Carissimi,
vi informo che dal 15 agosto u.s. è disponibile sul web il “Documento finale al termine del primo anno del cammino sulla sinodalità”, caricato anche sul nostro sito parrocchiale. Esso scandisce non solo un momento importante nell’itinerario della vita della comunità diocesana, ma intende essere anche la presa di coscienza di ogni singolo battezzato dinanzi all’irrompere di tempi nuovi. L’invito che rivolgo a voi è quello di leggere tale documento, non solo per un arricchimento culturale, quanto per maturare scelte esperienziali personali in vista di un coinvolgimento comunitario.
La riflessione di questo mese, facendosi cassa di risonanza di alcune provocazioni ivi contenute, intende cogliere la necessità di un’energica azione catartica che rimodelli la comunità-Chiesa in chiave evangelica (cit. p. 3) al fine di ricondurla e reindirizzarla, sotto il profilo umano, ad un esercizio di responsabilità più trasparente e cristallino. Per tracciare i passaggi fondamentali, in vista di una purificazione comunitaria, scelgo di rileggere alcuni versetti del Salmo 123:
I nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio
finché abbia pietà di noi.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
poiché siamo troppo sazi di disprezzo,
troppo sazia è la nostra anima
dello scherno dei gaudenti
del disprezzo dei superbi.
Antepongo alla breve riflessione, l’invito ad ascoltare il canone di Taizé “Oculi nostri ad Dominum Jesum”.
Si tratta di un invito alla preghiera, ma alla preghiera fatta soprattutto di sguardi, forma questa più alta dello stare davanti al Signore in adorazione. E subito il pensiero del credente ritorna ad Ars, piccolo borgo francese, dove vive e opera un semplice curato di paese, divenuto santo. L’aneddoto che vede protagonisti Giovanni Maria Vianney e l’anziano contadino che ogni giorno, alla stessa ora, entrava nella piccola chiesa del villaggio e si sedeva all’ultimo banco a guardare fisso il Tabernacolo, è di certo uno degli esempi più semplici e alti che possiamo trovare per meglio comprendere che cosa significhi entrare in comunione con Dio. Pertanto, nel giorno in cui il Santo Curato d’Ars, incuriosito da quello che apparentemente era un comportamento legato ad una costante routine quotidiana dell’uomo, ovvero recarsi in chiesa e fissare il Tabernacolo, chiese: “Buon uomo, vedo che ogni giorno venite qui … ditemi, cosa fate?”, ottenne da parte del contadino una risposta teologicamente forte. Questi, infatti, scostando per un attimo lo sguardo dal Tabernacolo, rispose con autentica semplicità: “Nulla, signor curato … io guardo Lui e Lui guarda me”.
Così la nostra preghiera coglie mediante lo sguardo il mistero di Dio che sembrerebbe lontano, ma che in realtà è molto vicino: Verso i monti levo il mio sguardo, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore (Sal 121,1). Con occhi colmi di tenerezza, illuminati da un Sole che viene dall’alto, contempliamo, la Sua misericordia che ci fa prendere coscienza delle nostre miserie e ci fa gridare: pietà di noi, Signore!
Solo la gioia contagiosa dei cuori, che vivono l’amore reciproco in intima adorazione con il Cristo, può trasformarsi in un nuovo soffio di vita entro un mondo individualista e diviso, incapace di inginocchiarsi davanti al suo Signore.
Di certo, non sempre è facile e immediato cogliere l’intervento divino, dal momento che siamo oppressi da superbi, distratti dal saper leggere i segni che la Provvidenza invia nelle nostre vite e, fagocitati da impegni che ci allontanano dal ritrovare noi stessi e l’equilibrio con il creato, viviamo notti insonni sotto il mero peso della monotonia. Spesso rimbombano nel nostro cervello incertezze e dubbi, veniamo cioè assaliti dalle stesse domande di Geremia 12,1:
Perché la via degli empi prospera? Perché tutti i traditori sono tranquilli?
Anche oggi, come ai tempi del salmista e di Geremia, c’è un cospicuo numero di persone che si riscopre saturo “degli scherni dei gaudenti, del disprezzo dei superbi”. In un contesto caratterizzato da molteplici sofferenze a livello economico, sociale e religioso, si assiste impotenti al triste spettacolo di persone gaudenti, spensierate e tranquille che impongono con le buone e con le cattive il loro modus vivendi, a discapito degli onesti e dei giusti.
Se vi capita di seguire qualche intervento di politici senza scrupoli in TV, al di là di ciò che essi dicono, notate l’arroganza, la spregiudicata veemenza e gli epiteti impronunciabili con i quali attaccano gli avversari, perché sono sicuri di essere i migliori della classe e in grado di sbaragliare le altre conformazioni partitiche nella prossima tornata elettorale, nei rispettivi collegi di pertinenza.
In campo religioso, la musica sembra avere le stesse battute: preti presuntuosi, boriosi e altezzosi che in barba a qualsiasi indicazione pastorale continuano a spadroneggiare sul gregge loro affidato (cfr. 1 Pt 5,3), cercando sempre il proprio tornaconto. Nonostante i molteplici e puntuali interventi di papa Francesco, anche a livello ecclesiale, vi sono responsabili di comunità che riversano sui fratelli più deboli un fiume di parole e continuano a tenere atteggiamenti umilianti. Di certo, il periodo pandemico ha acuito un siffatto fenomeno perché sta restituendo una società che si nutre a tutti i livelli, dall’adulto consapevole al bambino indotto, di arroganza, irruenza, violenza e aggressività fisica e verbale. È come se ciascuno, sentendosi sempre nel giusto, prima ancora di porsi in ascolto dell’altro, attacca e morde.
Gli esempi non mancano, dall’automobilista irascibile al vicino dispettoso e provocatorio …
Tutti noi, che viviamo dentro la Chiesa, riteniamo di essere corretti e giustifichiamo ogni nostra azione perché sono sempre gli altri a sbagliare e a loro va rivolta la nostra correzione e, diciamolo, le omelie di rimprovero o quanto scritto nella presente ci illudiamo che non riguardino noi, ma il prossimo di cui, nel nostro pensiero, facciamo nome e cognome, emettendo giudizi taglienti.
Che cosa c’è da fare dinanzi alla dilagante superbia di coloro che si pensano e vivono come padroni di tutto e di tutti?
Il salmista, forte della propria esperienza nei confronti dei superbi eserciti stranieri, ci offre una risposta: pregare, perché il Signore dia subito la forza di resistere e poi – come ha sempre fatto –intervenga a favore dei suoi eletti che gridano a lui giorno e notte (Lc 18,7).
Nella storia della salvezza, viene raccontato un evento che sta alla base dell’intervento divino.
Davanti alle atroci sofferenze del popolo di Israele in Egitto, Dio dice: “ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti” (Es 3,7). Ho udito:l’Onnipotente percepisce distintamente ogni suono- parola-lamento che l’uomo emette; presta attenzione e dà ascolto. Tutta la Scrittura riprende ampiamente questa espressione, pur con delle minime variazioni e, in particolare, il Libro dei Salmisuggerisce:
Questo povero grida e il Signore lo ascolta / lo libera da tutte le sue angosce (Sal 34,7).
Il 18 novembre 2018, in occasione del messaggio per la Giornata del Povero, papa Francesco così ha commentato il versetto appena citato:
“Il povero grida non solo perché non ha mezzi, ma perché scacciato, scartato, umiliato …”
Cari amici,
non dobbiamo vergognarci di gridare al Signore che ci liberi dalle sofferenze e dalle continue umiliazioni che i tracotanti e i prepotenti infliggono.
Dobbiamo sempre confidare che una nuova dimensione umana prima o poi spunterà come l’aurora (Is 58,8). Nel frattempo, l’impegno è a noi richiesto nel momento presente del nostro esistere, ognuno in relazione all’età e al proprio status, hic et nunc, perché già su questa terra si possano contemplare cieli nuovi e terra nuova (Ap 21,1), nei quali la giustizia avrà stabile dimora. Sono le piccole gratuite gentilezze che riceviamo, anche mediante lo sguardo di occhi puri e trasparenti, che ci liberano dai lacci: essere luce per gli altri e non solo per noi stessi!
Queste mie parole si traducono visivamente sulla tela di un pittore che contempla l’alba.
Vi esorto, se ancora questa esperienza non è stata fatta nella nostra vita, a cogliere il momento opportuno e assistere al quadro meraviglioso del sorgere del nuovo giorno, che puntualmente e gratuitamente si rinnova alle prime luci dell’alba: un chiarore diffuso all’orizzonte e, poi, il sole comincia “a salire” lentamente in un gioco soave di luminosità piena!
Spero e prego che per tutti ci sia, seppur lentamente, il sole di giustizia che riscaldi il nostro cuore e illumini i nostri passi lungo la via della pace.
Auguri di ogni bene,
Ettore Sentimentale
parrocchiamdaonnadelcarmelo.it