Sistemando le mie “carte” ho letto e riletto quanto anni addietro scrivevo di Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002, uomo di grande apertura, di immensa cultura teologica e di dialogo tanto da essere soprannominato “cardinale del dialogo”…
di ANDREA FILLORAMO
Oggi, sistemando le mie “carte” ho letto e riletto quanto anni addietro scrivevo di Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002, uomo di grande apertura, di immensa cultura teologica e di dialogo tanto da essere soprannominato “cardinale del dialogo”, il cui pensiero invito a conoscere, dato il nesso che possiamo riscoprire con il Papa attuale.
Si tratta di due gesuiti che, pur nella diversità del temperamento e dei carismi, vogliono il rinnovamento vero della Chiesa, rimasta immobile – come diceva il cardinale- almeno da 200 anni.
Rammento con intima soddisfazione di aver avuto personalmente il piacere di conoscere il cardinale nei primi mesi dell’anno 1999, quando da dirigente scolastico di un noto Liceo milanese, ho dovuto governare una situazione molto difficile causata da una lunga occupazione della scuola da parte degli studenti, che l’arcivescovo seguiva attraverso le letture dei giornali che non erano sempre e tutti affatto teneri con i presidi, che accusavano di essere compiacenti con gli occupanti, che celebravano il loro rito annuale, con il rischio, però di infiltrazioni di elementi facinorosi di opposte tendenze, di cui si occupava la Digos opportunamente allertata o di “colpi di testa” di qualche studente o di qualche “gruppetto” che si distanziava dalla massa.
Proprio di ciò avevo parlato particolarmente, in quell’incontro, voluto dal cardinale Martini, che, fra l’altro desiderava avere notizie dell’attività svolta all’interno di quel Liceo, in quella particolare contingenza, da Comunione e Liberazione, un movimento della Chiesa che certamente non l’amava e mal vedeva che egli, gesuita e piemontese, occupasse la cattedra episcopale di S, Ambrogio.
L’arcivescovo di Milano si è, quindi, congratulato con me per l’equilibrio dimostrato – mi diceva – e per la mia presenza educativa “die ac nocte” nella scuola. “Così – sosteneva – deve fare ogni educatore. Mai deve abbandonare i suoi figli particolarmente quando sa che sono in pericolo”.
Ho riferito questo episodio, perché, ricordandolo, trasferisco a un piano personale, testimoniale, quanto di lui scriverà in seguito il biblista Enzo Bianchi, secondo il quale l’aspetto “più impressionante del suo essere uomo, cristiano, vescovo della Parola, emergeva dalla sua grande capacità di ascolto: dialogare con lui era sperimentare di persona cosa sia un orecchio attento e un cuore accogliente, cosa significhi pensare e pregare prima di formulare una risposta…”. Era da questo ascolto attento, della Parola e dell’interlocutore, che ho visto nascere nel cardinale Martini “la capacità di gesti profetici, la sollecitudine per la Chiesa e per la sua unità, la vicinanza ai poveri, il farsi prossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti. In lui coglievo una delle rare figure di ecclesiastici senza tattiche, né strategie, né calcoli di governo, ma quella vita di Cristo e in Cristo che aveva posto come chiave di lettura dell’esistenza di ogni battezzato e del suo ministero pastorale”.