Sappiamo soltanto che stiamo vivendo il momento, al quale fino a qualche mese fa nessuno di noi pensava di vivere; siamo costretti, infatti, agli arresti domiciliari per colpa di un piccolissimo corpo, un virus che fino ad ora ha nelle sue mani ogni leva di potere personale, politico, economico…
di ANDREA FILLORAMO
E’ inutile ingannarci a vicenda, passando magari ore intere parossistiche davanti alle televisioni in attesa di sentire che la guerra al coronavirus è finita e che è arrivato il momento in cui ci possiamo dare la mano, accostarci l’uno all’altro, abbracciarci senza la paura di infettarci e, quindi, di autocandidarci alla morte. Verrà forse il momento ma non sappiamo e non è possibile sapere fino ad oggi quando, perché si accenda in noi la luce della speranza in un futuro che indubbiamente – teniamolo ben presente – sarà totalmente diverso da quello già vissuto nel passato.
Sappiamo soltanto che stiamo vivendo il momento, al quale fino a qualche mese fa nessuno di noi pensava di vivere; siamo costretti, infatti, agli arresti domiciliari per colpa di un piccolissimo corpo, un virus che fino ad ora ha nelle sue mani ogni leva di potere personale, politico, economico, strappandolo a quei politici, che dicevano di aver realizzato il migliore sistema sanitario del mondo e nel contempo – e tutti lo sapevamo – “rapinavano” la sanità e lo Stato rendendolo oggi incapace di salvare più gente possibile attraverso la terapia intensiva, dato che le aziende produttrici hanno esaurito le scorte di attrezzature.
Da più di trent’anni questi signori in un crescendo continuo, senza vergogna, da vere “sanguisughe” di un popolo sofferente ma con il silenzio del parlamento, hanno fatto morire, privandole delle risorse necessarie, anzi utilizzandole a scopo personale, milioni di persone, facendo pensare a tanti che in certi casi le malattie e la stessa morte fosse l’effetto di una selezione naturale contro la quale nessun medico e nessuna medicina può arrestare il corso e che addirittura, per tal motivo, non fosse necessario aumentare l’organico dei medici e degli infermieri che, nel momento di crisi attuale, deve fare ricorso addirittura a medici stranieri e a neo laureati.
Mentre non ha smesso mai, intanto, la “fuga dei cervelli” verso le università straniere, in Italia i medici danno testimonianza di grande impegno, professionalità e deontologia, fino a morire per cercare di stanare quel virus che semina morte e quindi guarire più persone possibili. Credo che questo sia il momento, non so come e quindi con quali strumenti legislativi, o attuativi, forse anche con la cancellazione di qualche articolo della Costituzione, di fare “sputare” quanto questi delinquenti, hanno rubato, hanno derubricato, cancellato, non destinato o con la loro inerzia legislativa ritardato e, quindi non permesso che fosse garantito a tutti il diritto alla sanità. Si tratta di una valanga di denaro, alla quale si possono aggiungere le risorse provenienti da vitalizi vari e stipendi e pensioni stratosferici, di tutti i politici parlamentari, regionali e provinciali, che si potrebbero impegnare nella sanità e nella ricostruzione di un Paese che uscirà sicuramente distrutto dal virus.
Torniamo intanto al modo di vivere questa triste avventura, di cui pagheremo, se ne usciremo vivi, per molto tempo lo scotto. Tristissima ma necessaria la cornice di regole asfittiche precostituite per la nostra salvezza, che ci viene giustamente imposta: tristissima la limitazione degli spazi di movimento. Alle regole e alla limitazione degli spazi a nostra disposizione si inserisce un potente fattore che aggrava la restrizione della libertà e del quale pochi si rendono conto: man mano che i giorni passano, muta in noi il concetto di tempo e muta anche il concetto di spazio che delineano un mondo chiuso dove l’allontanamento fisico dalla società causa abbandono e sconforto. Segregazione interna, quindi, significa separazione da se stessi e dalla propria autodeterminazione, ma anche allontanamento fisico dalla città che rimanda al meccanismo psichico della rimozione, dove rischiamo di essere dei condannati da dimenticare.
Conoscere questo processo psichico, ci aiuta senz’altro a superarlo. In tale contesto i rapporti sereni, non aggressivi, con la propria famiglia, così vitali per il benessere psicologico, risultano indispensabili, anche se siamo obbligati a stare in uno spazio che è la casa, che diventa sempre di più minuscola e si veste di non luogo che può accrescere le sofferenze.
E se è vero che “la relazione è quella che fa di uno spazio un luogo” (Buffa, 2015) si evince la priorità di una relazione continua, partecipativa, organizzativa che preceda l’importanza di un’attenzione agli spazi fisici, perché è all’interno di una relazione fondata sulla comunicazione e incentrata sul coinvolgimento attivo che può accrescersi la fiducia nel futuro e la resilienza nella disperazione.