAMO
L’uomo contemporaneo, dinnanzi alla pandemia che imperversa, causando sofferenza e morte, vive in uno stato di angoscia e di pessimismo, se non riesce a dare delle risposte alle tante domande radicali poste alla sua coscienza.
Per rispondere a esse egli deve possedere una buona dose di ottimismo, che è una virtù difficile ed è un atteggiamento che si riscontra piuttosto raramente anche tra i cristiani, ai quali non dovrebbero suonare strane le parole di Cristo: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazioni nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo “(Gv 16, 33).
Riflettendo sulla storia del Cristianesimo mi viene spontaneo esclamare: “Com’erano belli i primi tempi della Chiesa quando i cristiani, andando incontro alle più dure prove a seguito della loro testimonianza del Vangelo, riscoprivano il segno della gioia per la vittoria sul male!”.
La loro attesa escatologica non aveva nulla in comune con il catastrofismo di oggi.
Essi consideravano la disintegrazione del cosmo e la recisione del groviglio dei destini umani come una grande vittoria di Cristo, a cui anche essi partecipavano mediante la loro fede; vedevano l’immensità del male nella realtà, in cui erano immersi; erano consapevoli dell’influenza del male anche sui credenti, tuttavia questo rafforzava ancor più la loro convinzione che non sarebbe stato un miracolo ad assicurare il trionfo sul male, ma lo sforzo dell’intelletto e della volontà dell’uomo.
Esemplari per i cristiani sono, in tal senso, gli scritti dei Padri della Chiesa. Cito, per esempio, la Lettera a Diogneto, che è un breve scritto in greco, che un ignoto cristiano della prima metà del II secolo rivolge a un amico per spiegare e difendere la nuova fede cristiana cui è ritratta la condizione dei cristiani che, pur essendo nel mondo, non amano le cose del mondo, in quanto ogni paese è per loro straniero. L’immagine del mondo di allora non era molto diverso del mondo d’oggi. Essa è uno spaccato sovrapponibile con la situazione moderna.
Della Lettera citiamo soltanto uno stralcio: “Devi sapere che è invecchiato questo mondo. Non ha più le forze che prima lo reggevano; non più il vigore e la forza per cui prima si sostenne … e con i fatti stessi documenta il suo tramonto e il suo crollo. D’inverno non c’è più abbondanza di piogge per le sementi, d’estate non c’è più il solito calore per maturarle, né la primavera è lieta del suo clima, né fecondo di frutti l’autunno. Diminuita, nelle miniere esauste, la produzione d’argento e d’oro, e diminuita l’estrazione di marmi … Quanto alla frequenza maggiore delle guerre, dell’aggravarsi delle preoccupazioni per il sopravvenire di carestie e sterilità, all’infierire di malattie … alla devastazione causata dalla peste, anche tutto ciò, sappilo, fu predetto: che negli ultimi tempi i mali si moltiplicano…”.
Un’altra testimonianza è quella di Origene, considerato uno tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli. Interpretò la transizione dalla filosofia pagana al cristianesimo e fu l’ideatore del primo grande sistema di filosofia cristiana.
Leggiamo dai suoi scritti un brano che oggi possiamo considerare ambientalista: “Questa enorme e splendida creazione del mondo deve necessariamente indebolirsi prima di morire. Quindi la terra sarà sempre più spesso scossa da terremoti e l’atmosfera diventerà pestilenziale, generando miasmi contagiosi”.
L’invito al ritorno allo spirito cristiano dei primi secoli della Chiesa è contenuto oggi nel Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia, de 24 novembre u.s. del Consiglio Permanente della Cei. Il testo è rivolto alle comunità ecclesiali proprio per sostenere un cammino di Chiesa in un periodo che può sembrare sospeso, ma che può divenire di rinascita.
Scrivono infatti i vescovi, invitando a superare il pessimismo di molti cristiani, che “la Parola di Dio ci chiama a reagire rimanendo saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi”.