Carissimi,
all’inizio di questo nuovo anno, dopo il chiasso mediatico attorno alle provocazioni sorte con la Dichiarazione “Fiducia supplicans” sul senso pastorale delle benedizioni, penso sia opportuno riflettere su un valore fondamentale nel ministero di papa Francesco: la “tolleranza”.
Questi, fin dall’inizio del suo pontificato ha insistito e continua a sollecitare i cristiani verso l’apertura e l’accoglienza nella Chiesa. In particolare, nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” del 24 Novembre 2013, al n. 47, il papa scriveva: “Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”. La verità è che siamo immersi in un mare d’amore e, solo quando ce ne rendiamo conto, comincia la conversione. Cade il velo dagli occhi, come a Paolo a Damasco e vedo le barche abbandonate dai quattro pescatori che lasciano le piccole reti per qualcosa di ben più grande.
A mio avviso, il fulcro di queste affermazioni papali risiede nel concetto stesso di tolleranza.
Se guardiamo al vissuto, spesso ci urtiamo e siamo insofferenti nei riguardi di persone intolleranti che ostentano un’attitudine dura e intransigente, ma che rivelano al tempo stesso una grande fragilità, debolezza tipica di colui che si vede condannato all’inesistenza se dovesse permettere all’altro di esistere. Chi agisce così resta chiuso in una logica esclusiva: o lui o io, mai entrambi!
Ci si rende conto della portata di tale dinamica quando si incorre in argomenti “spiacevoli”, come la presenza degli stranieri, la guerra, la pena di morte, i diversi… In queste occasioni salta subito in evidenza la discrepanza di valori e soprattutto di un’immagine diversa del mondo, incompatibile con quella di chi è irremovibile. Il contrario dell’amore non è semplicemente l’odio, ma soprattutto l’indifferenza, che fa sì che l’altro non esista: non ti interessa, non lo vedi, non lo senti.
Come facciamo ad andare oltre?
Se volessimo cogliere la genesi di questo atteggiamento, scopriremmo che la figura del mondo che ciascuno si forma, viene elaborata in seno a una cultura ben precisa, in funzione delle esperienze personali e collettive. Essa dà senso e coerenza al contesto nel quale si vive.
Non sempre è facile cogliere la verità del mondo, perché spesso si scambia l’immagine (virtuale) del mondo con la realtà del mondo.
Dal momento che numerose ideologie, soprattutto di natura religiosa, vengono a confermare e assolutizzare o addirittura sacralizzare la propria visione del mondo, questa immagine- distorta- acquista una obiettività evidente. E come si può rimettere in discussione quel che risulta evidente?
L’altro, che apporta un punto di vista differente, non può essere che nell’errore!
Al di là delle parole, per cogliere la fondatezza di quanto si va dicendo, basterebbe ricordare le scene raccapriccianti che il film “Mission” ci ha fatto rivivere e che alla base avevano gli interessi esclusivi e intolleranti delle corti imperiali iberiche nel Sud- America e non certo il benessere delle popolazioni locali. Amaramente bisogna aggiungere che solo i missionari hanno preso le difese dei popoli massacrati, non certo il papato, allineato all’espansione dei prepotenti del tempo.
La logica è sempre la stessa: o si accetta di piegarsi alla visone “comune” del più forte o si scompare. E da qui hanno origine lo spirito di crociata, le conversioni forzate, i totalitarismi, i genocidi… E anche se l’opinione pubblica percepisce bene quel che vi è di inaccettabile nell’intolleranza, la fragilità identitaria (“io sono io” senza mai uscire da questo recinto), resta sempre all’opera per imporre il suo modo di vedere, i suoi costumi, la sua religione, il suo Dio…
La nostra società necessita di sperimentare ancora il confronto col prossimo: possiamo essere ammirevolmente creatori o stupidamente distruttori; avere stima o paura dell’altro.
Se ci consideriamo il centro dell’universo e il nostro modo di vivere è inteso come l’ “unico possibile”, allora sorgeranno i conflitti, in famiglia, nelle comunità e, a largo raggio, fra le Nazioni.
Tuttavia, le fusioni di popolazioni che oggi continuano a intensificarsi, fanno vivere in un pluralismo culturale e religioso che rende superati e labili i piani identitari.
Un’altra attitudine è possibile: essere tolleranti; essere segno di speranza per un mondo che ha un disperato bisogno di comprensione e di pace.
La tolleranza non è il regno dell’indifferenza né quello del lasciar fare. Essa è la capacità di diventare più ricchi della differenza altrui. Essa è accoglienza e rispetto delle convinzioni dell’altro e può divenire meraviglia davanti a un’immagine del mondo che rivela, diversamente dalla mia, la molteplicità di sfaccettature della realtà. Amplia la rappresentazione ristretta che mi ero fatto di Dio. La sua dialettica è inclusiva: Lui e io. Ecco perché per il cristiano non può esservi alcuna logica di sterminio, ma di convivialità, arricchimento e trasformazione reciproca.
Così facendo si prova la sensazione di appartenere alla stessa umanità. Chi esercita la tolleranza ha la luminosità dello sguardo e la luce che ha dentro, nell’intimo del suo essere, lo plasma e lo rende persona capace di incontrare l’altro in modo solare e fiducioso. Occhi di lucerna hanno i credenti secondo il Vangelo e ciò implica che l’occhio non solo vede la luce, ma la crea: porta luce attorno a sé come fa la lucerna, perché altri vedano meglio, perché possa portare gioia.
Uno sguardo luminoso dà gioia al cuore (Proverbi 15,30).
È in nome della tolleranza che le democrazie hanno introdotto (almeno nei testi legislativi) il principio della “laicità”, garante delle pari opportunità offerte a ciascuno.
La laicità impedisce, per esempio, che un’ideologia religiosa si imponga a detrimento delle altre, evita di arrendersi ad atti di bullismo o altre pressioni di parte.
Nello stesso tempo, la tolleranza provoca la fioritura spirituale di ciascuno. Se oggi Dio sembra più difficile da inseguire, perso come un barbone, per usare le parole di padre Turoldo, nell’intreccio delle nostre giungle di asfalto, il presente sa rivelare tante sorprese, tanti germogli inattesi, segnali che il vento dello Spirito soffia pollini vitali dentro la nostra storia, ora più che mai. Contro tutti i profeti di sventura, contro il clima di pessimismo che ci avvolge, la Parola è ancora qui a parlarci, a suggerire parole di vita piena e a donarci futuro perché il Vangelo è bello e rende bella la vita.
Carissimi,
la tolleranza è un’attitudine coerente con la fede cristiana, che non è possesso della verità, ma ricerca quella che apre all’infinito di Dio.
Porta avanti il positivo e la zizzania avrà sempre meno terreno; pensa al buon grano e ama i suoi germi di vita; custodisci ogni germoglio buono; sii indulgente con tutte le creature e anche con te stesso e tutto il tuo essere fiorirà nella luce!
Auguro a tutti di essere aperti e accoglienti verso chiunque si incontrerà lungo il cammino, non a parole ma con la personale testimonianza di vita autentica e coerente al Vangelo.
Ettore Sentimentale
parrocchiamadonnadelcarmelo.it