Il Volto oscuro della Chiesa. Vi sveliamo il romanzo-verità di Filloramo

INTERVISTA AD ANDREA FILLORAMO, AUTORE DE “Il VOLTO OSCURO DELLA CHIESA”

“Il Volto oscuro della Chiesa”, è il tuo nuovo libro. Vuoi, per favore, presentarlo?

Il mio libro è da considerare un romanzo realistico – didattico e in buona parte anche un “romanzo-verità”, edito da Booksprint e può essere richiesto alle librerie o alla stessa Casa Editrice attraverso Internet.
Che cosa s’intende per romanzo-verità?
Per “romanzo-verità” s’intende quel titolo, che nasce dalla convinzione di quelli che ritengono che, nell’era di Facebook, la pura invenzione narrativa non appassioni più di tanto i lettori se la narrazione non è contaminata dagli accadimenti. Il mio, perciò, è un romanzo prodotto dall’immaginazione alimentata da un “fatto” che ha per soggetto un vescovo, di cui si sono occupate la stampa e la Rete. Il Romanzo però contiene messaggi capaci di trascendere quella particolare vicenda e assume una portata molto più ampia. Fra le sue righe è oltretutto rintracciabile anche quasi un “trattato”, un “saggio” di “vizi e virtù” del mondo clericale, quel mondo di cui tanti parlano senza magari conoscerlo veramente.
Quanta parte di autobiografia possiamo rintracciare nel tuo romanzo?
Ritengo che in ogni romanzo c’è sempre presente un elemento di forte soggettività e proprio per questa ragione chi scrive attinge anche dalla propria esperienza, della quale non può fare a meno. Ricordiamo che il termine esperienza viene da “ex-per-ire,” che significa anche “passare attraverso”. Tutto ciò che noi facciamo incontra questa parola che ha una grande capacità evocativa. Non esiste un fatto e, quindi anche uno scritto, che non si misuri con l’esperienza e con la rielaborazione dell’esperienza.
Che rapporti ci sono fra il fatto che ti ha dato l’imput a scrivere il romanzo e la tua scrittura?
Sono convinto che ogni verità non vive solo nell’evidenza dei fatti, ma vive anche nel racconto e nella narrazione che va custodita, ascoltata e arricchita. Il romanzo così diviene anche un omaggio al potere della scrittura che vivifica e cristallizza gli accadimenti per sottrarli alle manomissioni, alle banalità e per preservarli dagli offuscamenti della dimenticanza, degli errori e degli inganni.
Chi sono i protagonisti del tuo romanzo?
Il protagonista che si muove in quasi tutt’intero il romanzo è un prete, in forte crisi di identità come uomo e come sacerdote. Di lui cerco di cogliere l’intimità e in essa vedo riflessa quella degli altri personaggi: un vecchio medico e un vescovo, uniti da “un’amicizia particolare”, di cui tutti parlano e mormorano. Di quel supposto rapporto il prete è fortemente ossessionato e non è affatto disinteressato all’eredità del dottore, che prima di morire fa il testamento lasciando come erede universale proprio il vescovo. Il prete, quindi, deluso e contrariato per il fallimento delle proprie speranze e frustrato nelle sue aspettative, diviene l’accusatore presso la Santa Sede, alla quale fa pervenire un biglietto che il dottore, avrebbe scritto con mano tremante e incerta, su suggerimento e forse su dettatura dello stesso prete, qualche giorno prima della morte, in cui conferma il “rapporto particolare” del dottore con il vescovo, al quale non è rimasto altro da fare se non dimettersi dalla diocesi per non essere rimosso…
Il focus dell’attenzione in tutto il romanzo, quindi, non è, come si poteva pensare, sul vescovo mormorato per un’amicizia particolare con un medico che l’avrebbe gratificato con un’ ingente eredità ma un prete. Perché questo capovolgimento di prospettiva, che dà una chiave di lettura diversa al fatto come raccontato dai giornali?
Il protagonista del mio romanzo non è il vescovo ma è un prete, un prete come tanti altri. La scelta fra i due ipotetici soggetti come protagonisti, prete e vescovo, che è caduta sul prete, è da considerare come una strategia della ragione che è intervenuta sull’immaginazione obbligandola, con quello che chiamo il capovolgimento di prospettiva, ad un doveroso silenzio sul vescovo, sul quale “ad abundantiam” già si era occupata la stampa “massacrandolo” e, particolarmente un Settimanale che, su probabile spinta di quel prete, l’ha condannato alla gogna.
Il diritto di informare è un valore laicamente “sacro”, ma l’esercizio di questo diritto non è sempre responsabile, per poter essere concretamente libero. Non è possibile che, in nome di questo diritto inalienabile, venga sacrificato sull’altare il rispetto per la persona.
Il dovere dei media è quello di informare. Sono convinto che i fatti che leggiamo nei giornali e nella Rete, spesso mancano di verificabilità e, quindi, di credibilità: una verità, infatti, appare come il mosaico di più verità. In un romanzo, invece, anche se la finzione letteraria fa vedere la verità “per speculum”, cioè come “attraverso uno specchio”, il contenuto non ha bisogno di nessuna verificabilità e di nessuna garanzia per essere vero o almeno verosimile.
Nella dialettica fra mondo reale e mondo fittizio, quel prete protagonista potrebbe, quindi, essere considerato un uomo “in carne e ossa”, con nome e cognome e non un personaggio immaginario?
Rispondo con le parole di Albert Einstein che scrive: “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia il mondo (…). La logica vi porterà da A a B, l’immaginazione vi porterà dappertutto”. È possibile, quindi, pensare che il prete sia un uomo in carne e ossa, con una identità precisa, che il vescovo abbia avuto con i suoi preti un rapporto non sempre tranquillo e che nel clero della sua diocesi non siano mancate l’invidia, la gelosia e la maldicenza. Nessuno pensi, però, che il mio romanzo istighi a una caccia alle streghe alla ricerca di un fantomatico o reale personaggio. Ritengo, infatti, che dovrebbe essere la Chiesa, quella dei palazzi pontifici e quella locale, a superare l’omertà che la caratterizza, a rivelare quel che avviene al suo interno, ascoltando l’invito di papa Francesco quando dice di “fare un po’ di pulizia; recuperare freschezza, genuinità e agilità che fa bene alle strutture e alle persone” e ancora: “La sfida della realtà richiede un cambiamento; da tutti è percepito il bisogno di cambiamento, perché si avverte che c’è qualcosa che non va”.
Quale giudizio può essere dato di quel prete?
Dostoevskij ci ha lasciato la grande lezione che chi scrive non deve mai giudicare, mai tranciare giudizi sull’altro perché dare dei giudizi significa capire. Capire l’altro non è impossibile ma è difficilissimo.
Il sottotitolo del romanzo è “Sessualità Represse”, termini questi molto duri e severi nei confronti degli uomini di Chiesa.
Nello scrivere il romanzo, che per sottotitolo ha appunto: “Sessualità Represse”, ho posto molta attenzione ai comportamenti sessuali degli uomini di Chiesa, ad iniziare dall’omosessualità, alla pedofilia e inoltre a tutte quelle che la chiesa bolla come manifestazioni del “vizio della lussuria”, che, se tenute in determinati ambiti e se non vengono lesi i diritti degli altri e l’inviolabilità dei minori, possono essere interpretate come istanze di libertà.
Ma che cosa è avvenuto e avviene nel mondo clericale?
Per capire quel che avviene nel clero cattolico, si deve tener conto di quel che erano i seminari degli anni ’50, ’60 e ’70 che hanno formato una moltitudine di preti, inclusi quasi tutti i vescovi e i cardinali attuali, che sono stati ordinati presbiteri negli anni in cui si chiudeva il Concilio Vaticano II e si apriva la lunga era delle speranze post-conciliari e, fra queste il superamento di ogni tabù riguardante il sesso e la gestione della sessualità. È quella una generazione che ha avuto nelle sue fila molti “abbandoni” e forse, nel suo complesso, non è riuscita a fare il bilancio di una vita, alla luce dei Decreti Conciliari. Non si è resa conto e ancora forse non si rende conto che la Chiesa vive una crisi di sistema strutturale, che per risolverla ci vorrebbe una risposta corale da parte di tutti. Molti preti invece preferiscono organizzare raduni di massa, pellegrinaggi che incrementano il turismo religioso, processioni, offensive mediatiche, pseudo apparizioni e pseudo messaggi ripetitivi e apocalittici di appoggio ai “mercatini sacri” e in cui mai manca il miracolismo delle guarigioni o le paure indotte dagli esorcismi. Tutto ciò può diventare solo fumo negli occhi, perché la crisi rimane intatta. Quella generazione di preti non ha forse rimesso o, per essere benevoli, non è riuscita a mettere al centro o, meglio, al di sopra di ogni norma e ogni dottrina, l’essere umano e i suoi bisogni. Anche quei preti che sono stati ordinati nei decenni successivi, sono prigionieri di quel “modus vivendi”, che li rende identici a quelli che li hanno preceduto.
È questo indubbiamente un giudizio molto severo nel confronti dei preti.
Ciò non vuol dire, però, che non possiamo rintracciare preti e vescovi che con coraggio si sono liberati dalle catene del clericalismo, più volte condannato dal Papa Bergoglio, e respirare a pieni polmoni il senso più profondo della libertà.
L’attenzione può essere intesa come un effetto di un moralismo inopportuno perché inutile nella soluzione dei problemi sessuali degli uomini di Chiesa.
Chi mi conosce sa che il moralismo non mi appartiene, quindi l’attenzione ai fatti sessuali nella Chiesa non è l’effetto di una mia sindrome moralistica. Oggi basta esprimere disapprovazione per essere subito tacciati di moralismo, dimenticando che i valori morali possono anche essere sinceramente espressi e non solo ipocritamente predicati. A tal proposito faccio mio quanto scrive Stendhal in “Rosso e Nero” (1830), romanzo che narra la lotta di un giovane spiantato e ambizioso, Julien Sorel, contro la società ostile (la Francia della restaurazione) che inaugura la stagione del grande romanzo realistico: “Un romanzo è uno specchio che passa per una via maestra e ora riflette al vostro occhio l’azzurro dei cieli ora il fango dei pantani e l’uomo che porta lo specchio nella sua gerla sarà accusato di essere immorale! Lo specchio mostra il fango e voi accusate lo specchio! Accusate piuttosto la strada in cui è il pantano e più ancora l’ispettore stradale che lascia ristagnare l’acqua e il formarsi di pozze”. L’attenzione ai fatti sessuali del clero nasce, quindi, non da considerazioni astratte e preconcette e dall’atteggiamento di rigida e eccessivamente conformistica difesa dei principî della morale comune, ma dal desiderio di una chiesa più pulita. Nessuno può dimenticare quanto durante la Via Crucis del 2005 – e da allora nulla è cambiato – il cardinale Ratzinger, che qualche mese dopo diverrà papa con il nome di Benedetto XVI, aveva gridato al mondo: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa”.
Per finire: quando sarà pubblicato il tuo libro?
La pubblicazione è prevista per la prima decade del mese di giugno