La Cartina della felicità: Sii sobrio…siate sobri…siamo sobri…

Carissimi,

ci stiamo preparando al Natale del Signore, che resta la grande lezione di povertà e semplicità, dove la cattedra è quella grotta che cambia radicalmente i valori del mondo.  È il giorno in cui l’Orazione Colletta ci fa chiedere al Padre di poter “condividere la vita divina del (tuo) Figlio”.

Dalla ricerca biblica, che dà fondamento a suddette parole, emerge un unico e sostanziale aggancio nella Seconda Lettera di Pietro: “…affinché per mezzo loro (i beni grandissimi e preziosissimi) diventiate partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4). Leggendo molte volte l’intera pericope (2 Pt 1,1-11), ho trovato spunti vitali per la riflessione che desidero condividere con ciascuno di voi, poiché “siamo pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire sacrifici graditi a Dio per mezzo di Gesù” (1Pt 2,5). Lasciandoci modellare dal Cristo come pietre vive, saremo capaci di saper connettere tutte le pietre, anche quelle più birichine e di inciampo, ma che rivestono poi un’importanza meravigliosa e una bellezza unica nelle nostre comunità ecclesiali.

La corresponsabilità assume così il volto della pazienza e della fiducia.

Il primo nodo della presente analisi-riflessione è scandito dall’identità dell’autore stesso: “Simon Pietro, servo (lett. “schiavo”) e apostolo di Gesù Cristo” (v.1).

Un servo appartiene interamente al maestro che serve ed è nella qualità del ruolo che riveste, l’essere appunto servo, che Pietro esercita le sue funzioni di apostolo. Questa affermazione iniziale, che dà il tono a quanto segue, è al contempo consolante e provocatoria, soprattutto per quanti esercitano un ministero nella comunità ecclesiale. Serve almeno a ricordare che i ministri sono sempre “servi”, anche e soprattutto nel contesto della società del Terzo Millennio. Tuttavia, nel nostro tempo, assistiamo con maggior frequenza al revival di un narcisismo puro, purtroppo anche in occasione di alcune celebrazioni, alla fine delle quali è ormai consuetudine pubblicare quasi in diretta sui social media le immagini – mi sia consentito dire – dello “spettacolo” religioso offerto, spesso di cattivo gusto e punteggiato di particolari inquadrature di abiti morbosamente ricercati, per sovraesporre la distinzione barocca fra alto e basso clero.

Altro che “Chiesa in uscita”! Tuona con più veemenza il monito paolino: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto!” (Rm12,2). Qui è contenuto il nocciolo del cammino ascetico della vita, quell’ascesi che si rende sempre più necessaria nella vita spirituale, fatta di passi piccoli, ma fedeli e quotidiani, in un cammino di grazia davanti a una società che ostenta la mercificazione e l’omologazione dell’essere umano.

C’è innanzitutto una forma, cioè un volto che è quello del Cristo, su cui si specchia la luce del progetto del Padre. È la forma che Dio ci ha dato su cui conformare tutta la nostra vita.

Le brutture sociali, la decadenza morale, la pigrizia spirituale in un climax crescente delineano un quadro attuale di decadenza, registrando le numerose deformazioni da noi compiute di quel volto santo, di quella forma iniziale, che è bellezza.

L’antidoto alla mondanità (al v. 4 si parla di “concupiscenza”) è costituito dalla “conoscenza” di Dio e di Gesù che sta alla base della fede e dona a tutti i battezzati “tutto quello che è necessario a una vita vissuta santamente” (v.3). Nel concreto, l’Apostolo Pietro invita i destinatari del suo scritto (oggi siamo noi) ad aggiungere alla fede una sequenza di virtù cristiane che devono svilupparsi in ciascuno e che confermano “la conoscenza del Signore Gesù Cristo” (v.8).

Per “virtù” s’intende un atteggiamento morale (coraggioso), frutto della chiamata di Dio, che permette di affrontare gli ostacoli e le tentazioni e di superarli al fine di seguire il sentiero tracciato dalla Parola. Come le perle di un collier, queste virtù cristiane si aggiungono l’una all’altra su un unico filo e producono frutto per Dio (cfr. vv. 5- 7 del brano in oggetto).

A caratterizzare la vita cristiana è anzitutto la FEDE, che ha per oggetto Gesù Figlio di Dio (cfr. 1 Gv 5, 4-5). Celeberrima a tal riguardo risulta essere l’esperienza di San Paolo, quando dice: “E questa vita, che vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio” (Gal 2,20).

La fede, poi, deve accompagnarsi alla VIRTÙ, ovvero il coraggio morale che permette di fuggire le concupiscenze e di “cercare le cose di lassù” (Col 3,1).  Così, Mosè “rimase saldo nella sua fede, come se vedesse l’invisibile” (Eb. 11,27).

Un tale coraggio era mancato a Lot, il cui cuore era attratto da Sodoma ed era stato salvato attraverso un fuoco (cfr. 1 Cor 3,15).

A questo atteggiamento virtuoso si collega strettamente la CONOSCENZA di Dio e dei suoi pensieri rivelati nella Parola, per guidare il credente nella sua condotta pratica e non su un cammino secondo la propria volontà. “La tua parola è lampada ai miei passi, luce sul mio cammino” dice il salmista (Sal 119, 105). Sarebbe opportuno chiederci da quale luce è rischiarata la nostra strada…

Di vitale importanza è il passo successivo, contrassegnato dalla TEMPERANZA, virtù maestra che preserva da ogni eccesso nei nostri atti o nelle parole. Equilibrio, misura, sobrietà: atteggiamento tipico dell’Avvento. Secondo il Vangelo proclamato domenica 1 Dicembre u.s., ciò consente di evitare gli ostacoli che potrebbero nuocere allo sviluppo della vita spirituale. San Paolo presenta una lunga lista di brani con l’invito: “Sii sobrio…siate sobri…siamo sobri…” (1 Tess 5, 6-8; 2 Tim 4,5).

Forse, oggi, nel XXI secolo, c’è meno bisogno di queste indicazioni?

Non ultima tra le virtù, si presenta a noi la PAZIENZA, necessaria certo perché la temperanza, in particolare, si realizzi giorno dopo giorno, nella vita dei cristiani: “Il Signore guidi i nostri cuori…alla pazienza di Cristo” (2 Tess 3,5). Ma perché è fondamentale questo atteggiamento?

Per imitare “il Dio della pazienza e della consolazione” (Rom 15,5).

La vera pietà conduce normalmente all’AFFETTO FRATERNO, da manifestare a tutti coloro che sono nostri fratelli e sorelle. Già nella sua prima lettera Pietro esortava i credenti ad avere “un affetto fraterno senza ipocrisia” e ad amarsi “l’un l’altro intensamente di vero cuore” (1 Pt 1,22).

L’ultima maglia di questa catena di virtù cristiane non poteva non essere che la CARITÀl’amore, perché questa è l’essenza stessa dell’Eterno: “Dio è amore” (1 Gv 4,16).  Lui è la sorgente dell’affetto fraterno che viene esercitato verso tutti coloro che appartengono a Cristo, senza alcuna parzialità. Questa carità per i figli di Dio, unita alla pietà, manifesta la vita divina del credente (cfr. 1 Gv 5,1-2).

Il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità sono due modalità differenti, necessarie e complementari nel nostro cuore. Non basta amare, in gratuità e senza misura.

Bisogna anche saper accogliere e ricevere l’amore altrui, stimare chi dona, apprezzare chi collabora con noi, educando alla corresponsabilità.

Amici carissimi,

l’amore ricerca sempre la benedizione degli altri; non cerca di scoprire il male, ma vuol mettere in evidenza il bene presso il prossimo.  Invito tutti a vegliare – tema portante del tempo di Avvento- al fine di sviluppare queste capacità morali. Per fare ciò è necessario appoggiarsi al Signore, allontanando la tentazione a tornare indietro.

Facciamo di tutto a non offrire un’apparenza fuorviante della nostra fede, perché pur “essendo vestiti” potremmo essere “trovati nudi” (2 Cor 5,3).

La terra senza cielo è fango; ma la terra con il cielo diventa un giardino!

Il nostro cuore sia sempre rivolto al cielo e il cielo sia sempre nel nostro cuore!

Auguro un Natale, per tutti, di grande fede: ci metta in cammino su strade che Dio conosce, verso nuove aperture di cuore, verso nuove ospitalità, verso iniziative pastorali che ci vedano rinnovati nell’intimo e nel profondo del nostro io, nella semplicità del mistero.

Auguro un Natale che cambi le nostre prospettive: ritroviamo un Dio fatto Bambino, piccolo, umile, fragile, non potente ma vero, quotidiano, amabile.

Auguro un Natale di fede, una fede che sappia molto valorizzare il lato normale della vita, che si innesti nel pianto di ogni ragazzo e nelle paure di ogni anziano e ammalato, nel cuore di ogni fratello: l’augurio di un cuore nuovo, che voli alto davanti al presepio.

È nel cuore di Maria che è germogliato il Sì all’Amore, fatto Vita per noi.

Con Lei chiedo anch’io, con fiducia tenace, di ripetere sempre il mio Sì alla volontà di Dio, in quell’amore che si fa protezione e tenerezza, nella semplicità dei gesti e nel preziosismo del cuore. Solo così, avvicinandoci alla Bellezza, torneremo alla sorgente che ci ha donato il primo sorso di vita, all’essenza profonda delle cose e saremo capaci di tessere ancora fili con cui cucire, in semplicità, la terra al Cielo.

Auguri di ogni bene per le prossime festività natalizie.

Ettore Sentimentale