L’ho scritto diverse volte e l’ho sempre sostenuto con gli amici poeti: Laura Paita, scomparsa lo scorso mese di marzo all’età di 59 anni, è uno dei più genuini talenti che la poesia genovese abbia mai espresso. Non importa se era una donna riservata, poco incline alla frequentazione di salotti e ambienti politicizzati, non importa se nel suo “palmares” non appaiono i più noti premi letterari e importa ancora meno se i suoi versi non sono stati compresi e pubblicati dai grandi editori nazionali.
Laura ci ha lasciato una poesia meravigliosa e – per ora – dimenticata. Dimenticata, forse, proprio perché meravigliosa, in un tempo che non sa più meravigliarsi e che la meraviglia non è più capace di riconoscere. In una società che scambia l’avere, il potere con il dono della meraviglia. Genova celebra in questi giorni la poesia nazionale e internazionale con il suo Festival di Poesia, giunto alla XXV edizione. Immaginiamo di assistere ai diversi momenti del festival con lei, la poetessa capace di attenuarsi in mezzo alle folle, per essere spettatrice invisibile e innamorata del teatro della sua Genova, camminando fra gli attimi della vita, ognuno dei quali era così prezioso, per lei: In ogni istante / è contenuta / l’infinità / di tempo e spazio.
Il Festival parla di resilienza ovvero della capacità che ha un essere umano di affrontare e superare le più dure prove della vita. Laura era oltre la resilienza: La strada della felicità / passa / per il buio più profondo, / attraversare la notte / è un percorso obbligato, / l’iniziazione / alla consapevolezza e all’abbandono. Essere resiliente per lei non era solo l’atto di affrontare il dolore, ma quello di attraversarlo con le proprie forze, a testa alta, senza perdere di vista l’orizzonte più lontano, quello della gioia. E la poesia non era solo una preghiera, ma il respiro di luce di chi ha facoltà di vedere nitidamente nella notte.
Il Festival propone “linguaggi extraumani”, quelli di chi si pone al di là dei limiti del desiderio, del timore, della pena: Lascia / che paura, angoscia, dolore / squarcino / l’involucro anestetico, / che ti avvolge come una placenta.
Il Festival propone argomenti di grande spessore umano: le parole nella loro dimensione di archetipi, le emozioni che gridano dal profondo del cuore e il mistero della Bellezza, regina dei poeti. Senza fretta, / con passo calmo e l’animo in subbuglio / avanza, / assaporando ogni emozione, ogni stato, / restaci dentro / finché azioni, pensieri e parole / non si siano sintonizzati, / finché ogni limite sarà trasceso / in un’esplosione di gioia, / che neanche la morte potrà arrestare.
Il Festival, infine, si chiude speculando sulla necessità che ha l’uomo di dare un senso profondo alla propria vita. Ed è ancora Laura a dare – a sussurrare – una risposta ai poeti e a chiunque abbia il tempo – la “lentezza” – di leggere i suoi versi e farne oggetto di meditazione: Sarà rinascita, / ti sentirai / accolta e abbracciata dalla Vita, / scoprirai quanto tu sia preziosa e bella, / esattamente così come sei. Grazie Laura. Addio e arrivederci.
Roberto Malini