di ANDREA FILLORAMO
A distanza di più di tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, nessun passo in avanti nella ricerca di come almeno far tacere le armi, nessuna speranza di poter giungere alla pace, troppe morti, città rase al suolo, gente che fugge. Le diplomazie tacciono, un clima di paura s’abbatte su tutti.
Cosa sta succedendo al di là di quello che si vuol far conoscere, nessuno lo sa.
Sembra proprio che la guerra, che fortunatamente fino ad oggi per noi resta confinata all’interno dell’Ucraina, durerà a lungo e le conseguenze che già d’adesso paghiamo tutti col tempo diventeranno sempre più pesanti.
La guerra aveva una volta un inizio e una fine ben precisi, che ora si aprono a una temporalità indeterminabile, a una statualità talvolta evanescente e altre volte risorgente in sussulti aggressivi ed espansionistici.
Alla vita e alla morte dei soldati si sostituisce o si aggiunge quella enorme dei civili, ignari e involontari protagonisti in situazioni di violenza senza precedenti, causando anche – come inaspettato e paradossale corollario – la fine delle dottrine della guerra giusta, nonché l’abolizione stessa di ogni dimensione della riflessione morale.
Questo rappresenta forse il più clamoroso segno dell’inconfrontabilità della guerra attuale e di quelle future rispetto alle guerre del passato: più nessuna guerra può essere giusta.
Ancora, quindi, da parte dei belligeranti non vengono coniugati due verbi che sono “cedere” e “concedere”, che hanno ambedue la stessa radice verbale. Cedere significa piegarsi, sottostare; concedere vuol dire accordarsi.
Questo vale per ambedue i paesi, che non si rendono conto che con la guerra nulla si guadagna e tutto si perde e, quindi, si dovrebbe necessariamente arrivare al più presto a dire: “basta, incontriamoci, trattiamo, abbandonando ogni idea di possesso”.
Ma questa è una mera speranza che non riusciamo più a coltivare.
Fin’ora ci siamo sempre soffermati soprattutto sulla condizione degli Ucraini che sono stati aggrediti e vivono, perciò, in condizioni pessime; le donne e i bambini, che lasciano il loro paese per mettersi in salvo mentre gli uomini rimangono a combattere per difendere la loro terra, che cercano di resistere ai continui bombardamenti russi mirati a colpire le città, ma anche gli ospedali in cui sono ricoverati donne partorienti, bambini malati, neonati, anziani con gravi malattie.
Pensiamo, però, anche ai russi, tenuti all’oscuro di quanto veramente sta succedendo in Ucrainia. Essi non si sarebbero mai aspettati che sarebbe iniziata realmente una guerra e che Putin avrebbe attaccato un paese in cui tante persone hanno legami di amicizia e di parentela..
Si tratta verosimilmente fino a questo momento, per fortuna di una guerra non nucleare anche se più volte essa è stata minacciata.
In questi ultimi decenni, il mondo non è stato certo intento a preparare nuove grandi e devastanti guerre, ma è stato capace al contempo di lasciarne scoppiare in gran quantità di piccole e locali, che per chi le ha vissute o le sta vivendo sono state non meno dolorose delle grandi.
Si proietta su queste ipotesi l’ombra delle previsioni in cui molti studiosi si impegnano, nella ricerca di una serie di ‘costanti’ da cui far sgorgare una sorta di legge del futuro: si tratta di analisi – invero che possono diventare molto suggestive – che, sulla base dei pionieristici studi di uno statistico russo, Nicolaj D. Kondrat´ev (che nel 1925 aveva esposto un modello di andamento ciclico delle onde storiche), possono preannunciare al mondo la data delle prossime grandi guerre.
Pur senza confidare eccessivamente in questi studi fondati su variabili e comportamenti tipici di mondi passati e di differenti congiunture storiche, è pur vero tuttavia che la storia appare costellata da una sorta di ripetitività periodica e angosciante, come scadenzata da ritmi di cicli economici forieri di sconvolgimenti tali da poter essere riassestati esclusivamente attraverso lo scoppio di una nuova grande guerra, che avrebbe la capacità taumaturgica di ridare nuova linfa alla storia dell’umanità.
Non si conosce il futuro e non si può sapere quanta attendibilità tali impostazioni abbiano; ma tra queste due ipotesi guida – tante piccole guerre; una sola ma grande e verosimilmente nucleare – si muove la storia reale del nostro tempo, e in particolare quella della sua conflittualità, il cui preciso andamento statistico è sotto i nostri occhi e può forse aiutarci a districarci tra le due soluzioni estreme indicate.
L’insieme di queste immagini lascerebbe confusi e attoniti se non fosse che esse sono ripetute e proiettate, tutti i giorni, sui teleschermi televisivi in quasi tutte le case del mondo. Oggi davvero sembra che la guerra conosca degli ‘stati’ più che delle vicende.
Non sono più, oltretutto, gli eroi di guerra a cambiare il mondo.
Ci chiediamo, pertanto: la guerra sarà la condizione in cui tutti siamo destinati a vivere? E’ proprio vero che nessuna mediazione politica si frappone, nessuna intelligenza politica è in grado di offrire a società e popolazioni ormai prive di riferimenti ideali e morali programmi di vita, prospettive per un futuro migliore? Se questo è vero, chi vuole migliorare la sua condizione lo deve fare a spese di altri, costretti a fuggire, a emigrare, a subire nuove violenze?
Quel che adesso sta succedendo in Ucraina mi richiama una pagina molto bella dell’Iliade (Libro XXII, vv. 248-272; 317-363), in cui Omero descrive il duello finale fra Ettore e Achille, quando Ettore affronta Achille e fuori dalle mura resta solo Ettore, al quale, nell’indecisione della battaglia finale, non resta che rivolgersi agli dei: “Quando Achille arrivò, sfolgorante nelle sue armi di bronzo, Ettore fu preso da un enorme terrore e cominciò a fuggire. Fuggiva, intorno alle mura, mentre quello lo incalzava senza tregua, come un cane insegue un cerbiatto, come uno sparviero si avventa su un’indifesa colomba. Ma non riusciva a raggiungerlo. Quando per la quarta volta ebbero percorso le mura, Zeus decise che il destino di Ettore era segnato”.