Il Villaggio S.S. Annunziata, un vecchio Casale di Messina

Il Villaggio S.S. Annunziata, un vecchio Casale di Messina. Pubblico un “pezzo” sicuramente atipico che pretende di somigliare, senza però riuscirci, a una pagina rinascimentale quando il diario si distinse ma non nettamente dall’autobiografia e dalla cronaca.

di ANDREA FILLORAMO

 “A una certa età ritornare fra le mura della propria città, del proprio villaggio, del luogo dove sei nato e dove hai trascorso una certa parte della tua fanciullezza e della tua giovinezza, provoca un particolare stato d’animo che accomuna tristezza e rimpianto per l’assenza di persone care scomparse. In un attimo ti rendi conto che la vita muta continuamente, e ti senti emotivamente legato a qualcosa che però non c’è più. Non si può tornare davvero indietro nel tempo, ma certamente si può provare il desiderio, a volte molto forte, di riprovare quelle emozioni che ci hanno dato piacere e gioia”.

Questa considerazione l’ho fatta dentro di me, durante le ferie passate in Sicilia, mentre giravo per le vie di là dove sono nato, il Villaggio S.S. Annunziata, un vecchio Casale di Messina, diventato negli ultimi anni un rione molto popolato, in cui sono rimaste poche tracce di quel lontano passato che mi era appartenuto.

Tanta è stata l’emozione quando mi sono introdotto nella via Longone, “a vinedda”, che mi ha visto bambino, adolescente e giovane. In essa ho rivisto la casa dove sono nato e dove ha abitato per lungo tempo la mia famiglia, dove ogni angolo mi ha trascinato con il ricordo a momenti particolari della mia vita.  Non so chi adesso vi abiti, forse è disabitata, come le tante case vecchie, sbriciolate dal tempo e dall’incuria che stanno, però, ancora lì, l’una appoggiata all’altra, per non cadere.

Chiusi gli occhi, forse spinto dall’emozione e vidi ad uno ad uno con la mia fantasia che mi gettava in un lontano passato, delle entità evanescenti, tendenti, quindi, a dissolvesi per poi trasformarsi nel nulla, proprio come il vapore che si dissolve. Erano le immagini mentali, recuperate dal ricordo, di Cuncetta Pitturussu e del marito Nunzio Bonasera, della Padda, della simpaticissima Santina “a nana”, di donna Mica Parisi con la sua numerosa figliolanza e di molti altri vecchi abitanti di quella via… Lasciai “a vinedda” con il nodo in gola.

Giunsi, poi, all’estremità della Via Comunale, là dove c’erano una volta il capolinea del 7 barrato e la puzzolente “putia” di Scannavino e più in là il tabacchino delle Signorine e la bottega di Caliri (u carabbineri). Mi sono apparsi improvvisamente nella mente tante persone che da tempo non ci sono più.

Mi fermai, poi, davanti ad un vecchio cancello chiuso, andando verso le baracche; proprio là dietro una volta c’era un caseggiato chiamato il “Circolo”, che nel ventennio era la “casa del Fascio”, poi, dopo la fine della guerra, era diventato “la casa degli ex combattenti”, l’unico luogo di aggregazione degli uomini esistente allora nel Villaggio. Mi rammentai che proprio lì, ogni 19 marzo, festa di S. Giuseppe, veniva offerto, non so da chi, forse dall’Associazione ex combattenti, un pranzo ai bambini del Villaggio con pasta “ncaciata” e polpette al sugo. Una mangiata in tempo di fame non si può dimenticare!

Quel caseggiato, alla fine degli anni 50 era stato comprato, da Padre Antonino Cutugno, il parroco d’allora, un santo prete che viveva in stato di povertà assoluta, un uomo di preghiera e di intensa carità cristiana. Per comprarlo egli ha fatto presso i fedeli una colletta, alla quale ha aggiunto i suoi risparmi.  Esso si aggiungeva a un altro vecchio fabbricato, sempre acquistato da lui, situato di fronte alla grotta di Santa Eustochia, una casa che nessuno voleva abitare, perché si diceva che fosse infestata dagli spiriti.

Cutugno voleva fare del Circolo un grande asilo infantile: desiderio, però, che non ha potuto soddisfare a causa del suo trasferimento nella parrocchia di Ganzirri, dove era richiesto essendo stato là nel passato Vice Parroco.

Ai suoi successori quindi, tenendo conto del desiderio di Padre Cutugno, era rimasto il compito di definire il progetto concernente quel vecchio stabile. Sappiamo soltanto che quel caseggiato, oggi non esiste più. Là ove esso sorgeva ho visto degli appartamenti civili e qualche negozio.

Non ho trovato neppure più, all’inizio di Via Caprera, il cosiddetto “Frischiuni”, lavatoio pubblico molto antico, “che si componeva di una fontana a pilastro con mascherone idrofobo. Costituiva testimonianza etno-antropologica di usi e costumi diffusi nei villaggi di Messina già a partire dall’epoca medievale (Nino Principato)”. In esso per secoli riecheggiarono le grida ed i canti delle lavandaie affaccendate nel rituale quotidiano del lavaggio dei panni. Mi sembra ancora di vederle all’opera mentre strofinano nelle scanalature delle vasche le grandi lenzuola di lino bianche. Un luogo pregno di storiaarte e cultura locale.

Dove è andato a finire “u “frischiuni”? Perché là dove c’era quel lavatoio oggi sorge un edificio a più piani? Come si è fatto per costruire proprio là? 

Queste domande le ho poste a diverse persone ma nessuno mi ha voluto dare delle risposte anche se da alcuni accenni ho intuito che sapessero.

Ho raggiunto, poi, la piazzetta della Chiesa. Vidi alla mia destra i locali parrocchiali voluti dal parroco Vincenzo D’Arrigo; visitai la chiesa, totalmente dallo stesso restaurata ed abbellita, un vero gioiello artistico e non la “catapecchia” dei miei vecchi tempi. È stato tutto questo il risultato della “solerzia” e dell’“intraprendenza” quasi “cocciuta” del Parroco D’Arrigo che ha dimostrato di avere grande disposizione naturale, capacità di agire di testa propria, di affrontare difficoltà o situazioni nuove.

Non sarebbe riuscito a fare, però, tutto quello che ha fatto senza i favori elargiti, in grande misura, da politici, come egli stesso ha riconosciuto nel sessantesimo della sua ordinazione presbiterale.  

Tutti i fedeli oggi godono di questi beni voluti da Padre D’Arrigo e di questo non finiranno mai di ringraziarlo. Fra questi, però, non mancano quelli che pensano che il rapporto prete-politica non possa basarsi sui favori, che immediatamente richiamano il concetto di voto.  

È indubbio che quanto essi sostengono è, in senso generale, ineccepibile ma non applicabile in ogni caso.  

Lo sappiamo: per lo più sono tanti i favori dei politici che stanno alla base di quel fenomeno molto dilaniante e pericoloso, difficilmente identificabile con cui si mettono da parte idee e ideologie e la stessa fede e si svende la propria libertà.  Si tratta di un meccanismo perverso, con cui il politico, facendo dei favori, mantiene l’equilibrio fra il peso dei voti e quello di favori, nascondendo la polvere dell’immobilismo. Ritengo che i risultati di questo rapporto siano raccapriccianti.

Essi inquinano costantemente l’ambiente della Chiesa.

Tanti, invece, sono i preti che non cercano nulla ai politici né per sé né per la propria parrocchia, ma questo non significa tener lontani i politici dai “problemi” che essi vivono quotidianamente e cioè: i problemi dei poveri, dei senza tetto, dei baraccati, di quanti non arrivano alla fine del mese, dei ragazzi che non trovano lavoro.

Essi agiscono con correttezza, trasparenza e rendicontazione, strumento quest’ultimo essenziale perché mostra la verità delle risorse a disposizione e permette di discernere ciò a cui si può rinunciare e quanto invece è necessario perché la Chiesa possa continuare ad essere credibile e compiere la sua missione a servizio dei poveri e del Vangelo.

Ho riflettuto a lungo su questi concetti e non ho potuto farne a meno di esternarli in quanto sono oggetto di tanti miei scritti, che non riguardano soltanto l’arcidiocesi di Messina.

In sintesi: è assurdo che il prete, qualsiasi prete, di qualsiasi diocesi, per avere per sé o per gli altri dei favori, diventi il “cappellano” del politico di turno, che senz’altro si aspetta o esige voti necessari per la sua elezione. Il prete non può diventare partecipe, anche involontario, di un sistema deviato e deviante che sicuramente non possiamo e non dobbiamo tenere in vita…

Aggiungo ancora: il prete, qualunque prete, il parroco, qualunque parroco, deve sempre agire con la dovuta trasparenza che, come sappiamo, però, non è facilmente rintracciabile, in molti sacerdoti. Spesso accade, infatti, che i preti non amino concedere ai fedeli l’accessibilità alle informazioni concernenti la proprietà, l’organizzazione e l’attività della parrocchia. Forse non se ne rendono conto e, per questo lasciano molto spazio alle chiacchiere e alle malignità.

Questo accade quando il prete sente e considera la parrocchia come sua esclusiva proprietà, il proprio territorio di cui diventa anche geloso. Ricordiamo che la gelosia nasce quando si teme di non essere al centro di un determinato mondo, quando ci illudiamo di essere unici, speciali, per poi scoprire che il mondo non ruota assolutamente intorno a noi. La gelosia nasce nei rapporti in cui chiediamo agli altri di metterci al centro di tutto per poi scoprire che ciò non può accadere o che ciò non sempre accade in ogni comunità parrocchiale…

Torniamo alla Parrocchia dell’Annunziata. Essa ora accoglie il nuovo parroco: Mons. Gaetano Tripodo.

Ma chi è Mons. Tripodo?

È questa sicuramente una domanda retorica. Parlare di Mons. Tripodo, significa, infatti, parlare di un prete molto conosciuto, che ha un ricchissimo curriculum. Egli, infatti, è già stato Parroco, Direttore della Caritas diocesana, vicario generale dell’arcidiocesi, delegato ad omnia della diocesi, vicario episcopale delle Isole Eolie. Sempre fedele e ossequioso agli arcivescovi che si sono susseguiti nell’arcidiocesi peloritana.

Nessuno dimentica il suo gesto di devozione nei confronti dell’arcivescovo La Piana durante la conferenza stampa delle dimissioni da arcivescovo, consistente nel vietare tassativamente ai giornalisti – come allora egli ha detto – di “aprire determinati files”. Forse sarebbe stato più utile allo stesso arcivescovo che il suo Vicario generale dimostrasse meno devozione ma non vietasse alla stampa di porre domande.

L’imporre alla stampa di non ricorrere alla fonte delle notizie riguardanti le dimissioni, ha dato la stura a notizie bufale di cui si poteva indubbiamente fare a meno.

Ciò, non ha nulla a che vedere, però, con il compito che adesso gli viene affidato che è quello di Parroco dell’Annunziata.

Era un tardo pomeriggio quando, dopo aver girovagato nelle vie del mio Villaggio, sono tornato a casa. Il sole stava tramontando lentamente fino a inabissarsi là, in fondo nel mare, lasciando una bellissima scia rosea, che ho considerato un segno del cielo con il quale veniva augurato un tempo migliore per quella Parrocchia del Villaggio S.S. Annunziata in Messina.