È difficile descrivere l’atmosfera scristianizzata del mondo attuale, che invade il mondo occidentale: basta respirare l’aria che domina dappertutto per poter giudicare la situazione religiosa e morale. La cultura e la mentalità cristiane sono soppiantate da una concezione della vita del tutto mondana; l’uomo moderno è fino in fondo all’anima estraniato dal cristianesimo e dalla Chiesa.
È proprio così. L’uomo moderno ha perso o si avvia a perdere quasi del tutto il retaggio due volte millenario del cristianesimo nella sua vita, nei suoi pensieri, nel suo modo di porsi di fronte alle cose e di fronte a se stesso. Basta poco per osservare che c’è una totale indifferenza, un sovrano distacco dalla vita cristiana, così come da qualsiasi dimensione spirituale.
Chi ha qualche anno in più sulle proprie spalle forse riesce più facilmente, avendo seguito passo per passo la scristianizzazione della società, a cogliere i motivi di questo progressivo distacco, negli ultimi decenni, dalle fonti stesse della cultura occidentale, rappresentate dal cristianesimo.
Dipende dalle esperienze che egli ha fatto che non sono commisurate sicuramente agli anni che ha vissuto. Dipende anche dalle capacità di analisi dei problemi e delle situazioni complesse per comprendere i motivi per i quali ci si è allontanati da quelle che tu chiami le fonti della cultura occidentale rappresentate dal cristianesimo.
- La responsabilità di quanto accade è anche della Chiesa?
Certamente! La Chiesa è rimasta ancorata al suo passato e, quindi ha anche le sue colpe, in parte da essa stessa riconosciute. Da rammentare che l’argomento: “La Chiesa e le colpe del passato” è stato proposto alla Commissione Teologica Internazionale da parte del suo Presidente, il Card. J. Ratzinger, in vista della celebrazione del Giubileo dell’anno 2000. Oltretutto occorre evidenziare che la Chiesa è circondata da un mondo non più cristiano e, con le sue vecchie concezioni morali, si trova spesso in un isolamento tragico e, perciò, essa non determina quelli che sono i punti essenziali dell’opinione pubblica.
- Eppure c’è stato un Concilio, il Vaticano Secondo, con il quale la Chiesa ha aperto un dialogo con il mondo, con il quale ha cercato, nella seconda parte del secolo scorso, di incontrarsi.
Si tenga, però, conto che da allora sono passati sessanta anni, che, però, non sono tanti per un’istituzione millenaria com’è la Chiesa Cattolica. Proprio da allora iniziava la scristianizzazione dell’Occidente, con l’avanzare della modernità, che dissolveva tutta una serie di situazioni in cui la presenza cattolica era tradizionalmente egemonica. Mentre la Chiesa, però, con il Concilio Vaticano Secondo faceva un passo in avanti, tendendo la mano e cercando il dialogo, le società avanzavano verso il futuro con una celerità, alla quale la Chiesa non è riuscita o non ha voluto tenere il passo. Erano, allora, i giovani e le donne i protagonisti di questa rivoluzione culturale, certamente non gradita a tutti i Padri Conciliari. Ad essi la Costituzione Conciliare “Gaudium et spes”, infatti, ha dedicato solo cenni molto generici e scontati, ammettendo soltanto, che “qualcosa di gigantesco stava accadendo”; che l’umanità viveva “un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all’insieme del globo”.
- Qual era, a tuo giudizio, il comune sentire del clero nei confronti del Concilio voluto dal Papa Giovanni XXIII e portato a conclusione da Paolo VI?
Il comune sentire dei preti e dei seminaristi chiusi nei seminari penso che fosse dato dalla curiosità, dall’attesa di rinnovamento, dalle porte e finestre che il Concilio aveva spalancate, che speravano che non fossero accostate, socchiuse o sprangate, come, poi, è avvenuto. Per molti versi – lo diciamo con tristezza – tutto è ritornato ad essere gerarchico e autoritario. Ecco quel che ha affermato, nel 1963, un giovane teologo invitato al Concilio di nome Joseph Ratzinger: “Per molte persone oggi la Chiesa è diventata il principale ostacolo alla fede”. La crisi degli anni 1965-1978 fu in primo luogo, quindi, una crisi del clero che si è manifestata particolarmente con l’abbandono del ministero di un gran numero di sacerdoti, talora seguito dal loro matrimonio.
- Ovviamente la crisi del clero si riversata anche sui credenti.
È proprio così! Se guardiamo all’Italia: mentre nel 1956 ancora il 69 per cento andava regolarmente a messa la domenica, nel 1962, durante, quindi, il Concilio, era il 53 per cento e nel 1968 il 40 per cento. Oggi la percentuale ha quali toccato il fondo e numerose indagini parlano di una frequenza fra il 7% e il 12%. Come si può osservare, l’abbandono della Messa domenicale continua fino ai nostri giorni.
- Quali sono i problemi con cui la Chiesa si è dovuta confrontare negli anni 60 e 70 e che rimangono ancora insoluti?
I problemi ancora insoluti sono: la sessualità, la contraccezione, il divorzio, la condizione omosessuale, la questione femminile, l’ordinazione alle donne, la situazione del sacerdote, il celibato ecclesiastico e ancora altri.
- Perché, a tuo parere, la secolarizzazione dispiegata in quel periodo, avrebbe prodotto un buco nero fra le regole di vita e di moralità della Chiesa e la realtà della condotta pubblica e privata?
Proprio allora veniva ad essere proclamata la fine del regime di “cristianità”, che molti cattolici conciliari avevano auspicato. Essa avveniva in modo, però, dirompente e imprevisto e poneva interrogativi rimasti senza risposta. Si innestò anche il mutamento ecclesiale, che produsse un effetto moltiplicatore. Nel senso che il mutamento ecclesiale divenne uno dei fattori, dei simboli potremmo dire, di quello complessivo. E viceversa questo accelerò e in qualche modo ingigantì la portata di quello.
- Quindi, questo processo riformatore si arenò o comunque non corrispose alle aspettative diffuse, che invece andavano sempre più alzando il tiro?
Tutto questo “vecchio cattolicesimo” che mai è stato accantonato, era un ultimo residuo del “paradigma conservatore”, che perse la sua ultima battaglia proprio all’interno della Chiesa, provocando tuttavia una disaffezione diffusa in una parte del mondo cattolico.
- Il Concilio si concluse, con grande fretta, con Paolo VI, Papa sicuramente conciliare. Dopo di lui ci sono stati Wojtyla e Ratzinger. Sono stati papi, anch’essi come si sono professati, Papi “conciliari”?
Il Papa polacco e quello tedesco hanno capito che, per consolidare e dare pace alla Chiesa che poteva nascere dal Vaticano II, era necessario, in qualche modo, sopire definitivamente gli immancabili disordini del post-concilio, che erano durati a lungo.
- E Papa Francesco?
Papa Francesco, attuale pontefice, cerca in tutte le maniere, anche con la sua testimonianza, di recuperare il senso più profondo del Concilio Vaticano Secondo, annunciando “il messaggio sempre valido del Vangelo nella sua eterna novità e freschezza, senza ridurlo a un qualche schema preconfezionato. Egli unisce la continuità nei confronti della grande tradizione della Chiesa con quel rinnovamento che sa incessantemente sorprendere. Delle sue sempre nuove sorprese fa parte anche l’imbarazzante programma di una Chiesa ‘povera per i poveri’. Non è un programma liberale, ma un programma radicale – radicale nel senso originario della parola, perché significa un ritorno alle radici. Questo riandare alle origini non è tuttavia ripiegamento sul passato: è una forza per un inizio coraggioso rivolto al domani. È la rivoluzione della tenerezza e dell’amore” (cardinal Walter Kasper).