Considerare l’obesità come una malattia cronica da combattere su più fronti, includendola nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e affrontandola con un approccio multidisciplinare, attraverso interventi integrati a livello nazionale e regionale, investendo sulla ricerca e sulle terapie innovative che richiedono una attenzione nella appropriatezza di utilizzo per il grande valore scientifico dimostrato.
E’ un messaggio chiaro quello lanciato in occasione del convegno “Rischio cardiovascolare. Lotta all’obesità” organizzato a Roma da Motore Sanità. E intervenire con azioni concrete – è emerso nel confronto tra esperti, stakeholder e rappresentanti delle istituzioni – è quanto mai urgente. L’obesità, infatti, è una delle principali emergenze sanitarie a livello mondiale, in continua crescita soprattutto nei Paesi a medio-alto reddito. E sconfiggerla – a fronte di costi sociali, ma anche economici, enormi – diventa un obiettivo chiave.
Attualmente, si calcola che nel mondo le persone obese o in sovrappeso siano un miliardo, con proiezioni allarmanti che suggeriscono come, entro il 2035, metà della popolazione mondiale potrebbe soffrire di questa condizione che sta assumendo i caratteri di una vera e propria epidemia. Con conseguenze devastanti: ogni anno, 2,8 milioni di persone muoiono per complicanze legate all’obesità, tra cui malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, alcuni tumori, problemi ortopedici, respiratori e infertilità. Patologie che, secondo le stime, ogni anno causano 57mila decessi soltanto in Italia, dove le persone obese o in sovrappeso sono 25 milioni.
“Una buona parte di eventi cardiovascolari – spiega il professor Alberico Catapano, Presidente SISA e Past president EAS – è legato alla presenza di queste patologie. Le condizioni di sovrappeso e obesità, ormai, sono prevalenti nella nostra società, con un incremento costante. Sovente – prosegue Catapano – si legano alla presenza di diabete, che è una malattia cardiovascolare”. Con la conseguenza che si crea “un circolo vizioso”. L’obiettivo è “spezzare questo circolo vizioso”. Innanzitutto “mantenendo il peso corporeo entro limiti adeguati, attraverso l’attività fisica e un approccio alimentare corretto, seguendo il sano principio secondo cui, per mantenere il peso, le calorie che si ingeriscono devono essere eliminate, mentre, ovviamente, per perderlo se ne devono consumare di più rispetto a quelle assunte”. Tranne alcuni casi particolari, prosegue Catapano “prevenire il sovrappeso e l’obesità è possibile, ma i modelli di vita e di alimentazione che ci troviamo di fronte non sono favorevoli in questo senso”. L’approccio preventivo sottolinea Catapano “deve andare nella direzione della early intervention, che parta dall’educazione del bambino a scuola, dall’educazione all’attività fisica. Tutte cose che, nel tempo, sono andate perdendosi. Ma è da qui che bisogna partire, consapevoli che i bambini sono capaci di dare una spinta favorevole alle famiglie”. Senza poi dimenticare le possibilità offerte da “un approccio terapeutico farmacologico che, quando necessario, può dare risultati eccellenti”.
“L’obesità – spiega il professor Pasquale Perrone Filardi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia -, secondo la definizione dell’Unione Europea, e prima ancora dell’Oms, è diventata una patologia, e soprattutto una patologia cardiovascolare”. Con un collegamento stretto con “le patologie ischemiche, aritmiche, con lo scompenso cardiaco, ma anche con malattie cardiorespiratorie come le apnee del sonno”. Quindi “dobbiamo assolutamente intervenire, visto il preoccupante aumento dell’obesità infantile e adolescenziale. Chi è obeso in età scolare – ragiona Perrone Filardi – purtroppo, con grande probabilità, lo rimarrà nell’età adulta con un rischio cardiovascolare aumentato”. La lotta a quella che sta assumendo i caratteri di una vera e propria epidemia, allora, “deve passare da una riduzione dell’apporto calorico, ma anche, quando necessario, dai nuovi farmaci disponibili che hanno dimostrato di ridurre anche del 20% il peso corporeo, proteggendo il cuore”. Indispensabile, poi, “è considerare l’obesità come una malattia cronica, inserendola nei Lea come oggi non è”.
L’obesità è anche il principale fattore di rischio del diabete tipo 2. “Infatti – ha spiegato Riccardo Candido, Presidente Nazionale dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) – il crescente aumento della prima ha portato a un aumento del secondo. Dal momento che quasi il 95% delle persone con diabete tipo 2 è in sovrappeso o obeso, diventa essenziale che i diabetologi siano in grado di rispondere al problema dell’eccesso ponderale oltre a quello dell’iperglicemia. Dato il carattere multifattoriale dell’obesità, servono team multiprofessionali e mulitidisciplinari, che includano figure centrali come il dietista, l’infermiere e lo psicologo”. Altra questione, l’innovazione e la ricerca. Che hanno fatto passi avanti fondamentali, ottenendo risultati che però non sono ancora fruibili da tutti. “La ricerca farmacologica – ragiona Candido – mette oggi a disposizione molecole in grado di controllare efficacemente il peso, oltre al diabete e alle sue complicanze, ma per l’obesità non sono ancora rimborsate. Dobbiamo lavorare affinché lo siano, in modo da contribuire fattivamente anche alla prevenzione del diabete. Ma questo non basta. Occorre impegnarsi per promuovere un radicale cambiamento culturale che favorisca la sana alimentazione, il movimento e la pratica sportiva; che contrasti ambienti e stili di vita “obesogeni”. Sono step irrinunciabili al fine di garantire la salute delle generazioni future”.
Anche dal punto di vista economico, oltre che sociale, la ricaduta è impressionante. I costi totali associati all’obesità, infatti, ammontano a circa 13,34 miliardi di euro, equivalenti allo 0,8% del PIL, e comprendono sia spese sanitarie dirette (59%) sia costi indiretti legati alla perdita di produttività e assenteismo (41%).
Carmine Basilicata, dirigente del Ministero della Salute presso la direzione della Programmazione Sanitaria, ha sottolineato l’importanza dell’innovazione, invitando a “superare la visione che la vede soltanto come un costo”, ma ”considerandola come un investimento”. E’ un passaggio chiave evolutivo per la visione di una programmazione sanitaria, come dimostra lo studio in corso presso il Ministero della Salute. Attraverso questo, si prevede un enorme risparmio nei prossimi anni legato proprio all’innovazione, considerando il suo utilizzo nell’intero percorso di cura del paziente grande obeso.
“All’impatto economico dell’obesità – ha messo in guardia il professor Sebastiano Marra, Primario Emerito della Città della Salute e della Scienza e Presidente ODV Amici del Cuore Piemonte -, vanno aggiunti quello sociale e psicologico, visti gli effetti che ha, soprattutto sui giovani, associata come sovente è alla depressione”. Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, “potremmo parlare di un effetto concreto di riduzione dei problemi soltanto quando riusciremo a ridurre del 15-20% il livello di obesità”.
“Ogni individuo, poi – ha proseguito il professor Marra – può rispondere in modo diverso all’attività del tessuto adiposo che a livello pericardiaco ha un’attività pre-infiammatoria e protrombotica sulle pareti dell’arteria. Oggi, però, in termini di fondamentale prevenzione, abbiamo strumenti per identificare il tipo di tessuto adiposo attorno alle pareti delle coronarie con una tac tecnologicamente molto avanzata come quella recentemente acquistata dal Koelliker di Torino che, grazie all’intelligenza artificiale, ci permette di distinguere un paziente a rischio elevato da un paziente a rischio basso”.
Dal punto di vista delle politiche sanitarie – è emerso nel convegno – l’obesità non ha ancora ricevuto il riconoscimento che merita. È fondamentale che venga considerata una malattia cronica e inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA. Riconoscerla come malattia cronica permetterebbe di attuare interventi integrati e coordinati a livello nazionale, con investimenti mirati sia nella prevenzione, che nella cura e gestione a lungo termine della patologia.
“Il rischio obesità – ha detto Giovanni Migliore, presidente della Fiaso – è un rischio concreto, e dobbiamo occuparcene per evitare le ricadute in termini di salute che hanno un peso enorme per la Sanità pubblica e incidono sulla produttività del Paese”.
Per il fare il punto della situazione, analizzando best practice e criticità del Servizio Sanitario Nazionale e individuare la strada per intraprendere azioni concrete, dalla prevenzione alla diagnosi precoce alla terapia, Motore Sanità organizzerà una Road Map che toccherà Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia.