Carissimi, dopo aver scritto nero su bianco, nella lettera precedente, circa la responsabilità reciproca fra parroco e fedeli nel condurre avanti l’azione pastorale della comunità parrocchiale, con la presente vorrei approfondire quelle che sono, o dovrebbero essere, le condizioni, le convinzioni e le motivazioni irrinunciabili, che diventano la cifra dell’appartenenza ecclesiale dei laici.
Voi siete il sale della terra e la luce del mondo (cfr. Mt 5,13s): oggi, Gesù continua a chiamare i suoi discepoli – religiosi e laici – per condividere un servizio nella Chiesa e per la Chiesa, aperti al mondo contemporaneo, complesso ed esigente, affamato di Verità.
La riflessione, pertanto, prende l’avvio dagli obiettivi fissati dal Sinodo in atto, concilio ecclesiale fortemente voluto da papa Bergoglio, e l’analisi di suddetta tematica è in piena simbiosi col magistero di papa Francesco.
Il primo scopo era ed è quello di promuovere attivamente la discussione e la deliberazione sull’identità e sulla missione della Chiesa. Da qui scaturisce il desiderio del confronto con persone di altre chiese cristiane, il tutto finalizzato all’uscire per raggiungere le periferie esistenziali della Chiesa e di un mondo multiculturale e multireligioso. È opportuno ribadire che tale impegno si fonda sull’unzione battesimale dei fedeli, mediante la quale essi vengono abilitati all’annuncio profetico di Cristo, ricevendo la Parola, testimoniandola e applicandola alla vita quotidiana.
Per avere il quadro di riferimento ben chiaro, è doveroso aggiungere che papa Francesco nel “Discorso ai padri sinodali… del 6 ottobre 2014”, si era espresso a favore del “parlare chiaro e contro la limitazione di una sincera discussione”.
È fuor di dubbio che il Sinodo in atto è un modo unico di promuovere il decentramento ecclesiale e, in un certo qual senso, una forma per rimediare alla poca attenzione verso i fedeli e alla scarsa partecipazione dei laici.
La domanda inquietante, atta a favorire il necessario rinnovamento, è sempre la stessa: perché alcuni cattolici sono usciti dalla Chiesa o rimanendo in essa vengono emarginati?
Per cogliere la portata dirompente del quesito, è opportuno fare risuonare un passaggio profetico di Jorge Mario Bergoglio ai suoi confratelli cardinali, datato 7 marzo 2013, mentre questi erano riuniti (congregazioni generali) per discutere delle necessità impellenti della Chiesa, che da lì a qualche giorno avrebbe celebrato il conclave: “l’evangelizzazione implica nella Chiesa il coraggio apostolico (parrhesìa) a uscire da se stessa (…) e andare alle periferie, non solo quelle geografiche, ma anche alle periferie esistenziali: quelle del mistero del peccato, della sofferenza, dell’ingiustizia e indifferenza nei riguardi della religione, delle correnti intellettuali e di ogni sorta di miseria”.
Davanti a queste parole “programmatiche” bisogna ancora chiedersi: a distanza di dieci anni, la Chiesa ha aperto uno spazio di accoglienza/appartenenza ai laici che si trovano nelle periferie esistenziali? oppure essa vive ancora atteggiamenti di ostilità e contrapposizione?
Io credo che occorra una periodica autovalutazione per intravedere almeno sentieri di ripensamento e rinnovamento. Se così non fosse, si continuerebbe a vivere la fase di stagnazione pastorale, che di fatto esclude qualsiasi spazio di appartenenza ecclesiale.
Se ciò non dovesse avvenire, la responsabilità – secondo papa Francesco – è degli organismi di partecipazione ecclesiale.
Il 28 luglio 2013, incontrando il clero con cui aveva collaborato sul Documento di Aparecida 2007, il pontefice espresse le sue riserve riguardo al funzionamento degli organismi ecclesiali.
In tale circostanza ribadiva: “È un criterio abituale il discernimento pastorale, servendoci dei consigli diocesani? Tali consigli e quelli parrocchiali di pastorale e degli affari economici sono spazi reali per la precisazione laicale nella consultazione, organizzazione e pianificazione pastorale? Il buon funzionamento dei consigli è determinante. Credo che siamo molto in ritardo in questo”.
Le parole del papa lanciano una sfida soprattutto alle diocesi e alle parrocchie, particolarmente in questo frangente storico nel quale la Chiesa riscopre la sua natura sinodale. Tento, quindi, di “personalizzare” le indicazioni del magistero petrino, inquadrandole nel nostro vissuto specifico. Chiedo pertanto: i laici della nostra parrocchia vengono aiutati ad acquisire abilità comunicative? Cioè parlano, ascoltano, riescono a discernere e a proporre percorsi nella comunità e per la comunità? Sono veramente lievito che fermenta la massa?
Mentre cerco risposte adeguate a siffatti quesiti, rilevo che di fronte alla stagnazione della vita parrocchiale, alcuni laici cercano fonti alternative di appartenenza e di impegno ecclesiale…
Fra questi un numero consistente, dopo esperienze fallimentari, ritorna; mentre una buona parte abbandona definitivamente la comunità, il resto si dedica al “turismo religioso e pastorale”, vagando di parrocchia in parrocchia alla ricerca di qualcosa che soddisfi i propri bisogni spirituali, perdendo di vista che il Tabernacolo è uno e rimane, mentre i preti vanno e vengono.
In questo sintetico quadro di riferimento, non è certo l’approccio pastorale sbrigativo di chi pratica il “mordi e fuggi”, quanto la decisione di parecchi cattolici che prendono decisamente le distanze dalle attività della parrocchia e della diocesi perché queste, seppur a livelli diversificati, trasmettono contenuti ammantati di clericalismo autoritario e rigido.
Gesù non predica solo la comunione, ma la vive!
In Lui scopriamo che una stessa missione ci unisce nella parrocchia e, allo stesso tempo, la comunità ecclesiale ci spinge verso la missione e non sempre la missione è lontano da noi – Africa e Paesi poveri del Terzo Mondo – spesso la parrocchia è terra di missione.
È la comunità il luogo privilegiato dove Dio si rivela attraverso gli altri.
Amici cari, con Maria impariamo a irradiare, nelle relazioni personali e comunitarie, l’amore di Dio poiché da Lei apprendiamo come amare gli altri e, al contempo, diventiamo noi stessi segni viventi della tenerezza del Padre. Pertanto, accogliamo le provocazioni che la Parola ci offre in questo tempo pasquale, proponendo il “modello” della Chiesa primitiva che, sebbene segnata da vari protagonismi eccentrici e “partiti ecclesiali”, senza alcun infingimento ci ricorda che l’essere comunità si fonda sulla presenza del Risorto e richiede un’assidua partecipazione all’insegnamento degli Apostoli, alla frazione del pane, alla condivisione dei beni, alla preghiera…
Rispettiamo il percorso di ognuno.
C’è un posto per tutti, per il dubbioso e per chi vive incertezza spirituale. Si affrontino le sfide e i confronti con chiarezza e apertura.
L’Eucarestia sia il centro della nostra vita comunitaria!
Auguri di ogni bene,
Ettore Sentimentale
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