In un mondo dove ci sono tante ricchezze, tante risorse per dare da mangiare a tutti, non si può capire come ci siano tanti bambini affamati, ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri!
di ANDREA FILLORAMO
“Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro (…) i soldi comandano (…) Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la «cultura dello scarto» (…) Credo, che sì: i tempi ci parlano di tanta povertà nel mondo, e questo è uno scandalo (…) In un mondo dove ci sono tante ricchezze, tante risorse per dare da mangiare a tutti, non si può capire come ci siano tanti bambini affamati, ci siano tanti bambini senza educazione, tanti poveri! La povertà, oggi, è un grido (…) Tutti noi dobbiamo pensare se possiamo diventare un po’ più poveri: anche questo, tutti lo dobbiamo fare (…) Una Chiesa povera e per i poveri”.
Questi sono e molti altri possono essere “stralci” dei discorsi di Papa Francesco con cui condanna in modo inappellabile quella che egli chiama la dittatura del denaro e con essa anche l’opulenza della Chiesa, che in sei anni di pontificato non è riuscito neppure a scalfire.
La Chiesa affoga, quindi. ancora nella sua ricchezza e i poveri diventano sempre più poveri. Un universo dietro al quale non c’è solo e unicamente il Vaticano, ma una galassia di satelliti fatta di congregazioni, ordini religiosi, confraternite sparse ovunque nel mondo che, direttamente o attraverso decine di migliaia di enti morali, fondazioni e società, possiedono e gestiscono imperi immobiliari immensi che nessuno forse è in grado di stimare con precisione e che sono sempre in costante metamorfosi. Un patrimonio dove l’elenco dei beni, la maggior parte sicuramente no-profit ma una discreta fetta anche a fini commerciali, sembra non esaurirsi mai: chiese, sedi parrocchiali, case generalizie, istituti religiosi, missioni, monasteri, case di riposo, seminari, ospedali, conventi, ospizi, orfanotrofi, asili, scuole, università, fabbricati sedi di alberghi e strutture di ospitalità per turisti e pellegrini e tante, tantissime abitazioni civili in affitto. Un universo intorno al quale gravitano nel mondo 412mila sacerdoti e 721mila religiose – senza contare centinaia di migliaia di laici – che assistono 1 miliardo e 195 milioni di fedeli.
Sappiamo con certezza che circa il 20% del patrimonio immobiliare in Italia è in mano alla Chiesa, un dato quasi in linea con una storica inchiesta pubblicata sull’Europeo nel lontano 1977 che riuscì per la prima volta a calcolare che un quarto della città di Roma era di proprietà della Chiesa.
Un patrimonio immenso che però non si ferma appunto alla sola capitale dove ci sono circa 10mila testamenti l’anno a favore del clero e dove i soli appartamenti gestiti da Propaganda Fide – finita nel ciclone di alcune indagini per la gestione disinvolta di alcuni appartamenti – valgono 9 miliardi.
La Curia vanta possedimenti importanti un po’ ovunque in Italia e concentrati, tra l’altro, in gran numero nelle roccaforti bianche del passato come Veneto e Lombardia. Quindi se oggi il valore del patrimonio immobiliare italiano supera quota 6.400 miliardi di euro – come ha registrato il rapporto sugli immobili in Italia realizzato dall’Agenzia del territorio e dal dipartimento delle Finanze – si può stimare prudenzialmente che solo nel nostro Paese il valore in mano alla Chiesa si aggiri perlomeno intorno ai mille miliardi (circa il 15%).
Se a questa ricchezza detenuta in Italia – dove pesa l’eredità di un potere temporale durato per quasi duemila anni – si aggiunge il patrimonio posseduto all’estero fatto di circa 700mila complessi immobiliari tra parrocchie, scuole e strutture di assistenza la stima, anche stavolta più che prudenziale, può raddoppiare almeno a 2mila miliardi. Numeri, questi, che nessuno conferma dall’interno della Chiesa perché per molti neanche esiste una stima ufficiosa.
Ma da ambienti finanziari interpellati la cifra sembra apparire congrua.
Cifra a cui si devono aggiungere, tra l’altro, investimenti e depositi bancari di ogni tipo.
Ricordiamo, ancora, che la Chiesa Cattolica è la principale destinataria dell’8 per mille dell’Irpef. In base ai dati del Dipartimento delle Finanze sui redditi 2012 ripartiti nel 2016, gli italiani che hanno espresso una scelta in sede di dichiarazione dei redditi sono stati 18,8 milioni su un totale di 41,5 milioni di contribuenti. Di questi, 15,2 milioni hanno indicato come beneficiaria la Chiesa, che ha ricevuto 1,011 miliardi di euro: l’81% del totale distribuito, pari a 1,257 miliardi. Il meccanismo di riparto dell’8 per mille è stato più volte censurato dalla Corte dei Conti perché “permette ai beneficiari di ricevere più dalla quota indistinta che non dalle precise scelte dei contribuenti”. Infatti 22,2 milioni di italiani non hanno scelto alcun destinatario, ma la loro quota è stata come ogni anno ripartita tra i beneficiari in proporzione alle scelte espresse. Ciò permette che da quando esiste questo sistema concordatario tutti i preti ricevono mensilmente uno stipendio e pertanto anche un giovane che a 24 anni esce dal seminario percepisce almeno mille euro, a differenza dei suoi coetanei che, anche se laureati e con dottorati di ricerca sono costretti alla disoccupazione.
Papa Bergoglio che avrebbe voluto creare una “Chiesa povera e per i poveri” non è riuscito. Fino a oggi ha fallito in quello che ritiene lo scopo del suo pontificato.
Insufficiente, quindi, è stato l’accorpamento di alcuni Dicasteri, da lui voluto; inutile l’intervenuto sulla gestione economica dello IOR, inutile la sperimentazione di nuovi organismi di consultazione proprio per incidere sul clericalismo ed il carrierismo ecclesiastico.
Il circuito mediatico ha dato molto risalto a questi casi ma nulla o poco di quanto è avvenuto nei palazzi pontifici ha contribuito in modo determinante a mettere almeno le basi di una vera Chiesa che si avvia almeno a diventare la Chiesa dei poveri.
Ma perché questo, chiamiamolo pure “fallimento” di Papa Bergoglio del tentativo da lui compiuto di una rivoluzione della Chiesa per strapparla dalle mani dei ricchi e darla in consegna e in usufrutto ai poveri? Eppure papa Francesco è giunto al culmine della sua popolarità e gode di un largo seguito anche di non cattolici. Ma forse in ciò si annidano i motivi per i quali il progetto di Papa Francesco manifesta la sua debolezza.
Andiamo un po’ dietro nella recente storia del papato. Sono trascorsi appena sei anni dalla fumata bianca di un Conclave scosso dal Vatileaks, dai corvi e dallo sbalordimento per l’improvvisa rinuncia di Benedetto XVI. L’urgenza di un cambiamento era avvertita da tutti. Ed il Sacro Collegio ha individuato in Bergoglio l’uomo capace di portare avanti “riforme energiche” per affrontare le nuove sfide della Fede.
Il “laboratorio del fango e dei veleni” sempre in funzione nella Chiesa da tempo si è attivato contro Papa Francesco, mal sopportando l’idea che egli possa distruggere i privilegi clericali goduti da tanti. Eppure Papa Francesco è tanto amato dalla gente semplice, che affolla piazza San Pietro e le mete dei suoi Viaggi Pastorali. Ha conquistato anche i non credenti perché non si stanca di invitare “a vedere Gesù nei figli dei disoccupati e dei migranti”, a non distrarsi mentre sul mondo “soffiano venti di guerra e un modello di sviluppo ormai superato continua a produrre degrado umano, sociale e ambientale”.
Ma la fronda anti-Francesco si è poi accentuata a settembre via Internet, sui siti e blog di tradizionalisti. Per non parlare di lettere anonime fatte recapitate provocatoriamente anche a religiosi e laici che stanno mettendo in pratica gli insegnamenti di Papa Francesco in tema di accoglienza.
L’esercizio delle “Fake News” continua nonostante Bergoglio raccomandi di “amare la verità, essendo onesti con se stessi e con gli altri”. Lui stesso ne è il primo bersaglio. Accusato spesso in modo ridicolo, di eresie, di essere stato eletto Papa con un imbroglio e non dai Cardinali assistiti dallo Spirito Santo. Mentre lo scrittore Antonio Socci è arrivato perfino ad attribuirgli il disegno di voler abbattere “la cattedrale bimillenaria della Chiesa cattolica”. Ma Francesco è tutt’altro.
Lo ha ben spiegato al Venerdì di Repubblica uno stretto collaboratore del Papa e direttore di “Civiltà Cattolica”, il messinese padre Antonio Spadaro:
“E’ consapevole del suo ruolo: deve fare il Papa e lo fa. Prende le decisioni da solo perché sa che non è l’anello di una catena tutta uguale. Però prima di decidere consulta, forse più di quanto qualcuno ritenga sia opportuno fare. E le sue fonti non sono solo clericali, spesso provengono da altrove. E’ cosciente del rischio di sbagliare e quando accade non esita ad ammetterlo ed a tornare indietro”.